Parte 30 -The Time We Wander Off

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Tutta la notte. Quella notte che non avrebbe mai più scordato, fosse campato cent'anni, fu un agitarsi continuo, girandosi da un lato all'altro del letto, con le coperte che gli sembravano incandescenti e pesanti come il piombo, e con la testa che gli scoppiava di mille pensieri e pulsioni contrastanti. Non riuscì a chiudere occhio, sentiva la testa che gli scoppiava. Si alzò e andò in bagno, e provò a sciacquarsi il viso con l'acqua fredda a cercare un po' di sollievo.
Si guardò allo specchio: era pallido, le occhiaie, ormai tendenti al nero, imploravano pietà; gli occhi erano due buchi neri pronti a raccogliere tutto ciò che li circondava. Il sorriso, quel sorriso che pensava che sarebbe stato perenne sul suo volto da quando aveva incontrato Defne, non c'era più. Era morto con l'idea che aveva di lei.
Fu allora che avvertì il rumore dello specchio che si infrangeva sotto le sue nocche, mentre il bruciore intenso si diffondeva dal pugno lungo tutto il braccio. La sua immagine spezzata continuò a fissarlo con cento occhi tutti uguali. Con un urlo in cui era racchiusa tutta la sua rabbia e la sua frustrazione, tirò via dalla parete l'intera cornice e la scaraventò a terra.
Un rivolo di sangue scese lentamente dal suo pugno fino a gocciolare nel lavandino.
"Cazzo!" Esclamò, poi aprì il rubinetto e si sciacquò la ferita. Prese l'acqua ossigenata dal mobiletto e la disinfettò, poi la fasciò alla meglio con un po' di garza.
Aveva mille pensieri nella testa e non riusciva a metterne a fuoco neanche uno. C'erano solo quegli occhi, quegli occhi inondati dalle lacrime e dal dispiacere che lo perseguitavano.
Non era riuscito a trovare pace. Era combattuto tra la rabbia che gli montava dentro come la marea e la paura che le accadesse qualcosa.
In più, l'uomo che più odiava al mondo respirava ancora, e questo pensiero gli stringeva lo stomaco in un pugno.
Come aveva potuto essere così stupido? Eppure quando l'aveva conosciuta, quando aveva sentito per la prima volta il suo nome, il campanello d'allarme era suonato nella sua testa, ma l'aveva ignorato.
Aveva voluto ignorare, per complicate e sconsiderate ragioni di cui solo il suo cuore era a conoscenza.
Gli aveva mentito fin dall'inizio? Era d'accordo con Deniz per ottenere qualcosa che lui ignorava? Chi era la donna che aveva amato pazzamente? Si, era stato proprio un pazzo a darle tutto il suo cuore, la sua anima, senza preservare neanche un pezzettino di sé stesso. Era chiaro che Defne sapesse e che non gli avesse detto nulla appositamente, almeno finche non era stata costretta.
Fratello.
Quel bastardo era per lei l'esatto equivalente di quello che Michelle era stata per lui.
Un legame di sangue. Qualcosa di indissolubile, che per quanto si possa assottigliare all'inverosimile, non si sarebbe mai spezzato. Nella sua mente si affollavano mille pensieri, nuovi sospetti prendevano forma. Se Deniz avesse usato sua sorella per vendicarsi di lui? Se avessero messo su quella messinscena per ottenere qualcosa? Probabilmente se Lennon non li avesse scoperti, Defne avrebbe continuato a tenerglielo nascosto per sempre. Per tutta la notte aveva ripercorso tutta la loro storia, e no, non c'era stato un singolo istante in cui avesse dubitato di lei. Come poteva una persona sembrare così pura e candida, e invece nascondere dietro a quella facciata angelica dei segreti così inconfessabili?
E perché,nonostante tutto, il suo pensiero continuava ad essere rivolto a quella casa? Si sentiva angosciato all'idea che Deniz potesse farle del male, che da un momento all'altro avrebbe potuto udire le sirene della polizia e che avrebbero potuto portarla via davanti ai suoi occhi.
Tornò in camera e guardò attraverso la finestra. Le luci erano spente, sembrava che stessero dormendo tutti. In cuor suo, si era aspettato che lei lasciasse lì quel bastardo e che l'avesse seguito, quantomeno per dargli una spiegazione. Ma non l'aveva fatto, era rimasta con lui. Aveva scelto lui.
Lennon si sentiva tradito, e neppure aver riempito quel verme di botte era riuscito a rasserenarlo.
