Parte 24 - Blue on Black

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Defne guardò attraverso il finestrino, mentre si lasciavano alle spalle i lussureggianti campi di lavanda e la rigogliosa vegetazione del Somerset. Si strinse tra le braccia, tremando per il freddo. Il cappottino che indossava era troppo leggero per quella stagione, ma non ne aveva un altro più pesante. Guardò Deniz, seduto alla sua sinistra; aveva lo sguardo dritto di fronte a sé e l'espressione fredda, dura, come sempre.
Il ciuffo di capelli neri ribelli gli cadeva sulla fronte. Stava diventando un bel ragazzo.
"Dove ci stanno portando?" gli domandò, lui non rispose subito, ma si girò verso di lei e il suo sguardo torvo si addolcì come tutte le volte in cui osservava la sua sorellina.
"Ci portano a Bath, è una città molto bella, ho visto le foto sui libri. Avrai una nuova mamma e un nuovo papà da stasera." Le disse accarezzandole la testa.
Defne aprì la bocca in un'espressione di sorpresa. "Ma io non voglio una nuova mamma e un nuovo papà, io voglio stare con te!" gridò, abbracciandolo improvvisamente in maniera così forte che Deniz quasi sussultò.
Deniz le alzò il mento e la costrinse a guardarlo negli occhi. Quelli della bambina erano pieni di lacrime.
"Io starò con te finché non sarai grande, te lo prometto. Mi prenderò cura di te sempre Defne, e ti vorrò sempre bene, anche se un giorno ci divideranno."
"Non ci divideranno Deniz. Non mi lasciare fratellino! Non mi lasciare!"

Defne si svegliò di soprassalto; era sudata e il cuore le batteva forte. Era solo un sogno. La notizia dell'incendio l'aveva evidentemente scombussolata più di quanto pensasse. Si guardò attorno, spaesata. I suoi occhi pesanti piano piano si abituarono alla luce grigiastra che entrava dalla finestra e misero a fuoco la camera da letto di Lennon. Toccò il materasso alla sua destra, era vuoto, lui non c'era. Guardò la sveglia digitale sul comodino, mezzogiorno e mezzo, ma quanto aveva dormito?
Ricordò lentamente che aveva avuto la febbre molto alta quella notte e che Lennon le aveva dato un'aspirina per farle scendere la temperatura e l'aveva cullata tra le braccia per tutto il tempo, finché non si era addormentata profondamente.
"Lennon?" Chiamò a voce alta, ma non ottenne alcuna risposta. Forse era uscito.
Lentamente uscì le gambe da sotto al piumone caldo e indossò la felpa e le scarpe da tennis.
Si toccò la fronte, forse aveva ancora qualche decimo.
Scese lentamente le scale che portavano al piano terra, mantenendosi al corrimano per mantenere l'equilibrio. Si sentiva un po' frastornata.
Andò direttamente in cucina, convinta che Lennon non fosse in casa. Prese la bottiglia dal frigo e si versò un bicchiere di succo di frutta alla pesca. Bevve lentamente, guardando dalla finestra della cucina la sua casa esattamente di fronte. Steffy sicuramente non c'era e probabilmente Andrés era andato alle saune, come ogni sabato.
Restò qualche minuto ad osservare la strada, poi andò in salotto.
Trasalì quando vide che Lennon era lì, seduto sul divano, con lo sguardo perso nel vuoto e un quotidiano accartocciato tra le mani.
Non si accorse neanche della sua presenza.
"Lennon! che hai?" Defne corse verso il divano e si inginocchiò proprio dietro di lui, appoggiando il mento sulla sua spalla e allacciandogli le braccia attorno alle spalle.
Lennon sospirò ma non rispose. Sul tavolo di fronte a lui c'era un bicchiere di birra mezzo pieno e una foto di famiglia: Lennon, Michelle e suo padre in primo piano, sorridenti ad un concerto, probabilmente un festival.
Michelle, bellissima, indossava una maglietta bianca con il logo degli Oasis, invece un giovane Lennon, con i capelli più corti di come li aveva ora ed il ciuffo davanti all'occhio lungo e ribelle, faceva la linguaccia alla fotocamera e metteva in bella mostra un piercing alla lingua. Il padre, al centro, li abbracciava entrambi.
"Lennon?" Gli mormorò dolcemente Defne all'orecchio. "Amore, che succede?"
Lui non si voltò, non ricambiò il suo abbraccio; era rigido, immobile.
"Quel bastardo è scappato." Sussurrò.
"Chi? Quale.."
Lui non sembrò ascoltarla e iniziò a parlare, come un automa.
