Capitolo 24

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Erano all'incirca le tre o quattro di mattina e io ero ancora sveglia in preda ai pensieri. Infatti essi, con tanta impertinenza, avevano iniziato a girarmi per la mente impedendomi di dormire. Avevo una strana sensazione allo stomaco, come se fossi stata affamata, ma sapevo che in realtà non era così: avevo un nodo allo stomaco e mi sembrava di star per vomitare. Mi tremavano le mani. Sembrava un modo per farmi dannare l'esistenza, per pensare a tutto quello che avevo saputo e tutto quello che avevo fatto. Mi sentivo il cuore pesante, come se al posto di esso ci fossero state delle pietre.

Solo dalla fessura delle tende entrava uno spiraglio di flebile luce lunare. Per il resto la camera era completamente buia e Amelia pareva essere solamente un'ombra ferma immobile sdraiata sul letto.

Decisi che era inutile rimanere a letto se quel formicolio allo stomaco mi impediva di dormire così mi alzai, mi avvolsi una coperta sulle spalle e nel buio uscii silenziosamente dalla stanza.

Il corridoio, anch'esso immerso nelle tenebre, era isolato come doveva essere a qualsiasi ora della notte. C'ero solo io, le ombre oscure e l'ansia che non solo era dovuta da tutti i miei pensieri, ma anche dall'adrenalina a cui ormai ero abituata. Il fatto era che avevo troppa energia nel corpo che, oltre a non farmi dormire, mi stava spingendo ad esplodere. Non so come spiegarlo, ma sentivo che avrei potuto mettermi a piangere da un momento all'altro. Forse era la mancanza di sonno o la tensione a cui erano ridotti i miei nervi, fatto sta che non sapevo proprio come trattenere a lungo le lacrime.

Andare da Will mi sembrava un po' azzardato dopo che mi aveva praticamente urlato contro solo poche ore prima.

Iniziai a camminare verso l'ala dei dormitori maschili stringendo i pugni attorno al tessuto della coperta che avvolgeva le mie spalle. Non era abbastanza lunga da toccare per terra, ma mi arrivava più o meno all'altezza del ginocchio e mi solleticava le gambe mentre a passo svelto oltrepassavo tutte le stanze le cui porte si affacciavano sul corridoio che portava in camera di Derek.

La mia mente continuava a viaggiare nei ricordi sgradevoli e nei pensieri che di recente mi affollano la mente con insistenza. Forse era arrivato il momento di vuotare il sacco riguardo a tutto quello che pensavo e a tutto quello che volevo urlare in faccia alle persone che in quel periodo non lasciavano stare la mia mente neanche per un secondo. Forse Derek era la persona adatta ad ascoltarmi, forse non avevo sempre bisogno di Will, per parlare.

Giunsi alla porta del moro e la guardai attentamente, dubbiosa sul da farsi. Entrare o lasciar perdere?

In quel momento mi ricordai di quella sera in cui Will mi aveva trovato in quell'esatto punto, scossa come non mai, per un sogno che mi aveva tormentato. Mi ricordai del modo orribile in cui ci eravamo urlati contro in cucina e del piatto che avevo lanciato ai piedi del ragazzo. Sembrava essere passato talmente tanto tempo.

Mi decisi a bussare con insistenza finché il moro non avesse aperto la porta. Non mi era neanche passato per la testa che lui stesse dormendo, sapevo soltanto che stavo per implodere, di nuovo, e avevo tanto bisogno di lui. Non mi importava se mi avessero trovato in piedi e le conseguenze non mi spaventavano. Avevo solamente bisogno che lui mi ascoltasse e mi confortasse.

Dopo una ventina di secondi sentii la sua voce dall'interno, ancora assonnata, chiedermi di smetterla di bussare, ma io non lo feci. Continuai a battere insistentemente le nocche sul legno duro della porta. «Derek, lo so che è notte fonda, ma ho sul serio bisogno di te.»

Qualche istante dopo, dalla fessura sottostante della porta, uscì un debole fascio di luce e poi Derek aprì la porta passandosi una mano sul viso per strofinarsi gli occhi color caffè. Indossava dei pantaloni della tuta neri e una maglietta a maniche corte grigia che raffigurava lo stemma di Batman. I lisci capelli scuri come la pece gli ricadevano davanti alla fronte scompigliati. «Cos'è successo?»

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