Lennon aveva corso come un matto, aveva rischiato più volte di fare un incidente passando con il rosso, aveva letteralmente dimezzato la distanza tra Knightsbridge e Belsize Lane, sperando ardentemente di essersi sbagliato quando aveva avvertito il pericolo e, se non si era sbagliato, almeno sperava di arrivare per tempo, almeno questa volta. Già, quanto avrebbe voluto tornare indietro a quando perse i suoi cari, spostare le lancette dell'orologio, arrivare mezzora prima. Non avrebbe visto sua sorella morire con la schiuma alla bocca e suo padre ammazzato dalla depressione. Non avrebbe voluto sentire quelle maledette sirene dell'ambulanza, che gli risuonavano ancora nel cervello come una lama girevole affilata e rovente.
Ma quando imboccò la strada di casa sua e vide la Lamborghini azzurra ferma con i fari accesi di fronte all'entrata della casa di Defne, Lennon sentì il cuore congelarsi dentro, l'angoscia serrargli la gola e tutto d'un tratto il sedile dell'auto diventò un cuscino di spilli. Le mani sudate e tremanti che strofinò freneticamente sul volante, il cuore che martellava contro la cassa toracica, un rumore così forte dentro di sé, che era in grado di attutire qualsiasi suono che provenisse dall'esterno.
"No no no, ti prego Dio no!"
Non riusciva a controllare i piedi sui pedali che tremolavano come impazziti, rendendogli difficile persino accostare l'auto e correre fuori per vedere cosa fosse successo.
Quando ci riuscì, aprì finalmente lo sportello, un forte senso di nausea gli salì dallo stomaco e mentre metteva i piedi sull'asfalto, si rese conto che le sue gambe erano troppo molli per reggere persino il peso del suo stesso corpo.
Poi l'urlo arrivò dall'altro lato della strada e gli trapassò il cranio. Sentì distintamente il cuore perdere diversi colpi, la testa girava mentre i brividi percorrevano i suoi muscoli improvvisamente tesi. Alzò la testa e vide Jessica. Era in piedi e gli dava le spalle, aveva le braccia penzolanti lungo i fianchi, come ad una marionetta a cui avessero allentato i fili; le sue spalle erano scosse da sussulti continui mentre guardava qualcosa che lui non riusciva a vedere.
La strada che percorse a grandi passi per raggiungerla gli sembrò un cammino infinito, gli girava la testa, girava il pavimento, girava l'immagine di Jessica che bramava di raggiungere.
Lei lo sentì arrivare di spalle e si voltò col volto sconvolto, gli occhi rossi e gonfi, le lacrime miste a trucco sciolto che le rigavano il volto di nero.
-Mi dispiace Lennon...- mormorò.
Poi, il gelo.
Vide Defne che giaceva sdraiata sull'asfalto, con il suo corpo inerme, le braccia aperte e la testa piegata sulla spalla.
Sono arrivato di nuovo tardi.
Immagini del passato si sovrapposero nella sua mente, offuscandogli la vista, mentre il panico gli si scatenava dentro, l'angoscia, la paura, quei demoni che per anni aveva dovuto imprigionare nel petto e che ora cercavano di riaffiorare, aggrappandosi ai suoi polmoni e costringendolo ad annaspare davanti a quell'immagine, perché quelle emozioni così violente in quel momento non sapeva neanche se fossero veramente le sue o appartenessero a qualcun altro. Riusciva solo a sperare senza risultato, sapeva solo dirsi non di nuovo, quando era ancora una volta tutto uguale e tutto diverso, e c'era solo un bianco che gli pulsava negli occhi e non gli faceva capire in che punto era.
"Lennon!" urlò Jessica, scuotendolo per un braccio. "Lennon fai qualcosa, le sta sanguinando la testa. Lennon, riprenditi, Lennon!"
Ma lui non l'ascoltava, era fermo lì imbambolato a guardare il corpo immobile della donna che amava; deglutì un paio di volte in successione, aveva la gola secca, si sentiva come paralizzato, il cuore gli rimbombava nelle orecchie come un tamburo, sudava freddo e senza un filo di voce per gridare e chiedere aiuto.