"Quella notte tornai tardi a casa. Era passata l'una, avevo un gruppo musicale all'epoca, suonavamo sempre insieme la sera dopo le lezioni e ci scolavamo decine di birre. Michelle frequentava università, viveva nel campus ma era tornata qualche giorno a casa per...mia sorella era depressa, era una ragazza molto fragile, aveva sofferto molto il rapporto teso con sua madre, quella stronza non perdeva occasione per farla stare male, per farla sentire inadeguata. Aveva iniziato a drogarsi già al college. Aveva iniziato con la marijuana, a farsi le canne, come tutti, poi le prime sniffate di coca in discoteca con gli amici e si sa come vanno queste cose..."
Defne lo ascoltò attentamente, con gli occhi spalancati ed evitando anche di respirare per non interromperlo.
"Al campus è finita in un giro di merda, ha iniziato a farsi di roba più pesante, si è invaghita di quel pezzo di merda che l'ha...è andata avanti così per un anno. Probabilmente spacciava con quel figlio di puttana, questo non l'ho mai saputo perché Regina insabbiò tutto, ma per i miei diciotto anni mi regalò un orologio molto costoso e sicuramente i miei sapendo quello che faceva, non le lasciavano tutti quei soldi a disposizione.
In quei giorni, era  tornata a casa perché quel coglione l'aveva lasciata. Piangeva tutto il giorno, era inconsolabile, aveva detto di aver smesso con quella roba. Io non avevo capito. Neanche mio padre aveva capito. Ci siamo fidati delle sue parole. Quella notte quando rientrai me ne andai in camera mia, ma continuavo a sentire un gorgoglio fastidioso, come l'acqua che scorre nel lavandino . Ho ancora nelle orecchie quel suono. Pensai che qualcuno avesse lasciato il rubinetto aperto e andai in bagno e lei era lì."
Il corpo di Lennon era scosso da brividi, Defne lo strinse più forte, mentre sentiva le lacrime rigarle il viso. Lui respirò brevemente, poi continuò, inarrestabile, come un disco rotto.
"Era riversa sul pavimento, aveva la schiuma alla bocca, gli occhi spalancati con le pupille piccole come spilli e le labbra erano diventate blu. Allora la chiamai, iniziai a scuoterla, gridai come un pazzo finché non arrivò anche papà. Ma Michelle era priva di sensi, nessuna reazione; il dolore, la paura, la disperazione, la corsa in ospedale ricordo ancora ogni singolo istante. Mia sorella era morta. Overdose da Fentanyl, ci dissero. Non fu l'unica, quella notte anche un altro ragazzo morì con la stessa droga e qualcun altro fu salvato in extremis. La mia famiglia dichiarò a tutti che Michelle aveva perso la vita per colpa di un aneurisma cerebrale, Regina e suo marito pensarono a tutto, per loro era più importante non rovinarsi la reputazione. Quella carogna del suo ragazzo ebbe anche la faccia tosta di presentarsi in lacrime al funerale di mia sorella. Se non mi avesse fermato mio padre, l'avrei ucciso. Qualche giorno dopo fu arrestato; La droga tagliata male l'aveva venduta lui, i clienti che erano sopravvissuti alla partita tagliata male lo avevano denunciato e di conseguenza anche mio padre espose denuncia. Le nostre vite furono stravolte. Mio padre non riuscì mai a superare la morte della figlia. Non riusciva neppure più a riposare: spesso nel cuore della notte si alzava dal letto ed usciva di casa. Più volte lo abbiamo ritrovato al cimitero: diceva che voleva stare vicino a Michelle. Finché non ha retto più e l'ha fatta finita. Lo ritrovai al ritorno da scuola, neanche un anno dopo la perdita di Michelle. Avevo perso tempo al bar, avevo iniziato a bere. Potevo salvarlo, ma sono arrivato tardi. Tagliai quella corda, respirava ancora, ma quando arrivò l'ambulanza se n'era già andato..."
Defne era stravolta, avrebbe voluto parlargli , dire qualcosa che potesse migliorare le cose, ma nulla poteva cancellare la tragedia che l'aveva colpito. Si chiese cosa avesse provato quando la vita gli si era rivoltata contro portandosi via le due persone più importanti che avesse al mondo; si chiese se avesse avuto l'orrendo privilegio di guardarli morire e rabbrividì al solo pensiero.
Il silenzio all'improvviso fu insopportabile e Defne non riuscì a trattenersi.
"Mi dispiace molto per la tua famiglia."
Lennon sussultò e quasi versò la birra sul tavolo; per un istante fu come se si assentasse: fissò un punto oltre le sue spalle, un punto così lontano che Defne temette di non poterlo più raggiungere.
