Parte 38 - Truly, Madly, Deeply

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Quel pomeriggio era più bella del solito. Aveva i capelli legati in una crocchia disordinata sulla testa, con le ciocche che le cadevano alla rinfusa sulle spalle arrossate dal sole. Aveva preso un po' di colorito sulle guance e un po' di rossore era visibile anche sul petto e sulla punta del naso. Era completamente struccata, eppure le sue labbra erano perfettamente disegnate e gli occhi sembravano due perle luminose mentre guardava il mare. Indossava solo una canottiera beige e dei pantaloni svasati neri eppure sembrava ugualmente uscita dalla copertina di una rivista di bellezza. Lennon si sentiva così fottutamente grato alla vita per quei giorni che le aveva regalato con lei. Non dovevano pensare a niente. Si, ogni tanto affrontavano qualche discorso poco piacevole, ma di base passeggiavano nei campi verdi, facevano lunghe camminate per visitare i vari villaggi e i paesaggi circostanti e ogni tanto si fermavano a ristorarsi in qualche tavola calda di passaggio.
Avevano visitato Minehead, la città medievale di Wells, ma quello che era piaciuto a Lennon più di tutti era Porlock, un paesino sul mare, con la sua propria baia, sul canale di Bristol. Anche lì c'erano i caratteristici cottage con il tetto di paglia, ma a differenza del villaggio in cui alloggiavano, Porlock aveva un po' più di vita, quantomeno c'erano dei locali dove si poteva mangiare e bere.
"Stanotte ti sei alzata e hai fatto il giro della stanza per almeno dieci minuti. Ma non avevi detto che ti succedeva solo quando eri particolarmente sotto stress?" Le domandò Lennon mentre bevevano una birra in un locale all'aperto a Porlock Weir. Lei sorrise, era una bella giornata di sole, ma quel sorriso era più accecante di qualsiasi stella luminosa.
"In linea di massima si. Ma può succedere in qualsiasi momento. Ti ricordi quando ebbi quell'attacco a Liverpool? Mi infilai nel tuo letto."
Risero entrambi. Difficile da dimenticare, dal momento che per poco non gli fece scoppiare i fottuti testicoli.
"Sono stato un gentiluomo in quell'occasione. Non ti ho mai detto cosa hai combinato quella notte." lasciò andare una risata soffocandola nella bottiglia, prendendo un altro sorso lungo di birra e tenendo lo sguardo di fronte a sé.
Defne lo guardò incuriosita. "Cos'ho fatto? Dai, dimmelo."
"Diciamo che hai tentato un approccio intimo con le mie parti basse."
"No!"
"Eh si. E ti assicuro che è stato molto difficile per me metterti le mani a posto."
Defne rise e si alzò dalla sua panca, raggiungendolo su quella di fronte, dove era seduto lui. Lennon le cinse la vita con un braccio, mentre lei gli accarezzava gli addominali scolpiti attraverso il sottile tessuto della maglietta.
"Inconsciamente ho sempre voluto toccarti." Gli sussurrò nell'orecchio, per poi mordicchiargli il lobo.
Lennon l'allontanò delicatamente, lei amava torturarlo nei suoi punti più sensibili, ma erano in mezzo alla gente e non poteva permetterle di andare oltre, perché altrimenti l'avrebbe stesa su quella panca di legno in quello stesso istante.
"Defne...non mi sembra il caso di farci arrestare per atti osceni in luogo pubblico." Le disse baciandole il dorso della mano. "Vuoi bere qualcosa? Hai fame?" Le domandò scostandole una ciocca di capelli che era ricaduta ribelle sul viso.
"Amore è la settima volta che me lo chiedi. E no, sono apposto così." Sorrise. Aveva ragione. Si sentiva quasi folle, febbrile nel bisogno di soddisfare davvero anche le sue richieste più piccole, di farlo al punto che se ne sarebbe anche stufata, non importava. Voleva riempirla di tutto, voleva solo quello. Disperatamente, costantemente, sempre.
"Hai chiamato i tuoi? Gli hai detto che andiamo?"
Lei annuì. "Si, ho chiamato mia madre. È molto felice di vedermi...e di conoscerti." A Lennon parve di vederla arrossire sulle guance, ma forse era sempre il sole.
"Ti imbarazza andarci con me?"
"No. Forse un pochino, conoscendo John Preddy probabilmente ci starà preparando due camere diverse per dormire."
"Questo mai. Devo dormire abbracciato a te anche se fosse nel lettino singolo della tua cameretta di bambina. Anche perché immagino che l'alternativa sia la camera di tuo fratello e preferisco di no, grazie."
Soltanto l'idea lo faceva rabbrividire con tutto che stava soffrendo il caldo di quella giornata primaverile.
"Effettivamente non mi sembra il caso..." mormorò lei, scuotendo leggermente la testa.
"Però ti vedo un po' strana all'idea. Se vuoi andarci da sola dimmelo, non me la prendo, posso capire."
Defne allungò una mano per accarezzargli il viso, lo sguardo adorante.
"Io ti voglio con me sempre d'ora in avanti. È solo che non so come sarà tornare dopo tanto tempo, solo questo."