Sono arrivato di nuovo tardi.
"Lennon sto chiamando l'ambulanza."
Poi Lennon fece un passo in avanti e si lasciò cadere in ginocchio accanto a lei, guardandola come anni prima aveva guardato Michelle, come poco più tardi aveva guardato suo padre; guardandola come rassegnato a vedere la maledizione compiersi ancora una volta e strappargli via un'altra persona che amava.
"Lennon, dobbiamo sbrigarci, sta respirando. Lennon è ancora qui." Gridò Jessica, ma stavolta lui riuscì a sentirla. Fu come svegliarsi di soprassalto durante un sonno profondo, la notizia che lei fosse ancora viva lo colse di sorpresa, come uno schiaffo in pieno viso.
"Che cazzo hai fatto?" Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. "Maledetta pazza che cazzo hai fatto!"
Poi si piegò su Defne, si avvicinò al suo viso: respirava ancora, quasi rantolava, era ancora viva!
La voce di quella psicopatica che diceva "mi dispiace Lennon. Chiama l'ambulanza prima che sia troppo tardi!" gli arrivò lontana, come se in quel momento fosse in un altro posto, un'altra dimensione in cui non aveva accesso, dove c'erano solo lui e la sua dolce Defne. Non si accorse neanche quando Jessica girò sui tacchi, salì in macchina e si allontanò a tutta velocità in retromarcia, in cerca di fuga. Ma a lui non gliene fregava un cazzo, c'era solo Defne e questa volta non era troppo tardi, poteva ancora salvarla.
"Defne, amore mio, sono qui. Non preoccuparti, a te non succederà niente, va tutto bene amore, ci sono qui io." Le prese la mano, se la portò alle labbra, era ancora calda, grazie a Dio, grazie a Dio!
Con movimenti frenetici cercò di estrarre il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni, ma le mani gli tremavano così tanto che il telefono scivolò anch'esso sull'asfalto, strisciando su di esso per almeno mezzo metro. Lennon si sporse per raccoglierlo, quasi si stese per terra per raggiungerlo, perché con l'altra mano stringeva ancora quella di Defne e non l'avrebbe lasciata andare per niente al mondo. Quando finalmente recuperò il telefono si accorse che l'urto aveva spaccato lo schermo.
"Cazzo!" Imprecò. Ma fortunatamente il vetro si era solo crepato in più punti, ma non sulla tastiera e riuscì comunque a comporre il 112.
Passarono interminabili secondi quando finalmente udì una voce femminile dall'altro capo del telefono.
"Servizio ambulanza di Londra."
"Vi prego mandate urgentemente un'ambulanza sulla Belsize Lane, al civico 85, c'è stato un incidente, la mia ragazza è stata investita da un'auto!"
"Signore , la prego di ascoltarmi, la paziente respira ancora?"
Per un attimo Lennon rimase rigido e immobile per sincerarsi che lo stesse facendo ancora e si, Cristo, si respirava, la sua piccola stella respirava ancora.
"Si, si! Respira! Fate presto!"
"Signore, la paziente è cosciente? È ancora cosciente, signore?"
"No!" Disse mentre avvertiva le lacrime bruciargli gli occhi e solcare bollenti il suo viso, per poi nascondersi nella sua barba incolta. "Credo sia svenuta..." aggiunse.
"Signore le mando subito l'ambulanza più vicina, se è stata investita le raccomando di non toccarla, non la sposti assolutamente, se ci sono delle fratture potrebbe peggiorare la situazione. Attenda l'arrivo dei paramedici, le sto mandando un'ambulanza che al momento si trova al Royal Free Hospital, è questione di minuti, signore!"
Lennon non pensò neanche a chiudere la chiamata, era così concentrato a contare i respiri di Defne, a cercare di scorgere un minimo tremolio tra le sue ciglia, a stringere la sua mano nell' attesa straziante che lei ricambiasse anche debolmente quella stretta, nell'attesa che gli desse il minimo segnale che potesse mantenere in lui una qualsiasi speranza.
