Parte 11-Day Tripper

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Defne non aveva mai fatto un viaggio lungo in macchina. Le poche volte che si era spostata da Bath o da Londra l'aveva fatto in pullman o in treno. Aveva la patente perché suo padre adottivo aveva insistito affinché la prendesse, ma lei non aveva mai guidato molto. In città ogni tanto guidava l'auto di Steffy, ma solo per tragitti brevi e comunque pensava che in una metropoli come Londra, così ben servita dai mezzi pubblici, avere un auto fosse veramente superfluo.
L'appuntamento con Lennon era alle 9 ma lei aveva già iniziato a passeggiare nervosamente sul marciapiede di fronte casa dalle 8:30, trascinandosi il trolley da una parte all'altra senza darsi un minimo di pace. Aveva trascorso tutta la notte sveglia a ripassare su internet la biografia di Johnny Bennet, aveva scritto su un quaderno le domande che avrebbe voluto fargli, aveva ascoltato almeno tre volte il suo disco a ripetizione. Era in tensione perché quella sarebbe stata la sua prima intervista importante, ma allo stesso tempo si sentiva entusiasta. Talmente tanto entusiasta che non le era passato neanche per la testa di chiedere a Lennon dove avrebbero alloggiato e che tipo di abiti doveva portare, quindi aveva messo di tutto nella valigia, riuscendo a stenti a chiuderla.
Lui uscì dalla villa alle nove meno cinque con un solo borsone a tracolla, peraltro semivuoto. Alzò gli occhiali da sole sulla fronte per squadrarla dalla testa ai piedi, poi azionò un pulsante dal telecomando che aprì automaticamente il cofano della sua lussuosissima auto. Lanciò il borsone all'interno e le andò incontro per prendere il suo.
"Posso fare da sola." Gli disse. Lui ignorò come al solito le sue parole e le strappò il manico dalle mani, sollevando il bagaglio come se fosse stata una piuma.
"È pesante. E non voglio rischiare che mi righi la macchina." Borbottò mentre tornava verso la macchina. Stava iniziando a conoscere Lennon MacCartney: di prima mattina lui era intrattabile.
"Vuoi che ti apra anche lo sportello?" Le chiese mentre aspettava che salisse a bordo.
Defne sorrise, perché quel mattino gli avrebbe sorriso in ogni caso e si avvicinò allo sportello, per poi rendersi conto che lui era seduto dove avrebbe dovuto sedersi lei. "Dall'altro lato" le suggerì lui. Quando furono entrambi in auto, lui mise in moto e
con grande maestria, uscì in retromarcia dal vialetto e partirono.
"Perché questa macchina ha il volante a sinistra?" Gli domandò subito.
"Perché l'ho comprata a New York e me la sono fatta spedire."
Defne avrebbe voluto chiedergli come si spedisse una macchina da un continente ad un altro, ma tacque per timore di sembrare troppo ignorante.
"Hai fatto colazione?" Le chiese lui, mentre si districava nel traffico di Londra.
"Ho fatto tutto. Non ho dormito stanotte. Ho studiato tutta la biografia di Johnny, ho abbozzato le domande per l'intervista. Ho anche fatto colazione."
"Abbiamo quattro ore di viaggio, c'è tutto il tempo per parlarne."

Per la prima ora di viaggio Lennon fu piuttosto silenzioso. Recuperò l'uso della parola dopo essersi fermato ad una stazione di servizio e aver bevuto un caffè.
"Il mio cane lo sa fare meglio." Esclamò rientrando in auto con una smorfia di disgusto dipinta in faccia.
"Con chi lasci il cane quando sei via?" Gli chiese.
"Ho assunto una dog sitter quando sono arrivato a Londra. Normalmente durante la settimana va a casa mia due volte al giorno per il cibo, per portarla a passeggiare, quando sono via la porta a casa sua. Ha altri due cani, Nina si divertirà in mia assenza."
Ripresero la strada. Visto che Lennon sembrava più disponibile a parlare, Defne ne approfittò per leggergli le domande che aveva preparato per l'intervista. Lui fu d'accordo più o meno su tutto, e la interrogò anche per verificare se era vero che si fosse preparata perfettamente sulla sua biografia.
"Vorrei aggiungere anche questa domanda sulla sua presunta relazione con Dominique Starr."