La capiva. Più di chiunque altro Lennon poteva sapere quanto fosse pesante il ritorno, il senso incerto di cosa può ritrovarsi uguale e cosa invece, anche a causa propria, della propria assenza, inevitabilmente è cambiato. Aveva provato la stessa sensazione quando era ritornato a Londra dopo tanti anni negli Stati Uniti.
"In quei posti non cambia mai nulla, al massimo potrai trovare i tuoi un po' invecchiati. Non li hai mai visti da quando ti sei trasferita a Londra?"
"Si sono venuti loro due volte. Ma io non ci sono mai tornata a Bath. Sono quasi sei anni che non ci metto piede e mi sembra molto strano."
"Come sono i tuoi? Voglio dire...Sono severi?"
"No sono tranquilli, delle brave persone. La loro vita era molto piatta prima che ci adottassero, poi è arrivato un tornado, specialmente con Deniz e quello che ci ha fatto passare...sono stati dei bravi genitori anche con lui, ma non se lo meritava. John è un po' più severo, ma Margaret è una donna molto dolce. Sono molto legata a loro."
Lennon le baciò dolcemente la fronte. "Tuo padre ha delle armi da fuoco in casa?"
Defne si voltò a guardarlo stranita. "No! Perché mai dovrebbe avere delle armi in casa? È un farmacista!"
Lennon si alzò in piedi e tirò Defne per un braccio costringendola a seguirlo.
"Vieni, andiamo a guardare il mare" le disse prendendola per mano e iniziando a camminare verso il porticciolo. Voleva dirle qualcosa ma era difficile, Cristo. La guardò mentre scendevano lungo la strada scoscesa che portava al molo e strinse più forte la sua mano. Non c'era nulla al mondo che l'avesse reso più felice di lei. Era difficile per lui pensare che tutta la gioia del mondo fosse racchiusa nel corpo esile di Defne; ma era così, ormai si era rassegnato alla sua grandezza, alla felicità che riusciva a fare esplodere nel suo cuore quando erano insieme, quando non pensavano ai loro problemi. E allora, cazzo, perché no?
"Sai...ho pensato..." disse fermandosi improvvisamente e parandosi di fronte a lei. Defne lo guardò incuriosita, mentre lui faceva scivolare i suoi palmi contro quelli di lei e intrecciava le dita delle loro mani. Si aveva pensato. Ma non sapeva come dirlo. Si voltò a guardare il panorama, osservò i pescherecci che facevano ritorno con le reti gonfie di pesci argentati le cui scaglie mandavano riflessi iridescenti alla luce del sole. Ascoltò i fischi delle barche che si mescolavano all'odore di sale e di nafta. Era un momento così perfetto.
Le accarezzò una guancia, era bella come un giorno d'estate e di sole; Lei e il suo odore che arrivava prepotente mischiandosi a quello del mare, gli faceva un effetto strano, passato e presente che diventano una cosa nuova e diversa e gli piaceva, da morire. Avrebbe voluto essere sommerso da quel profumo per tutta la sua vita.
"Che hai pensato? Che c'è?" Rise lei, notando il suo imbarazzo.
"È che...è un bene che John non abbia una pistola."
"Lennon forse hai preso troppo sole in testa, torniamo a casa."
Il suo sorriso lo accecava, non era il sole, era lei.
"È che sei così bella...mi distrai." Pensava sempre di essere arrivato al "troppo", poi invece andava ancora oltre, di nuovo e di nuovo. Gli si stava bloccando ogni cosa, in quel momento. Il respiro, il pensiero, mentre sentiva qualcosa continuare a vibrare da qualche parte. Forse erano le mani, forse era il petto, forse un po' tutto. Non ne aveva la più pallida idea, e sentiva già tutto andare altrove, da qualche parte, lasciarlo lì a fiato mozzo. Avrebbe dovuto esserci abituato. Avrebbe dovuto essere tutto una reazione istintiva, per lui. Che cazzo. Si ritrovò a fermarsi di nuovo, ancora una volta, come se ci fosse qualcosa, non sapeva cosa. Si prendeva un secondo o due, poi altri ancora, solo per allontanarsi privo di fiato per guardarla ancora. Portò anche l'altra mano alla guancia, provando a mordere le parole che sembravano confondersi nella sua testa, frammentarsi come se fossero cemento colpito da un martello pneumatico.
"Volevo dire, che sono lieto che tuo padre non abbia una pistola, perché non vorrei che mi sparasse quando gli chiederò la tua mano."
La vide sgranare gli occhi e aprire la bocca in un suono silenzioso.
"La...la mia mano?" Probabilmente Defne era sul punto di scoppiare a ridere e Lennon pensò che forse aveva fatto una delle sue solite cazzate. Era troppo presto? Non se l'aspettava? A dirla tutta non se l'aspettava nemmeno lui, ma aveva capito che lei era la donna della sua vita, e su questo non c'era alcun dubbio, e quindi perché aspettare? Un matrimonio avrebbe risolto metà dei loro problemi. Jessica e Regina si sarebbero messe l'anima in pace una volta per tutte, Defne avrebbe preso il suo cognome lasciando quello del fratello e lui non avrebbe più pensato a quella brutta storia. Certo, questo non glielo poteva dire, altrimenti lei avrebbe certamente pensato che voleva sposarla per questo e no, Lennon la voleva sposare perché l'amava e con lei aveva ricominciato a vivere.
