Parte 40 - I have a wound in the heart

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Non era riuscito neanche a chiudere un fottutissimo occhio. Subito dopo la telefonata di Regina aveva provato a chiamare Jessica, ma aveva il telefono spento. Era dispiaciuto e preoccupato, indipendentemente se il bambino fosse stato realmente suo o meno.
Per un attimo si domandò se quella fosse l'ennesima messa in scena per farlo riempire di sensi di colpa e tornare indietro, ma poi si disse che no, non potevano essere ingegnose e malvagie fino a quel punto. Decisero di non partire subito, prima di tutto perché in ogni caso non avrebbero potuto accedere all'ospedale in piena notte, e secondo non voleva lasciare la casa dei genitori di Defne, svegliarli e dover spiegare loro tutta quella situazione del cazzo che probabilmente non avrebbero né compreso né apprezzato.
Avrebbero aspettato fino al mattino e poi, con una scusa di lavoro, sarebbero partiti il prima possibile alla volta di Londra.
Defne era stata dolce e comprensiva, preziosa come sempre. Aveva cercato di tranquillizzarlo, in un primo momento si era offerta di svegliare i suoi e partire subito, ma poi ci avevano ragionato su insieme e avevano capito che non ne valeva la pena.
Alle prime luci del giorno, dopo aver salutato i Preddy, con la promessa di tornare presto, si misero in auto. Fu un viaggio abbastanza silenzioso, Defne era particolarmente assorta nei suoi pensieri e Lennon non aveva la minima idea di cosa le stesse passando per la testa. Anche lui non era tranquillo, non finchè non si fosse sincerato delle condizioni di Jessica e, soprattutto, sul risultato del test di paternità.
"Defne?" la chiamò ad un certo punto, ma niente, era completamente immersa in chissà quale pensiero, mentre fissava il panorama fuori dal finestrino.
"Defne?" ripetè alzando leggermente il tono della voce, questa volta allungando anche una mano per toccarle il ginocchio.
"mmm?" si voltò lei di scatto, con aria incuriosita.
"A cosa pensi? Non hai detto una parola sin ora. C'è qualcosa che ti preoccupa? E' per Jessica?"
Defne scosse la testa, guardando fuori ancora per un lungo momento, per poi tornare a posare il suo sguardo su di lui.
"No. Cioè si, sono anche dispiaciuta per lei e preoccupata per te. Ti conosco, se viene fuori che quel bambino era tuo, non ti perdonerai mai di non averlo accettato da subito."
Lennon le prese la mano e se la poggiò sulla coscia, stringendola forte. "non era mio, sono sempre stato sicuro di questo, piccola. Non è possibile che ad oggi io non ricordi di aver fatto qualcosa con Jessica, anche se ero ubriaco. Non è possibile che io abbia completamente perso la memoria."
Defne annuì. "si, ne abbiamo già parlato. Ma comunque l'importante ora è che Jessica si riprenda presto."
"E poi ch altro c'è? E' successo qualcosa con i tuoi? Qualcosa che non so?"
Lennon era impegnato a guardare la strada di fronte a sé, ma la sentì sorpirare.
"Mia madre mi ha consegnato delle cose che mio fratello ha lasciato per me." Disse lei tutto d'un fiato, voltandosi nuovamente a guardare fuori, probabilmente per nascondere un'emozione che sapeva che lui non avrebbe capito.
Lennon sentì qualcosa di molto simile alla rabbia salirgli su per la gola, ma deglutì per non permettergli di arrivare alla testa. Doveva stare calmo, per Defne, per non turbarla ancora con quell'antico sentimento di odio che provava per quell'uomo.
"ah...pensavo fosse già su qualche isoletta del Pacifico. Ha incontrato i tuoi?"
"No. Ha lasciato un pacchetto e la lettera nella cassetta della posta. Posso immaginare cosa ci sia nel pacchetto ma non ho idea di cosa possa avermi scritto."
"Non l'hai ancora letta? Come mai?"A ruoli invertiti si sarebbe mangiato il fegato nella stracazzo di ansia, e a dirla tutta era anche successo qualche volta.
"No, ho messo tutto nel borsone, non sono in vena oggi. Lo farò quando ne avrò voglia." Tagliò corto. Lennon avrebbe voluto entrare facilmente nella sua testa e leggere i suoi pensieri; possibile che non fosse neanche curiosa di sapere cosa le avesse scritto? Era possibile che tutto quello che era successo le causasse ancora così tanto dolore da negarsene dell'altro? L'unica cosa che sapeva, era che non avrebbe permesso a sé stesso di farsi dominare mai più dal rancore e dalla rabbia, che avrebbe protetto Defne, sempre. Non avrebbe interferito con questa faccenda tra lei e il suo fottutissimo fratello, aveva fatto già sin troppo casino.
Arrivarono a Londra in poco meno di due ore e mezza, trovandosi irrimediabilmente bloccati nel solito traffico della mattina.
"Vuoi che ti lasci a casa? Se vuoi puoi venire in ospedale con me."
"No, meglio che tu vada da solo. Lasciami a casa."
Lennon guidò fino a Belsize Lane, avrebbe lasciato Defne  e al contempo si sarebbe sincerato che la Dogsitter avesse lasciato Nina a casa come le aveva chiesto. Non era abituato a separarsi per tanti giorni da lei e onestamente gli era mancata.
Quando arrivarono, Lennon scaricò i bagagli di Defne proprio davanti all'uscio della sua abitazione.
Poi, prima di congedarsi da lei, l'abbracciò; Avrebbe voluto soltanto rifugiarsi nel silenzio, cullarsi all'interno di quell'alone senza suono e senza tempo, nelle mani di lei sul suo volto e che adesso lo stringevano, come sempre, in quella morsa che come sempre era delicata.
Dopo tutti quei momenti di immensa felicità con lei, ora si sentiva di nuovo svuotato e stanco. Non sapeva neanche più contro chi o cosa doveva lottare a quel punto.
"Stai bene?" Gli domandò lei. Era preoccupata, si vedeva, ormai la conosceva, lo capiva. Preoccupato?
"No." Mentì. "Va bene, andrò in ospedale e chiamerò quel fottutissimo centro analisi per strada."
la voce gli faceva davvero male, come se gli stesse aggredendo la gola e avrebbe solo voluto buttarsi a terra e dimenticare tutto, aspettare qualche giorno, come sempre, perdersi nella whiskey, nell'alcool, riemergere solo poi con tutto alle spalle. Ma no, cazzo, non poteva, non quella fottutissima volta.
"Andrà tutto bene." Gli sussurrò lei baciandogli la tempia.
"Per forza. Anche perché non c'è una cazzo di soluzione!" gli scappò una risata che non aveva nulla di quel rumore che grezzo, di solito, si apriva nei polmoni. Era solo poggiata lì, come un alcolico di quelli con il sapore di merda, quelli che quando li buttavi giù graffiavano la gola e tutto il tragitto fino allo stomaco.
"Qualunque cosa sia, io sarò qui. Vuoi che venga con te?"
Defne era la sua donna, il suo amore, era anche stata il suo incubo per qualche giorno. Avevano visto e vissuto la merda e lo avevano fatto insieme, ma quella volta no, non poteva portarsela dietro.
"Ci vediamo stasera. Se tardo aspettami al Circus e poi staremo insieme."
"Fammi solo un favore, Lennon. Smettila di sentirti in colpa per qualcosa che non hai fatto. Non è colpa tua."

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