"Non vorrà dirti nulla sulla sua vita privata, lo irrigidirai. Gli uomini non amano parlare dei loro sentimenti, Defne. O peggio, del gossip."
"Lennon ma i nostri lettori comprano il Sunday Star per il gossip, altrimenti comprerebbero il Rolling Stone. Dobbiamo avvicinarli alla musica lentamente, ma devo per forza scrivere qualcosa sul suo privato."
Lennon tacque per un istante, poi annuì. "Hai ragione. Per quanto tutto ciò non mi piaccia, sia chiaro."
"Dove dormiremo?" Gli chiese a bruciapelo.
"In hotel."
Defne incrociò le braccia sul petto e decise di tacere per qualche minuto. Stava facendo domande stupide per raccogliere risposte ovvie. Dove avrebbero dovuto dormire d'altronde, in auto?
"Metti via quella roba, ormai hai imparato ogni singola parola a memoria."
Disse alzando il volume dello stereo. Defne si chiese se fosse così noiosa per lui.
Osservò le sue mani sul volante. Erano bellissime, forti e aggraziate, le mani di un musicista. Stringevano saldamente il volante di pelle nera e la sua postura sul sedile era rilassata e tranquilla. Solida. Capace. E tremendamente sexy.
Ogni volta che lo guardava si sentiva come se le avessero bucato l'esofago con una penna a sfera.
Poi lui si mise a canticchiare una canzone che stavano dando alla radio, che lei non conosceva; La sua voce morbida e sensuale le accarezzò la pelle, la fece rabbrividire e le aprì una voragine in mezzo al petto.
"A New York facevi il cantante? Cioè il musicista?" Gli chiese. Era curiosa di sapere tutto di lui, e inoltre aveva bisogno di argomenti che la distraessero dal suo corpo.
Lui sorrise continuando a guardare la strada di fronte a sé. "Ti sembro una rockstar?"
Defne annuì.
"Un po' si. Cioè se non ti conoscessi e ti vedessi, non so, al supermercato, forse ti chiederei l'autografo." Lennon ridacchiò, lanciandole un'occhiata fugace. Doveva essere un tipo vanitoso e certamente conscio della sua bellezza e del suo fascino killer.
"No non ero una rockstar. Mio padre avrebbe voluto che lo diventassi."
Defne notò che il suo sguardo si incupì.
"E poi?"
"E poi la vita ti porta a fare altre scelte. Ma ho sempre suonato. All'università avevo anche una band, abbiamo inciso un disco."
"E hai fatto il dj." Aggiunse lei.
"Si ho fatto anche il dj, ma il mio lavoro principale a New York era un altro."
Defne era curiosa. Lennon aveva si e no trent'anni e sembrava avesse fatto cose per cui avrebbe dovuto averne cinquanta.
"Cioé?"
"Dai, prova ad indovinare." La spronò lui sorridendole. Defne fu lieta di notare che il suo atteggiamento nei suoi confronti si era rilassato e sembrava quasi che si stesse divertendo.
"Non ne ho la più pallida idea." Ammise, stringendosi nelle spalle. "Non so...mmm il pompiere?"
"Il pompiere?" Ripetè lui. A Defne non risultava per nulla difficile immaginarlo tra le fiamme, bello e muscoloso con il casco giallo in testa e la pompa in mano.
"Ti ho detto non lo so. Non so neanche perché uno come te abbia bisogno di lavorare."
"Perché i soldi non sono tutto nella vita, Defne. Certo, per condurre il mio stile di vita ne servono tanti, ma una persona deve saper costruire sé stesso indipendentemente dal conto in banca. Sono stato fortunato perché ho potuto studiare in scuole prestigiose, mi sembrava giusto trasmettere agli altri la mia conoscenza, tutto quello che avevo imparato sui libri."
"Quindi? Mi stai dicendo che facevi il maestro?" Defne soffocò una risata, riusciva ad immaginarlo pompiere, ma non maestro.
"Il professore." La corresse, guardandola come se volesse cogliere la sua reazione. Ma lei gli scoppiò a ridere in faccia. Poi lo immaginò in cattedra, in un tre pezzi sartoriale di Anderson & Sheppard, occhialini da vista che gli conferivano un aria da intellettuale e comprese che non c'era nulla da ridere.
"Chissà quante studentesse ti cadevano ai piedi..." pensò ad alta voce.