"La tua mano. Non sono pratico di queste cose, ma credo che funzioni che devo prima chiedere il permesso ai tuoi genitori."
Defne sorrise, non ancora sicura che lui stesse dicendo sul serio o meno.
"Funzionava così, si, nel medioevo. Ma prima dovresti sincerarti che io dica di si."
Ora il suo volto era serio e pensieroso. Lennon si sentì morire per il timore di averla turbata, o peggio, spaventata.
Non erano neanche troppo giovani per sposarsi. Era l'età giusta, lui si sentiva pronto. Non ci sarebbe mai stata nessuna dopo di lei, era sicuro.
"Allora ti faccio una domanda. Se te lo chiedessi mi risponderesti di si?" Le chiese col fiato corto. Defne aveva notato che era in un fottutissimo stato d'ansia in quel momento, stava sudando freddo, caldo, non stava più capendo un cazzo.
Lei alzò una mano per spostargli una ciocca di capelli che si era appiccicata in fronte.
"Se e quando me lo chiederai, avrai la tua risposta."
Tagliò corto schioccandogli un bacio a fior di labbra.

Defne sentiva il cuore batterle forte. Mano, matrimonio...non ci aveva mai neanche pensato. E assolutamente non pensava che lui volesse sposarsi o che contemplasse anche minimamente la cosa, quindi era molto sorpresa da quella dichiarazione improvvisata sul molo, al punto che non aveva avuto una risposta pronta e infatti gli aveva risposto di merda. Talmente di merda che lui si era rabbuiato, ci era evidentemente rimasto male. Ma perche poi? Non gli aveva mica detto che non l'avrebbe mai sposato. Soltanto che le sembrava presto e non era preparata ad un discorso così impegnativo, così, su due piedi. Inoltre non erano ancora usciti i risultati del test di paternità, magari se fosse uscito che era veramente lui il padre del bambino di Jessica , avrebbe cambiato idea anche sull'idea di sposarla. E ora lui era perso con lo sguardo fisso nell'orizzonte, incapace di guardarla in faccia.
"Ehi.." sussurrò, afferrandogli il mento con le dita e costringendolo a voltarsi. Sentì lo sguardo di lui incendiarle il volto. Le faceva ancora quell'effetto, probabilmente gliel'avrebbe fatto per sempre. Il calore che sentiva quando lui la guardava era qualcosa che poteva provare solo con lui.
"Non mi vuoi già più?" Mormorò, sorridendogli dolcemente.
"Certo che ti voglio. È che...sono un coglione. Non dovevo chiederti una cosa così importante in questa maniera. Mi è venuto così e te l'ho detto, ma è chiaro che non sei pronta, o non so."
Cristo, ora ripartiva con i suoi soliti film mentali.
"Non ho detto che non sono pronta. Sono solo impreparata, non me l'aspettavo, non era mai uscito un argomento del genere prima...siamo appena ritornati insieme dopo un periodo molto brutto per entrambi. Penso solo che magari ora siamo qui in vacanza e ti sembra tutto perfetto, ma i nostri problemi ci sono ancora."
"Io non ho nessun problema, Defne. Nessuno, se ho te accanto."
Defne gli accarezzò il viso piano, godendo del contatto della sua pelle morbida e della barba ispida contro il palmo delle sue mani.
"Ma io non vado da nessuna parte, Lennon. E non ho detto che non ti sposerò, o che non abbia il desiderio di diventare tua moglie." Cristo, rabbrividiva anche al solo pronunciare quella parola. Moglie. Sua moglie. Le piaceva un sacco, nonostante fosse attanagliata dall'ansia e dalla paura che una parola del genere potesse comportare.
Lui alzò un sopracciglio e piegò leggermente la testa di lato. "Mi stai dicendo che ti piacerebbe diventare mia moglie, diciamo..un giorno?"
"Si. Un giorno." Sorrise timidamente lei.
"Quanti giorni? Trenta? Sessanta? Cento? Mi sembrano troppi. Come fanno quelli che programmano di sposarsi tra un anno? Non ha senso. Se decidi di sposarti, ti sposi subito, quale senso ha farlo dopo un anno."
Defne scoppiò a ridere, un po' per lui, un po' per la tensione che le stava facendo saltare i nervi.
"Ma da dove viene questa improvvisa necessità di accasarti, Lennon MacCartney?"
Lui l'attirò a sé, le cinse le braccia attorno alla vita e poi le sciolse per accarezzarle i fianchi, la schiena, le braccia. "Non lo so, è più l'idea di vedere te accasata che mi eccita da morire." Le baciò il collo, sniffando ogni centimetro di pelle disponibile.
"Andiamo a casa? I miei ci aspettano per cena e considerato che ho appena deciso un fuori programma, conviene sbrigarsi." Gli sussurrò ammiccando...

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