"Defne. Ti avevo detto di non uscire per nessun motivo, perché sei così testarda e indipendente amore mio? Mi stai facendo rivivere tutto questo, fai almeno in modo che questa volta, almeno per questa volta io sia arrivato in tempo per salvarti, non lasciarmi, ti prego..."
S'interruppe di colpo, perché aveva sentito in lontananza le sirene dell'ambulanza. Questa volta era diverso, si disse.
Non sono arrivato di nuovo tardi.
Se lo ripetè come una litania, come quando doveva memorizzare il testo di una canzone prima di esibirsi, come quando provava sempre lo stesso riff con la sua chitarra finché non trovava l'accordo giusto.
Mentre sentiva l'ambulanza sempre più vicina, desiderò ardentemente che lei aprisse gli occhi e gli sorridesse, cazzo Defne, solo il tuo sorriso può scacciare questi demoni, solo tu sei in grado di restituirmi tutta quella vita che mi sono vista strappare via dalle mani.
Quello che successe dopo fu ancora più confuso per lui: quando l'ambulanza arrivò e dovette cedere il comando ai paramedici, quando fu costretto a lasciare, seppur per pochi minuti la mano di Defne, tutto si appannò nuovamente di nero.
Gli intimarono di allontanarsi e il distacco da lei fu così traumatico, che la scena di tutte quelle persone che erano arrivate in soccorso, iniziò a danzargli nuovamente davanti agli occhi come l'avessero messo all'interno di una lavatrice in funzione e lui stesse fissando la scena dall'oblò. Era consapevole che gli aiuti fossero finalmente arrivati, che persone competenti stessero issando Defne su una barella con tutti gli accorgimenti del caso, si sentiva vigile su di lei, ma anche così fottutamente inutile, come se fosse diventato difficile anche alzare il suo stesso dito.
Un'altra cosa di cui era perfettamente consapevole, ma che dovette ammettere a sé stesso soltanto quando si trovò di fronte un agente di polizia in divisa, era che l'incidente fosse stato causato da Jessica Grosvenor, la sua ex fidanzata.
In quel momento Lennon non era abbastanza lucido da raccontare quello che aveva visto, provava ad aprire la bocca per dire qualcosa ma gli sembrava che al posto delle parole gli uscissero soltanto bolle di sapone. Doveva denunciare Jessica o doveva aspettare che Defne si svegliasse e lasciare che lei stessa prendesse quella decisione? E se invece non si fosse svegliata mai più? Quanto sarebbe stato importante che lui riuscisse a dire qualcosa in quel momento?
"Scusate devo andare con lei." Riuscì solo a dire.
"Signore, deve lasciarci le sue generalità."
Lennon era al limite. Al limite di tutto. Si sarebbe fatto arrestare, non gliene fregava un cazzo in quel momento. Estrasse nervosamente il portafoglio dalla tasca e lo lanciò sul poliziotto che prontamente lo bloccò tra le mani.
"Vi lascio i miei documenti, potete arrestarmi se lo ritenete opportuno, ma dopo che avrò accompagnato la mia fidanzata in ospedale."
"Non vogliamo arrestarla signor MacCartney, siamo qui per fare il nostro lavoro ed indagare sull'accaduto. Lei ha visto chi ha investito la signorina Kaya?"
Tecnicamente non aveva visto. Cazzo, per quanto non vedesse l'ora di denunciare quella stronza di Jessica, quando fu il momento di pronunciare il suo nome, si sentì morire le parole in gola. Ma doveva farlo. Sapeva che se avesse lasciato questa responsabilità a Defne, lei l'avrebbe perdonata, ci sarebbe passata sopra, l'avrebbe forse addirittura compresa e giustificata. Quanto era buona la sua Defne.
"Jessica Grosvenor..." era per di più un sussurro a perdi voce. Che gli faceva male la gola solo a pronunciarlo quel nome.
L'agente doveva averlo sentito, perché aveva annotato qualcosa sul suo taccuino. Ma Lennon era già lontano, dopo i primi soccorsi l'ambulanza stava per partire e lui doveva tenere la mano a Defne. Lei era la sua cazzo di priorità su tutto in quella fottuta vita.