"Non mi sono mai potuto lamentare per questo. Tu invece? Hai sempre voluto fare la giornalista?"
Defne ripensò alla sua infanzia spezzata e sospirò.
"No. Da piccola pensavo di essere una principessa. Poi la vita ha scelto per me."
Seguì un lungo silenzio, nel quale probabilmente Lennon avrebbe voluto chiederle qualcosa perché le aveva lanciato più di qualche occhiata.
"Da dove viene il tuo cognome?" Le domandò dopo un po'. Defne si accorse che era tornato ad essere serio come quando erano partiti.
"Te l'ho detto, ho origini turche dal lato paterno. Ma non conosco la storia del mio cognome, se mi stai chiedendo questo. Sicuramente non ho una discendenza nobile come la tua, in ogni caso."
"Non ho una discendenza nobile." Chiarì lui. "Ci sono molte persone in Inghilterra che si chiamano così?" Aggiunse senza guardarla.
"Non ne ho mai conosciuti altri, oltre ai miei parenti. Perché questa domanda?"
Lui mantenne un espressione neutra. "Semplice curiosità. L'avevo già sentito prima, tutto qui."
Defne notò che si stava mordicchiando la mano. Certo che era veramente un personaggio singolare.
"I tuoi? Sono vivi?"
Non amava molto le domande sul suo passato, ma con lui sentiva di potersi aprire, dopotutto, Lennon aveva vissuto delle perdite esattamente come lei.
"Mia madre è morta quando avevo 4 anni. Mio padre non è mai esistito, ci ha abbandonati poco dopo la mia nascita. Non me lo ricordo neanche."
Lo vide stringere il pugno. "Mi dispiace. Non lo sapevo. Non volevo turbarti."
"Non sono turbata. Ero molto piccola, ricordo poco di quel periodo. Tutti i miei ricordi più vividi sono quelli con la famiglia a cui fummo affidati. Sono cresciuta con due ottimi genitori."
Defne era fatta così, tendeva sempre a minimizzare il fatto che avesse vissuto un'orribile tragedia. Si sentiva comunque molto fortunata ad essere cresciuta con i Preddy. Non poteva dire lo stesso di Deniz, che era riuscito a rendere la vita impossibile a quelle brave persone, ma quella di suo fratello era tutta un'altra storia. E quella la turbava, invece. Moltissimo.
Fortunatamente Lennon non potè farle altre domande perché il suo telefono iniziò a squillare. Era collegato all'auto tramite Bluetooth e Defne lesse sullo schermo della macchina il nome "Jessica". Lui mise l'auricolare e rispose.
"Dimmi Jessica...Un orecchino? No, l'avrà mangiato Nina...Novemila sterline? Solo tu e Regina potete spendere novemila sterline per un cazzo di orecchino...no non sono a Londra, sono fuori città per lavoro. Ah. No. Domani lo cerco tra i cuscini del divano, va bene."
Defne sentì le sue guance avvampare. Chi era adesso questa Jessica? Una Jessica che poteva permettersi orecchini da novemila sterline mentre lei non era riuscita a metterne da parte neanche quattromila per il corso di giornalismo. Una Jessica che aveva chiaramente perso l'orecchino sul divano di Lennon. Prima Michelle, poi Jessica e forse anche Regina. Quell'uomo aveva un harem. Ma era chiaro che il suo cuore fosse di Michelle; le cantava serenate e si era tatuato il suo nome sul braccio.
"Chi è Michelle?" Gli domandò, per poi pentirsene immediatamente dopo, rendendosi conto di aver superato il limite di confidenza che si era imposto. Ma lui le aveva chiesto delle cose personali.
Lui la guardò brevemente. "Pensavo che mi chiedessi chi è Jessica. Come sai di Michelle?"
In realtà voleva sapere anche di Jessica.
"Ho visto il tatuaggio ieri sera." Evitò di dirgli che aveva anche origliato mentre cantava quella canzone.
Lui tacque per un istante lunghissimo, come perso nei suoi pensieri.
"Michelle era mia sorella." Mormorò a denti stretti, lo sguardo fisso sulla strada.
Defne maledì la sua stupidità. E la sua curiosità. E tutto quello che le aveva fatto formulare quella domanda che non avrebbe dovuto fargli. Michelle era chiaramente la ragazza del dipinto; ed era morta.

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