Capitolo 3

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Intrapresi la strada che portava alla sala comune dell'orfanotrofio che era spesso vuota. Era uno spazio elegante, come tutto l'orfanotrofio, con qualche scaffale di libri che evidentemente non erano entrati in biblioteca e, sulle pareti libere, erano appesi un paio di quadri di personaggi storici importanti per l'Inghilterra come, per esempio, Elisabetta I e Shakespeare.

Al centro della stanza c'era un tavolo rotondo circondato da sedie rivestite dello stesso tessuto rosso e morbido che tappezzava il divano. Ai piedi di quest'ultimo era disteso un tappeto persiano con tonalità calde che variavano dal color porpora, al giallo ocra per poi finire al marrone.

Stanca morta mi abbandonai alla comodità di quel divano d'epoca che era rivolto verso le fiamme scoppiettanti che ballavano irregolarmente all'interno del camino.

Come al mio solito appoggiai i piedi sul tavolino e lasciai che la testa si posasse pesantemente sullo schienale chiudendo gli occhi.

C'era silenzio.

«Ciao.» una voce maschile parlò alle mie spalle.

Sobbalzai sul posto per lo spavento mentre mi giravo verso da direzione da cui proveniva quel suono. Ed eccolo lì.

«Ciao.» salutai a mia volta un po' disorientata.

«Hilary, giusto?» il biondino si appoggiò allo stipite della porta con noncuranza sorridendomi dolcemente come se fosse stata la cosa più naturale che una persona potesse fare.

Annuii arricciando le labbra.

«Will. Mi chiamo Will.»

Mi alzai in piedi a disagio. Il ragazzo mi fissava attentamente come se volesse trovare un errore in me. Mi scrutava così attentamente da mettermi soggezione.

«È stato forte prima quando hai tenuto testa a Kaitlyn. Hai fegato.» affermò tranquillo.

«Be', grazie.»

Will mi sorrise.

«Verrai qui?» chiesi all'improvviso rispondendo al suo sorriso.

La sua espressione dolce si spense diventando cupa e abbassò lo sguardo sui suoi piedi calzati da delle scarpe bianche che davano la sensazione di essere molto comode. «Sì...»

«Mi dispiace. Io sono qui fin da quando ho memoria. Non mi ricordo neanche la faccia dei miei genitori. Non posso capirti.»

«Sei anche sincera! C'è qualcosa che non sei?» esclamò ironico costringendosi a sorridere.

«Ehm... Vediamo... Non saprei, in realtà.»

Lui sorrise sbuffando.

«Devo andare. Devo... tornare da Kaitlyn. Ci vediamo stasera a cena, Hilary.» scosse la testa con un sorriso stampato in faccia. Lo disse con un tono di voce strano, come se fosse stato convinto che la cena che ci sarebbe stata quella sera fosse stata la sua unica salvezza. Ed io lo reputai abbastanza strano: era solamente una cena.

~~~

«Dai, Hill! Non puoi essere davvero arrabbiata per quello che ha detto Kaitlyn! Non è niente di così pesante!» era la milionesima volta che Amelia mi spintonava ed esclamava quella frase.

Eravamo a tavola aspettando che Aalis portasse la cena e c'era una gran confusione.

La sala da pranzo era composta da un lungo tavolo in legno scuro che attraversava tutta la stanza in lunghezza. Sulle pareti biancastre c'erano appesi un paio di quadri ritraenti figure religiose. Eravamo in pochi, all'interno dell'edificio, quindi occupavamo solamente metà del tavolo.

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