Con la mano dolorante e l'anima irrequieta si raggomitolò ad un angolo del letto, sperando che il sonno arrivasse a portare l'oblio.

Defne rimase a letto per quasi tutto il giorno successivo. Aveva trascorso la notte in camera con Steffy, perché non voleva rimanere da sola, ma il risultato fu comunque che non chiuse occhio. Si era addormentata solo un po' quando ormai si stavano alzando le prime luci dell'alba, ma fu comunque un sonno agitato e tormentato da incubi. Erano successe così tante cose, tutte insieme, che aveva bisogno di fermarsi e riflettere. Si sentiva annientata, tutto le sembrava ovattato, distante. Rivedere Deniz dopo tanti anni era stata un'emozione fortissima, non positiva perché lui era fin troppo diverso dal bambino che aveva conosciuto, ora era un farabutto e anche un ladro. La collana che le aveva rubato aveva un significato così importante per lei, oltre al fatto che avesse un valore in denaro notevole. Solo l'idea che avrebbe scambiato il suo gioiello al banco dei pegni in cambio di una manciata di soldi, la nauseava. Pensò di non aver fatto la cosa giusta con lui; si era lasciata intenerire dal pensiero del passato, quel passato che ci propina l'illusione del ricordo, di un legame che ormai non esisteva più, se non puramente carnale. Di sangue. Avrebbe dovuto ascoltare Lennon e chiamare la polizia. Saperlo in carcere l'avrebbe fatta sentire più sicura, più tranquilla. Come avrebbe potuto vivere serenamente, con il pensiero che suo fratello sarebbe potuto tornare una volta finiti nuovamente i soldi? E poi c'era Lennon. Lui aveva tutte le ragioni per essere arrabbiato con lei, non avrebbe potuto dargli torto se lui non l'avesse più voluta neanche vedere. Avrebbe certamente provato a parlagli, ma la rabbia, la furia che aveva visto in lui, nei suoi occhi incendiati, non era qualcosa che poteva svanire da un giorno all'altro. Aveva cercato con tutte le sue forze affinché tutto questo non accadesse, ma il destino era stato crudele e il peggiore dei suoi incubi si era realizzato. Con una scenografia in grande stile, come in un film. In qualche modo si era anche preparata al peggio, ovvero sapeva che la loro storia d'amore fosse a tempo determinato. Lo sapeva e gliel'aveva anche ricordato quella strega di sua madre; ma Regina aveva ragione, Lennon non avrebbe mai accettato quel legame di sangue che la vincolava inevitabilmente all'immagine dell'uomo che odiava da sempre.
Era mezzogiorno inoltrato quando Steffy entrò nella sua camera.
"Ehi. Come stai? Vuoi pranzare qualcosa? Io sto andando da Travis, ma se vuoi ti preparo qualcosa di caldo."
Defne si alzò sui gomiti.
"Mangiare? No, no. Per carità. Vai da Travis, non preoccuparti. Deniz non tornerà più."
"Hai intenzione di rimanere qui come una moribonda per tutto il giorno?"
Defne sospirò. "Non ho le forze, Steffy. Mi sento svuotata. Tutto quello che temevo è successo, ed è successo nel peggiore dei modi."
"Troppo dolore porta ad un annullamento dei sensi, Defne. Devi reagire." Fu la diagnosi definitiva della sua saggia amica. "Rimettiti in piedi, fai una doccia calda, metti addosso qualcosa di carino e vai a parlargli. Digli tutto. Magari sul momento non ti ascolterà, o ti caccerà via, ma poi rifletterà, vedrai. Ho capito il tipo. È uno che rimugina fino a farsi sanguinare le meningi."
Defne annuì. "Si, è anche paranoico. Per questo ho paura, si sarà costruito chissà quale film in testa. Sono certa che non abbia proprio pensato alla possibilità che io non gli abbia detto nulla per paura che finisse tutto."
Steffy scrollò le spalle. "Te l'avevo detto che nascondergli la verità era una follia. Che l'avrebbe presa peggio."
"Non sono pentita di non averglielo detto. Dopo quello che ho visto sono assolutamente sicura che mi avrebbe lasciata comunque. Perché sono la sorella di Deniz. Vedrai, tornerà con Jessica e farà il papà a tempo pieno."
Defne rabbrividì al solo pensiero.
"Per me barbie non è neanche incinta. Ma questo non è un problema che devi risolvere ora, pensa prima a te, ok?"
