Capitolo 8

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Mi svegliai nel mezzo della notte mentre l'oscurità occupava ingorda ogni angolo della stanza come una macchia di inchiostro scuro su un foglio bianco.

Era tutto talmente buio che facevo fatica a riconoscere le sagome dei mobili che riempivano la stanza.
Tutto, intorno a me, era sfocato, appannato, senza i bordi ben definiti.

Mi sentivo vuota, spaventata, arrabbiata con me stessa ed impotente. Era come se tutto quello che avevo vissuto se ne fosse andato via insieme al vento invernale che batteva sulle scogliere a sud dell'Inghilterra e insieme all'acqua scura e profonda del mare, intento a non tornare. Come se fosse riuscito a scivolarmi dalle mani tremanti, deboli e pallide così facilmente da angosciarmi; come se avesse voluto, fin da subito, andarsene via da me.

E fu in quell'esatto momento, mentre mi mettevo a sedere sul letto, che qualcuno socchiuse la porta.

Incapace di muovermi, rimasi pietrificata alla vista della figura snella che entrava nella stanza in un silenzio inquietante.

Fece dei passi avanti, chiunque egli fosse, spingendo la porta talmente forte che la si sentì sbattere contro la scrivania retrostante.

Qualcosa, nella sottile sagoma, mi era di familiare, qualcosa che mi dava la certezza di conoscere chiunque fosse entrato nella stanza, ma nella mia mente si presentava solo il vuoto totale.

Era come se lo conoscessi da una vita, ma la mia vita era scappata da me, e questo mi impediva di scovare il motivo di questa sensazione di dimestichezza che possedevo verso quell'ombra che si nascondeva nel buio.

E la temevo, eccome se la temevo. Avevo il terrore della sua sagoma immersa nell'oscurità della stanza.

Senza preavviso, si catapultò su di me. Le sue mani buie e possenti stringevano sicure il mio collo, mentre mi premevano con forza sul materasso.

Iniziai ad urlare, a pregare chiunque egli fosse di lasciarmi andare, di farmi vivere.

Gridavo, gridavo, gridavo in cerca di aiuto, di chiunque potesse salvarmi da colui che mi stava strozzando, da colui che mi rendeva immobile e minuscola, sotto il suo tocco d'acciaio.

E fu in quel momento, proprio mentre iniziavo a perdere le speranze, mentre mi lasciavo trascinare nel sonno profondo e infinito, che la sentii. Sentii la sua voce. La voce di quella donna che mi aveva messa al mondo, ma che non conoscevo. Colei che era morta, mi stava parlando e mi pregava. Mi pregava di non lasciarla vincere, di non dare una vittoria facile alla paura.

Perché era questo, l'ombra opprimente che mi stringeva il collo impedendomi di respirare: era la paura.

E poi sentii un'altra voce, più ovattata di quella di mia madre, all'interno della mia testa. Era una voce maschile che chiamava il mio nome, disperato come non mai, mentre sfuggivo alla presa possente della paura e lentamente tornavo alla realtà...

«Hilary! Hilary, svegliati, ti prego!»

Derek era pallido, mentre mi stringeva la mano cercando di svegliarmi.

Era accasciato in ginocchio affianco al letto su cui mi ero addormentata.

Mi sentivo il viso inumidito dalle lacrime salate, la maglietta nera appiccicata al mio corpo per il sudore e i capelli incollati al viso mentre le immagini del mio sogno iniziarono a girare nella mia mente. Ogni ricordo di quell'ombra scura, la paura, mi faceva aumentare il battito cardiaco e il respiro.

Feci scivolare via la mia mano da quelle di Derek e me la portai istantaneamente al collo e, quasi senza rendermene conto, il ragazzo si era già seduto affianco a me avvolgendomi le spalle col suo braccio caldo e rassicurante attirandomi a sé con dolcezza e premura.

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