Probabilmente la mia vita, per un periodo di tempo che non avrei saputo definire, era rimasta appesa ad un filo sottile.
Se non avessi incontrato Luca, magari quel filo si sarebbe rotto.
Forse ero stata salvata dal mio inferno personale appena in tempo perché se ci fossi rimasta un po' di più non so se sarei riuscita a tornare indietro.
È probabile che quella notte io abbia toccato il punto più basso, quel punto dopo il quale hai due scelte: risalire o sprofondare. Io avevo scelto di risalire e ce la stavo mettendo tutta. Non era esclusivamente merito mio, diciamo che avevo trovato qualcosa per cui valeva davvero la pena lottare.
Avevo ripreso in mano la mia vita appena un attimo prima di perderne definitivamente il controllo.
Dopo quella famosa sera mi ero buttata con impegno nello studio, ma senza quelle manie di perfezione che mi facevano impazzire. All'esame della settimana seguente avevo preso ventiquattro. Il mio primo ventiquattro, il voto più basso che avessi mai preso e, mentre tornavo ai collegi quel pomeriggio, sorridevo.
Avevo preso ventiquattro e ne ero felice, non sentivo quell'insoddisfazione che mi assaliva sempre, anche quando prendevo un trenta perché avrei potuto fare di più - c'era pur sempre la lode - e non c'era traccia di quella sensazione di fallimento, ingiustificata, per il fatto di non aver raggiunto l'assurda perfezione che la mia mente si prefiggeva.
Mi sentivo bene, mi sentivo libera.
Libera dalle mie manie, libera dalla prigione che mi ero costruita da sola, libera di essere imperfetta, di essere me stessa.
Il processo di ristrutturazione del mio corpo e della mia mente non fu affatto facile, mentirei se dicessi il contrario. Fu un processo lento e con molte cadute.
Non ce l'avrei fatta senza Luca: lui mi stava vicino ogni giorno, ascoltava i miei sfoghi, mi sosteneva, m'incoraggiava. Lo faceva in un modo discreto, con i gesti più che con le parole ed era il modo migliore per aiutare una come me, che dalle parole si era sempre difesa fin troppo bene. Io le parole sapevo ignorarle perfettamente, sapevo liberarmi dal loro peso, prima ancora che mi entrassero nella mente. I gesti, invece, i suoi gesti, non potevo ignorarli. Il suo sguardo dolce e pieno di fiducia, il suo sorriso che mi rendeva migliore ogni volta che compariva sul suo volto, le sue braccia che mi stringevano a lui quando mi veniva voglia di scappare via. Le sue mani che riuscivano a placare i miei sensi di colpa e i suoi occhi... per quelli avrei potuto anche morire, ma loro continuavano a chiedermi di vivere e io li assecondavo.
Non affrontammo i miei problemi in modo diretto, né quella sera a casa sua né mai. Non mi chiese spiegazioni sul perché la mia testa rifiutasse di mangiare, né tentò di tirarmi fuori giustificazioni, che in ogni caso non avrei saputo dargli. Mi aiutava semplicemente restando insieme a me, tenendomi per mano e facendomi sentire speciale. Forse era l'unica cosa di cui avevo bisogno: che qualcuno mi facesse sentire amata, nonostante le mie imperfezioni, nonostante i miei limiti, nonostante tutto.
Da quel giorno m'invitò a cena a casa sua ogni sera. Io cucinavo per lui, lui mi osservava. Diceva che voleva imparare, ma ogni volta che sollevavo lo sguardo i suoi occhi non erano sulle mie mani, intenti ad osservare e ad imparare, erano fissi su di me, sul mio viso.
Spesso il suo sguardo mi metteva ancora a disagio, quando i suoi occhi incrociavano i miei mi entravano nell'anima, mi guardavano dentro ed erano così chiari, così freddi, che non riuscivo a capire cosa ci vedesse. Però ero convinta che nella mia anima ci fosse qualcosa che dovesse piacergli molto, altrimenti non avrebbe continuato a guardarci dentro con tutta quella insistenza, non in quel modo, con quello sguardo pieno di dolcezza.
Spesso, mentre cucinavo per lui, si avvicinava, mi abbracciava, mi baciava i capelli, respirava il mio profumo.
