Parte 5- Blood Red Wine

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Il mattino successivo Lennon si svegliò con un cerchio alla testa, il corpo pesante, una nausea sottile e un leggero senso di smarrimento. Il cielo fuori dalla finestra aveva il colore del piombo tipico delle giornate invernali a Londra.
Provò a sollevare leggermente la testa, ma sgranò gli occhi e la testa ricadde come una zavorra sul cuscino quando si accorse di una gamba liscia e candida intrecciata alla sua tra le lenzuola stropicciate.
Porca puttana.
Chiuse gli occhi e li riaprì dopo qualche secondo, sperando che fosse solo un sogno e che non avesse veramente passato la notte con Jessica.
Si voltò lentamente, gli faceva male persino il collo; ma che cazzo aveva fatto quella notte?
Jessica era lì, accanto a lui, coperta dal solo lenzuolo. Aveva un seno ed entrambe le gambe scoperte e dormiva profondamente.
Cazzo.
Lennon si passò le mani sulla faccia, nell'improbabile tentativo di pulire via il disgusto che provava per sé stesso in quel momento. Tutto ciò era così sbagliato.
A fatica si mise seduto sul bordo del letto, rendendosi conto con stupore, che, almeno lui indossava ancora le mutande.
Cercò di ricordare cosa fosse accaduto la sera precedente, ma l'unica immagine che aveva in mente era lui che apriva la terza bottiglia di vino.
La scritta rossa che lampeggiava dalla sveglia sul comodino, gli ricordava che erano le 8:30 e che in meno di mezzora sarebbe arrivata la ditta di pulizie. Doveva svegliare Jessica e mandarla via prima che arrivassero.
Si sporse verso di lei e le poggiò una mano sulla spalla nuda, scuotendola leggermente. Lei aprì lentamente gli occhi e non appena lo vide, il suo viso assunse un'espressione sognante.
"Buongiorno" gli disse sorridendo, mentre si copriva il seno con il lenzuolo.
"Buongiorno. Ti avrei lasciata dormire in pace, ma sto aspettando l'impresa di pulizie e poi devo fare una visita in azienda."
Le disse infilandosi la maglietta che aveva appena recuperato dal pavimento.
Con la coda dell'occhio la vide stiracchiarsi e poi girarsi dall'altra parte.
"Jessica? Forse non sono stato chiaro. Devi alzarti e andar via prima che arrivino le signore delle pulizie." Stava iniziando ad alterarsi.
"Sei antipatico, ieri notte eri molto più gentile con me." Brontolò tirandosi il lenzuolo fin sopra la testa.
Ottimo. Aveva scopato con Jessica e neanche se lo ricordava? Se pensava al momento in cui le aveva versato il primo bicchiere di vino, sarebbe volentieri tornato indietro e si sarebbe dato uno schiaffo sulla nuca, come quelli che gli dava suo padre quando da ragazzo faceva qualche cazzata.
"Cosa ho fatto ieri notte?" Le chiese afferrando il lembo del lenzuolo e scoprendole gli occhi. Lei lo guardò fisso per qualche secondo.
"Non te lo ricordi?"
Lennon negò con la testa. Si sentiva veramente uno schifo. Non aveva mai bevuto al punto di non ricordarsi di aver fatto sesso con una donna.
Inoltre per quello che ricordava aveva bevuto solo vino. Ma a quel punto non escludeva di aver mischiato con altri alcoolici o di essersi fatto una canna o qualcosa di più pesante.
Notò che Jessica si era azzittita e continuava a fissarlo pensierosa. Si stava comportando come uno stronzo e ne era consapevole; probabilmente l'aveva ferita ancora una volta, anche se Jessica non era mai stata una persona particolarmente sensibile; inoltre non c'era proprio motivo di mentirle e complimentarsi per la nottata memorabile, dal momento che il suo cervello l'aveva totalmente rimossa.
"Vado a farmi la doccia, se vuoi il caffè trovi tutto l'occorrente in cucina."
Raccolse anche i jeans dal pavimento, prese un paio di mutande pulite dalla valigia che non aveva ancora svuotato e si diresse in bagno.
Come ci si lavava di dosso il disprezzo per sé stessi?