Passarono dei secondi strazianti e alla fine Lennon fu scosso da un singulto, prese un respiro profondo come fosse sul punto di affogare e poi strizzò gli occhi mentre le lacrime scivolavano sulle sue guance.
Defne rimase rigida mentre lui si portava le mani sul viso, come se volesse nascondersi, sparire. Piano, il suo respiro tornò regolare e aveva gli occhi arrossati ma niente più lacrime.
"Anche a me". confessò tremante. "Da quel momento in poi, il dolore è stato solo dolore. Riesco a gestirlo, anzi ormai per me è la cosa più semplice. E' tutto il resto, felicità, divertimento, amore ad essere stato sempre maledettamente complicato. E tutto per colpa di quel bastardo figlio di puttana che doveva solo bruciare in quell'inferno e invece è riuscito a scapparne."
Lennon lanciò nervosamente sul cuscino il quotidiano che aveva stritolato tra le mani fino a quel momento, e nel cadere il foglio si aprì sulla pagina che stava leggendo. Defne si sentì mancare l'aria, mentre un'orribile sensazione le attanagliava la gola. Sollevò il giornale con mani tremanti.
Dovette chiudere e riaprire gli occhi tre volte prima di riuscire a leggere il titolo, la vista si era appannata e un insolito calore partito dal centro del petto si era irradiato per tutto il viso.
'Incendio nel carcere di Bullingdon: Cinque detenuti in fuga. È caccia all'uomo.'
Defne scorse con occhi impazziti le foto degli evasi e lo riconobbe immediatamente.
Deniz.
Le mani incominciarono a sudare e le gambe tremavano ferme e bruciavano insieme al suo stomaco, sentì il cuore congelarsi dentro al petto e la terra che le veniva a mancare sotto ai piedi.
Magari era un altro. Magari non era lui.
Lennon si accorse del suo turbamento, e le passò un braccio attorno alle spalle, attirandola più vicina a sé. "Mi dispiace di averti turbato." Le disse accarezzandole il braccio. "Ora capisci perché ho sempre avuto qualche problema con il tuo cognome."
Defne tossì. Le orecchie le fischiavano in maniera fastidiosa, cancellando il silenzio abissale di quel luogo. Aveva voglia di vomitare.
Guardò Lennon, ma lui continuava a pensare silenziosamente alla sua tragedia e a non collegare. Lei invece voleva urlare. Le sue parole l'avevano colpita come un fulmine a ciel sereno, come un secchio d'acqua gelata.
Abbassò lo sguardo senza sapere bene che dire.
In fondo, cosa c'era da dire?
Solo che tutte le sue speranze erano crollate come un castello di carte e che l'unica cosa che riusciva a visualizzare in quel momento, era la fine della sua storia d'amore.
Improvvisamente Lennon le poggiò la mano in fronte, guardandola preoccupato. "Sei di nuovo bollente. Dovresti riposare...".
Defne si ritrasse. No, non avrebbe potuto continuare così a lungo, doveva dirglielo.
"Amore, che c'è? Non vuoi che ti tocchi?" Chiese ferito. Defne lo fissò e l'amore e l'apprensione che lesse dentro ai suoi occhi le fecero aggrovigliare ancora di più lo stomaco. Quell'uomo l'amava a tal punto da averla dissociata totalmente nella sua testa da Deniz Kaya, da non pensare neanche lontanamente che tra i due ci potesse essere qualsiasi legame. Di nuovo, all'improvviso Defne sentì una bolla di ansia bloccarle il respiro. Ansimò per prendere fiato, Lennon se ne accorse.
"Credo di avere la febbre molto alta." Balbettò in totale confusione. Lennon si era aperto a lei completamente, le aveva raccontato con sincerità tutta la tragedia che l'aveva colpito, un dolore enorme; ed ora lei avrebbe voluto consolarlo, dirgli che era tutto passato, che adesso c'era lei, che non avrebbe dovuto soffrire più . Ma era paralizzata, incapace di dire anche una parola di più.
Perché lui avrebbe sofferto ancora.
"Vado a prenderti un'altra aspirina." Disse lui accennando ad alzarsi, ma Defne lo trattenne sul divano.
"No, lascia stare. Non preoccuparti. A casa ho del paracetamolo. Andrés ha un'intera farmacia in camera. Mi darà qualcosa lui." Mormorò lei, evitando di guardarlo negli occhi mentre parlava.
"Sei sicura? Puoi rimanere qui, cambiamo le lenzuola al letto e potrai tornare a dormire."
Defne scosse la testa. L'oppressione che sentiva nel petto era diventata insopportabile. Voleva solo scappare da lì.