«Hai il profumo più buono che abbia mai sentito», mi aveva sussurrato un giorno all'orecchio, mentre con le labbra perfette sfiorava delicatamente il mio collo e i brividi che mi aveva scatenato quel contatto si erano mescolati al calore improvviso provocato dalle sue parole, in un miscuglio di sensazioni tanto belle da perderci la testa.
Tra le sue braccia mi sentivo al sicuro, ogni dubbio, ogni timore era sparito, tanto che non affrontai mai il discorso della droga con lui, mi vergognai perfino di averne dubitato.
Anche Anna, che all'inizio era stata fredda e sospettosa, con il tempo era tornata ad essere la persona gentile e allegra che era sempre stata. Lo trattava come un caro amico, come un fratello e mi faceva davvero piacere che andassero così d'accordo.
Non so se si fidasse fino in fondo di lui, forse semplicemente mi vedeva felice e questo le bastava.
Con il passare dei mesi avevo ripreso la fiducia in me stessa, quella che per molto, troppo tempo, mi era mancata. Ero finalmente riuscita ad accettarmi e quella era stata la cosa più difficile, più del combattere contro i sensi di colpa, più della nausea che a volte mi assaliva ancora, più di tutto.
Quando mi guardavo allo specchio l'immagine che vedevo, ora, mi piaceva. Era come se dai miei occhi fosse finalmente caduta quella lente deformante che m'impediva di vedere la realtà, di apprezzare i miei pregi, di sopportare i miei difetti. Con il tempo il mio viso aveva ripreso un po' di colore, i lineamenti, sempre magri, erano meno marcati, le guance meno scavate e gli occhi più vivi, brillavano della vita ritrovata e di quell'amore che ora occupava ogni parte di me.
Erano passati tre mesi, erano stati mesi lunghi, difficili, tormentati. Avevo dovuto lottare con tutte le mie forze contro i miei fantasmi, contro me stessa.
Ma erano stati anche mesi bellissimi perché li avevo passati con lui.
Ci vedevamo praticamente ogni giorno: la mattina e il pomeriggio a lezione, la sera a casa sua. Qualche volta uscivamo, mi portava ovunque volessi andare e non si lamentava se gli chiedevo di uscire insieme ad Anna e ai suoi amici, anche se, a parte Anna, gli altri non erano particolarmente gentili né socievoli con lui.
La maggior parte delle volte però preferivo restare a casa, guardare un film in tv o ascoltare musica. Restavamo a parlare fino a notte fonda, finché non crollavo dal sonno e allora mi decidevo a farmi riaccompagnare ai collegi.
Qualche volta era lui a venire nella mia stanza, lo facevo entrare dalla scala esterna perché non volevo dare nell'occhio suscitando pettegolezzi indiscreti. Non facevamo niente di sconveniente, parlavamo e basta, insomma... quasi. Certo, escludendo le carezze e i baci appassionati che ci scambiavamo continuamente.
Nonostante fossero passati tre mesi, non ero ancora riuscita ad abituarmi alla sua bellezza, al suo modo di fare, a quella voce meravigliosa che era diventata il suono prevalente delle mie giornate. Non ero ancora capace di rimanere indifferente quando lo vedevo. Quando si avvicinava il mio cuore scalpitava: non riusciva proprio ad abituarsi alla sua presenza.
Anche quella mattina, mentre ero a lezione con Anna, aspettavo ansiosa il suo arrivo. Mi voltai verso la porta nel momento esatto in cui lui stava entrando.
Indossava un paio di jeans e una camicia leggera appena aperta sul petto, quel tanto per fare intravedere la muscolatura perfetta. Avanzava con quel suo passo sicuro che mi faceva impazzire, ed era come se si muovesse a rallentatore nella mia mente, mentre tutto il resto del mondo continuava ad andare a velocità normale.
Quando i suoi occhi incrociarono i miei, sorrise e, quel resto del mondo che procedeva troppo velocemente, sparì completamente.
C'era solo lui, bello come un sogno, che sorridendomi prendeva posto al mio fianco, come ogni mattina, mentre io continuavo a chiedermi se non fosse tutto frutto della mia fantasia.

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Lo stesso peso dell'amore
Genç Kız EdebiyatıQuanto pesa l'amore? E' leggero come una piuma o pesante come un macigno? Per Giulia il peso è l'unica ossessione. Almeno finché non conosce Luca.