"Vengo con voi." Disse al paramedico. Quello lo guardò con gli occhi carichi di pena, dopodiché scosse il capo in segno di diniego.
"Mi dispiace signore, ma non può salire sull'ambulanza, ci segua con la macchina."
Lennon emise un sospiro debole. Sospiri che i respiri erano pesanti. Che i polmoni quasi collassavano sotto il loro peso. E non aveva fumato. Erano quasi due giorni che non accendeva una sigaretta.
Impediscimi di respirare, così almeno non sentirò quel fiato che si spezza dentro di me.
"Mi dica è grave?" Insistette, ma poi se ne pentì, perché cazzo, andavano di fretta, dovevano salvarle la vita.
Allora si lasciò dietro tutta la piccola folla che si era attorniata davanti all'ambulanza e si diresse barcollando verso la macchina. Cercò le chiavi nella tasca dei pantaloni, poi nel giubbotto ma non c'erano. Girò su sè stesso scrutando l'asfalto un paio di volte, forse gli erano cadute, ma quando realizzò che la testa gli girava così forte che sicuramente sarebbe caduto, si fermò.
Devo essere lucido per lei.
Si avvicinò all'auto, le chiavi erano ancora lì, che cazzo di idiota che era, la macchina era rimasta accesa col freno a mano.
Doveva chiamare i suoi, no, non li avrebbe chiamati. Fanculo, avrebbe chiamato Steffy e ci avrebbe pensato lei. Si, Steffy doveva avvertirla.
L'ambulanza intanto era partita e si rese conto che non aveva neanche chiesto dove l'avrebbero portata. Che cazzo di coglione che era, una ragazzina sarebbe stata più coraggiosa di lui.
Con mani tremanti digitò la parola ospedale sul navigatore: presto sullo schermo apparvero i nosocomi di Londra in ordine di distanza. Il più vicino era il Royal free hospital e se non si era totalmente fottuto il cervello, l'ambulanza veniva proprio da quell'ospedale.
Fanculo.
Si limitò ad accelerare e seguire il suono della sirena, l'avrebbe portato da lei.
Chiama Steffy!
Una voce metallica gli rispose "chiamo Steffy cellulare". Lennon emise un breve sospiro di sollievo, fortunatamente anche se si era rotto lo schermo, il telefono non era proprio del tutto andato.
Uno, due, tre squilli, il suo cuore che ormai aveva persino smesso di martellargli il petto.
"Ehi Romeo! Che c'è, tu e Giulietta avete fame?"
"Steffy, devi raggiungermi subito, c'è stato un incidente!"
C'era una gran confusione dall'altro capo del telefono, ma quei pochi secondi in cui la ragazza tacque parvero amplificare il silenzio assordante che avvolgeva la sua anima.
"Un incidente? Parla cazzo, Defne? Passami Defne."
"Defne...è sull'ambulanza, la stanno portando al pronto soccorso, credo al Royal Free Hospital."
"Lennon che cazzo significa, è un cazzo di scherzo?"
Quale idiota potrebbe mai pensare che si sarebbe messo a scherzare su una cosa simile? Ma Lennon sapeva che quello era probabilmente solo un modo che la ragazza aveva per esorcizzare il panico, pertanto cercò di mantenersi calmo, nonostante l'istinto di mandarla al diavolo.
"Quella pazza di Jessica l'ha investita con la macchina. Era ferita quando è arrivata l'ambulanza, ma respirava. Io sto andando lì."
"Porca merda, giuro che l'ammazzo con le mie mani quella psicopatica del cazzo." La voce di Steffy era rotta dal pianto anche se Lennon sapeva che non avrebbe pianto, che sarebbe rimasta ancora una volta quella più forte, la roccia su cui tutti facevano leva. La sentì scambiare qualche parola con qualcuno, probabilmente Andrés, poi prima di riattaccare disse solo:
"Arriviamo."
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Like Dreamers Do
Roman d'amourDefne è un'aspirante giornalista in attesa di una svolta nella sua carriera. In una gelida sera londinese incontra il misterioso e affascinante Lennon, il suo nuovo vicino di casa, dj e talentuoso musicista. Una potente attrazione colpisce entrambi...