Ogni volta che Defne riusciva a prendere la metro alle otto di mattina e ad uscirne ancora viva si sentiva una specie di eroina Marvel senza costume. Se ci fosse stata una parola per descrivere i treni che convergevano di prima mattina nel centro di Londra, questa sarebbe stata sicuramente inferno.
Correvano tutti. Defne non si sarebbe mai abituata realmente a tutta quella frenesia: lei era cresciuta a Bath, una città piccola, tranquilla, nella campagna del Sud Ovest dell'Inghilterra, dove tutto procedeva lentamente, le persone andavano a lavorare a piedi perché era tutto molto raccolto e vicino.
Ma a Londra a prima mattina vedeva la gente correre, correre e alla fine per inerzia correva anche lei; senza un reale motivo, in quanto il suo quartiere era così vicino al centro, che poteva fare le sue cose con tutta la calma necessaria.
Arrivò su Oxford street alle otto e un quarto, aveva tre quarti d'ora liberi prima di entrare in ufficio e decise di andare a fare colazione. S'infilò in una stradina poco trafficata dove c'era un Costa Coffee. Per fortuna c'era poca fila alla cassa; Prese un caffè da asporto, un pezzo di pain au chocolate e li consumò ai tavolini all'esterno. Sebbene facesse freddo, Defne restò lì qualche minuto a osservare da lontano la vita che si riversava sul corso principale, e come spesso le accadeva, iniziò a fantasticare sulle persone che vedeva passare, sul loro lavoro, sulla loro vita sentimentale. Quella ragazza bionda che camminava scrivendo messaggi al cellulare, senza curarsi della gente che la urtava ad ogni passo, stava forse litigando con il fidanzato?
Le vite degli altri erano il suo lavoro, dopotutto. Lei che fingeva di avere sempre una risposta per tutti. Lei che di sé stessa e del suo passato aveva così poco da raccontare, lei che fingeva di non averlo neanche un passato, per vergogna, per dolore.
Guardò l'orario sul telefono e si rese conto che era arrivato il momento di andare a lavoro.
Quando arrivò in redazione c'era già un insolito trambusto; fu sorpresa quanto sollevata di trovare il signor Smith che metteva ordine sul tavolo dell'open space. In realtà tutti stavano correndo da una parte all'altra dell'ufficio: alcuni trasportavano intere pile di riviste, uno dei grafici stava sistemando i cavi dei computer sparsi a terra in un groviglio che poteva normalmente trasformarsi in una trappola mortale se qualcuno ci infilava per sbaglio il piede in mezzo. Infine due dei redattori stavano riordinando i volumi nella grande libreria a parete.
Defne si guardò intorno spaesata, poi lentamente si avvicinò al signor Smith.
"Signor Smith! Che piacere vederla! Sono contenta che sia rimasto." Gli disse con un sorriso sincero.
Lui alzò un sopracciglio, ma non la degnò neanche di uno sguardo. Defne non se ne curò più di tanto, era abituata all'atteggiamento da burbero di Tim Smith, ma in fondo sapeva che lei era una delle sue preferite.
"Non sono rimasto, Defne. Mi hanno chiesto di rispettare il preavviso per lasciare il tempo di trovare un nuovo direttore."
"Ah. Mi dispiace signor Smith."
"Non dispiacerti Defne. Vai piuttosto a sistemare la tua scrivania e poi mandami una stampa delle risposte che hai preparato; oggi riceveremo la visita del proprietario della rivista, sicuramente mi chiederà il materiale per il prossimo numero."
Defne lo guardò stupita; sapeva che la casa editrice proprietaria del Sunday Star fosse gestita da un amministratore delegato, non aveva mai sentito parlare di un proprietario in carne ed ossa.
"Defne ti sei incantata? Vai!" Disse Smith alzando il tono della voce. Defne trasalì e annuendo corse nel suo ufficio. Normalmente divideva la stanza con quell'arpia di Heather, la collaboratrice, ormai ex collaboratrice , che curava gli esteri; ora che lei era andata via probabilmente avrebbe avuto l'ufficio tutto per sé. Avrebbe potuto prendere la sua poltrona girevole in pelle, molto più comoda della sedia in legno dove Defne era costretta a farsi indolenzire il sedere per oltre otto ore al giorno.
Si chiuse la porta alle spalle e fece subito il cambio di sedie, con la felicità di una bambina che era finalmente riuscita a rubare le caramelle dalla credenza.
Comoda come non era mai stata in quell'ufficio, accese il computer e scaricò le email. Il lunedì era sempre il giorno più tragico della settimana, le email si accumulavano durante tutto il weekend e quando rientrava la settimana successiva trovava la casella di posta piena zeppa di domande.
Ne avrebbe dovute selezionare immediatamente quattro o cinque da pubblicare sul blog online.
"Carissima Violet, sono follemente innamorata di Hugh Grant, ho visto il film Love Actually e mi sono persa per lui, ho qualche possibilità? Tua Jane."
Defne storse il naso, ma lo sapeva che adesso Hugh Grant ha sessant'anni?
"Ciao Violet. Da quando mi sono lasciata col mio ex non riesco più a divertirmi quando esco a ballare con gli amici, hai qualche suggerimento per cambiare l'umore delle mie serate?"
"Oh si che lo so! Pomiciare con il DJ e piantarlo in asso quando invece lui ti chiede di restare." Disse a voce alta, ridacchiando da sola, giusto per ascoltare dalla sua stessa bocca quanto fosse stata stupida quella sera.
Però come risposta per il Violet Corner non era male, avrebbe dovuto solo articolarla meglio.
Defne si mise a lavoro. Sarebbe stata una lunga giornata.

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