Una volta che Steffy fu uscita e rimase sola a casa, Defne cercò di seguire il consiglio della sua amica. Il cuore le sanguinava. L'anima aveva ricevuto un colpo terribile, ma il corpo doveva reagire. Fece una doccia calda, asciugò i capelli, si truccò con cura le labbra, tanto sicuramente nessuno le avrebbe cancellato il rossetto con un bacio; avrebbe dovuto fare qualcosa anche per gli occhi, gonfi e malconci, ma era sicura che avrebbe pianto e quindi preferì non mettere nulla. Indossò un vestitino in maglia verde acido, che le ammorbidiva le forme e le arrivava appena sopra al ginocchio, e gli stivaletti biker marroni. Non pensava di sedurlo, lo faceva soprattutto per sé stessa, per non sentirsi ancora più orribile di quanto lui l'avrebbe certamente fatta sentire.
Si armò di coraggio e uscì di casa, alla volta del vialetto della villa di Lennon. Si sentiva ansiosa, probabilmente non sarebbe stata in grado di trasformare in parole i pensieri che la tormentavano. Non nutriva grandi speranze su quell'incontro; forse lui l'avrebbe cacciata via ancor prima di dire qualsiasi cosa.
La porta d'ingresso era socchiusa, spesso durante il giorno la lasciava aperta, per permettere a Nina di entrare e uscire a suo piacimento. Con il cuore in gola spinse l'anta in avanti e chiuse gli occhi. Percorse ad occhi chiusi il breve tragitto che conosceva a memoria, fino all'arco del salotto e fu allora che li aprì.
Lennon era lì, seduto sul divano, con la chitarra sulle ginocchia e il capo chino a fissare lo strumento, ma senza neanche toccarlo.
Defne rimase qualche secondo a guardarlo. Aveva i capelli sciolti, arricciati e arruffati che gli piovevano a tendina sul viso, con lo sguardo perso in chissà quali lontananze, con i pensieri impegnati in chissà quali battaglie.
Quando si accorse della sua presenza alzò gli occhi su di lei, solo quelli, senza muovere nessun'altra parte del corpo. Il suo sguardo era un tunnel così vuoto e profondo che Defne si sentì trafitta e temette di annegare in quegli abissi così scuri e fermi.
Fece qualche passo avanti, titubante e, man mano che si avvicinava, si sentiva avviluppare sempre di più in quei buchi neri che erano i suoi occhi, fissi su di lei, il suo volto non tradiva la benché minima espressione, era come guardare il muro bianco di una stanza completamente vuota.
Le tremavano le gambe. Si avvicinò all'altro divano che faceva angolo con quello dove era seduto lui e si sedette. Notò che aveva una mano fasciata. Probabilmente si era ferito anche lui durante la colluttazione con Deniz.
"Sono venuta qui per parlarti. Ti chiedo solo di ascoltarmi, poi potrai continuare a non rivolgermi la parola, se è quello che desideri." Mormorò con voce tremolante, deglutendo a vuoto di continuo.
Lui sollevò leggermente il capo per guardarla in volto. I suoi occhi erano adesso pieni di rabbia, rancore, ferocia. No, non si era calmato.
"Lennon..." disse sottovoce, allungando istintivamente la mano per toccarlo, ma lui si ritrasse. Poi le labbra di Lennon si schiusero senza preavviso, rimaste cucite tra loro dall'ennesimo e lungo silenzio
"Non parlare, non pronunciare nemmeno il mio nome, non dire niente." La zittì, battendo con le mani sul legno dello strumento sulle sue ginocchia.
Defne trasalì; non sapeva cosa fare a quel punto, se imporsi o andare via. Una soluzione valida poteva essere quella di impiccarsi con le corde di quella chitarra.
"L'ho fatto perché avevo paura di perderti, di perdere quello che eravamo. Volevo dirtelo ad un certo punto, la sera in cui mi hai detto della gravidanza di Jessica, ma non ci sono riuscita."
Lennon sospirò e Defne ebbe come l'impressione che dalle sue narici uscisse fumo, come se fosse un drago sputa fuoco.
"Perché mi hai fatto questo?" Il dolore racchiuso in quelle poche parole la fece sentire addirittura peggio.
"Te l'ho detto. Avevo troppa paura di perderti."
Lennon scattò in piedi come una molla.
La guardò, con gli occhi sbarrati, poi esplose in un urlo spaventoso: "Basta! Basta sotterfugi, basta bugie, basta omertà, basta paura! È l'ora di dire la verità. Qual era il vostro scopo? Cosa volevate ottenere? Soldi? Vendetta? Cosa?"
Un dolore acuto, intollerabile assalì Defne, lasciandola pietrificata. Era sicura che lui si fosse dato le sue spiegazioni, ma non lo credeva capace di arrivare a pensare così male di lei.