"Vado a casa mia. Se mi sento meglio torno più tardi."
"Come vuoi. Se ti senti più a tuo agio...".
Le prese il viso tra le mani e le posò un bacio lieve sulle labbra. Ma Defne non sentì niente. Non sentiva più niente, solo il cuore che le martellava nel petto.
Si alzò dal divano temendo che le gambe non la reggessero, raccolse la borsa dalla poltrona dove l'aveva lasciata la sera prima e accennando un mezzo sorriso forzato si avviò verso la porta.
Percorse il breve tratto che la separava da casa sua in stato di trance; le mani le sudavano copiosamente, persino le chiavi di casa le scivolarono due volte, cadendo a terra.
Quando entrò fu rincuorata dal constatare che non c'era nessuno. Si lasciò cadere con le spalle contro la porta, fino a sedersi sul pavimento, con delirante abbandono. Non è possibile, pensò afferrandosi la testa fra le mani. I capelli le ricaddero sulla fronte a coprirle gli occhi. Le lacrime le si fermarono tra le palpebre; la sua disperazione era tale che non riusciva nemmeno a piangere.
Era così scioccata che non riusciva neanche a ripetere mentalmente, a ripercorrere i fatti, a pensare lucidamente.
Tutto dentro di lei urlava.
Michelle era morta per la droga che le aveva dato Deniz.
Suo fratello aveva causato la morte della sorella dell'uomo di cui era innamorata.
La persona che Lennon odiava di più al mondo, aveva nelle vene lo stesso sangue della donna che amava.
In qualunque maniera provasse a dirselo, suonava sempre peggio, e l'unico finale plausibile era sempre lo stesso: Lennon l'avrebbe lasciata, avrebbe odiato anche lei.
Si alzò da terra e si avventurò su per le scale cercando di non perdere l'equilibrio. Stava per entrare in camera sua, quando un violento attacco di nausea non le salì in gola: con un terribile sforzo, si trascinò fino al bagno e vomitò nel water. Il dolore che le serrava lo stomaco non era nulla rispetto alla paura che le attraversava il corpo. I conati non cessarono subito, anche se non aveva mangiato nulla e stava rimettendo solo liquidi giallastri e sicuramente il succo alla pesca che aveva bevuto a colazione. Quando si sentì sicura sulle gambe, aprì il rubinetto del lavandino e si versò dell'acqua fredda sul viso. Si guardò allo specchio, e il volto che vide riflesso era quasi irriconoscibile: bianco come un lenzuolo, con gli occhi piccoli e infinitamente tristi e con labbra tremanti per lo sforzo di non scoppiare a piangere. Poi guardò il pavimento e visualizzò Michelle priva di vita con la faccia viola e la siringa nel braccio. Defne dovette aggrapparsi al lavabo di marmo per non accasciarsi per terra. Vomitò ancora.
Appoggiandosi al muro per non cadere raggiunse la sua stanza, chiuse la porta e si infilò sotto le coperte, nascondendo come da abitudine la chiave sotto al cuscino.
Defne provava un dolore fisico, sentiva una morsa al cuore che le impediva addirittura di respirare. Finalmente, le lacrime le fluirono dagli occhi, mentre giaceva sul letto guardando il soffitto completamente immobile, con il solo petto che sussultava per gli spasmi dei singhiozzi.
Il destino aveva giocato a lei, a loro, uno scherzo troppo crudele.
Pensò a Lennon, al tremore che ancora oggi scuoteva le sue membra mentre ricordava la tragedia che aveva vissuto, alla sua giovane vita devastata dal dolore della morte. Chissà quanto aveva sofferto e nonostante tutto, era stato pronto ad aprirle il suo cuore, aveva amato di nuovo e adesso il dolore era di nuovo lì dietro l'angolo.
Il loro amore era un sentimento così pulito che Defne avrebbe voluto tenerlo protetto dal mondo, la paura di perderlo era immensa. E quasi come se una morsa le mordesse lo stomaco per non farle dare retta a quel che pensava, sentì il cuore crollare nel momento in cui realizzò che se lei gli avesse detto che Deniz era suo fratello, lui non l'avrebbe voluta più vedere. E lei sarebbe morta. Ora che l'aveva trovato, non poteva neanche immaginare la sua vita senza di lui.
Dannato Deniz!
Sentì un dolore martellante alla testa e l'istinto la portava a coprirsi gli occhi con il braccio, ma non riusciva a muoversi. Allora li chiuse e si sentì risucchiare in un vortice di oscurità che sembrava contorcerle il corpo. Poco dopo, cadde in un sonno profondo.

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