Si alzò anche lei, incerta se le gambe avrebbero retto o meno e si mise alle sue spalle.
"Cosa cazzo stai dicendo? Soldi? Vendetta? Chi cazzo credi che io sia, Lennon?"
Era chiaro che lui si sentisse sotto shock, furioso e tradito. "Chi sei?" chiese girandosi di scatto.
"Defne." Rispose lei riuscendo a reggere finalmente il suo sguardo killer.
"Cosa vuoi Defne? Cosa sei venuta a fare? Volevi vedermi? Parlarmi? Eccomi. Guardami mentre vado in pezzi, mentre riduci in brandelli l'ultimo frammento di anima che mi era rimasto. Guarda cos'hai fatto, Defne, guarda cos'hai rovinato, cos'hai perso. Cosa ti ho fatto per meritarmi questo?" Gridò, con gli occhi di fuori e la vena del collo che gli pulsava visibilmente.
Defne sentì le sue labbra tremare e le spalle iniziarono ad essere percorse da piccole scosse. Cercò di affogare i singhiozzi che stavano per arrivare.
"Io non lo sapevo. Non lo sapevo finché non ho visto la foto su quel giornale. Non potevo immaginare, non sapevo neanche chi fossi. Come puoi credere che io ti abbia potuto ingannare in quella maniera? Come puoi pensarmi capace di simili bassezze? Soldi? Quando mai ho dato importanza ai soldi?"
Sputò tutto d'un fiato, appena prima di accasciarsi sul divano con il viso tra le mani e scoppiare a piangere.
"Non capisci. Non capisci che non mi fido più di te? Che qualsiasi cosa tu dica, o dirai, avrò sempre il sospetto che mi stai mentendo? Non so di cosa tu sia capace. Dopo aver scoperto che sei la...sorella di quell'uomo, e dopo che me l'hai tenuto nascosto, posso aspettarmi qualsiasi cosa da te. Non riesco neanche a guardarti, perché vedo quella lurida faccia di merda di Deniz Kaya! Lo capisci? Dovevo arrivare a scoprire la verità persino per rendermi conto che gli somigli, Defne!"
Era fuori di sé e Defne non poteva più reggere una singola parola di più.
"Hai ragione. Ho sbagliato a venire qui. Avrei dovuto immaginarlo. Ti lascio qui con i tuoi demoni. Ora ne hai uno in più a farti compagnia!" Si alzò e in fretta raggiunse la porta.
"Dove stai andando?" Le gridò dietro.
"A casa." Disse lei, e senza voltarsi uscì, attraversò la strada correndo ed entrò in casa sua. Non si chiuse neanche la porta alle spalle, cercò la prima superficie dove potersi mantenere in piedi e trovò il tavolo, ansimava e piangeva, mentre si premeva la mano sul petto come a voler fermare quel cuore che minacciava di sfondarle il petto.
Ci mise un po' per riacquistare il controllo dei suoi nervi, ed era così agitata che non si era accorta che lui l'aveva seguita fin dentro il soggiorno di casa sua.
"Che cosa vuoi ancora? Non ti è bastato quanto mi hai mortificata ?" Domandò asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
"Non è nulla in confronto a quello che mi hai fatto tu." Le disse, prendendole un braccio e stringendolo con forza. Defne si bloccò. "Che vuoi fare? Vuoi picchiare anche me?".
Lennon allentò la stretta. "Non ti alzerei mai nemmeno un dito, non dire stronzate."
"Cosa vuoi." Ripeté, ormai allo stremo delle forze.
"Dimenticare. Tutto. Ma è impossibile."
"Tutto cosa? Quello che ti ho nascosto? Il fatto che nelle mie vene scorre lo stesso sangue della persona che incolpi da tutta la vita? Cosa vuoi dimenticare Lennon? Vuoi dimenticare me?"
"Non ti dimenticherò, ma non riuscirò comunque più a vederti con gli stessi occhi. È giusto che te lo dica, così non nutrirai inutili speranze."
Defne alzò lo sguardo sul suo viso bellissimo, freddo, duro, ma bellissimo. Nei suoi occhi riuscì a leggere dolore, rimpianto, rammarico.
Si chiese se Lennon avesse mai provato veramente per lei il sentimento profondo che tanto decantava, o se fosse come gli innumerevoli maschi che conosceva, che alla prima difficoltà lasciavano perdere e avanti la prossima.
"Non ne nutro. Affatto. Perché ho capito tutto."

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