Parte 8- ah girl, girl, girl

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Nei giorni che seguirono, Defne non vide Lennon molto spesso. Ogni tanto entrava nell'ufficio per scrivere un'email o fare qualche telefonata, ma per quello che potè capire dalle conversazioni origliate qui e lì aveva avuto delle riunioni con il consiglio di amministrazione delle sue società, per la casa editrice e per trovare un sostituto per il signor Smith. Da quello che aveva capito, Lennon non era d'accordo che il Signor Smith lasciasse la rivista proprio ora che avrebbero aumentato esponenzialmente la distribuzione. Defne sperava in cuor suo che il Signor Smith rimanesse; era stato lui a farle il primo colloquio, a vedere delle potenzialità in lei e infine ad assumerla nonostante non avesse frequentato la London School of Journalism, come invece si aspettava mister sottuttoio.
In compenso però stava iniziando ad abituarsi a vederlo tutti i giorni, e quando lui non c'era, si ritrovava a chiedersi quando sarebbe tornato. C'era da dire che per tutta la settimana lui l'aveva calcolata poco e niente; da quando era andato a pranzo con quella donna aveva quasi persino evitato di incontrare il suo sguardo, anche se ogni tanto Defne lo sorprendeva a guardarla. In compenso, alla sera, quando tornava a casa, si fermava sempre qualche minuto davanti al cortile di casa sua, aspettando che lui iniziasse a suonare. E lui provava quasi ogni sera, a volte canzoni che lei conosceva, altre volte delle melodie sconosciute. Rientrare in casa cullata dalla musica della sua chitarra aveva scandito tutta la sua settimana, come un rituale del quale probabilmente non avrebbe potuto più fare a meno, che le donava delle emozioni uniche. Era il suo piccolo segreto che non avrebbe potuto condividere con lui, che ancora non si era accorto che Defne abitasse proprio nell'appartamento di fronte al suo.
Lo rivide venerdì pomeriggio, poco prima di andar via. Defne stava ultimando l'email da mandare agli impaginatori per la rivista di domenica quando lui aveva fatto irruzione nel suo ufficio imprecando contro qualcuno. Era la prima volta che lo vedeva così alterato e notò che quando era arrabbiato gli si gonfiavano le vene sulla fronte e le sopracciglia si inarcavano assumendo una forma ad aquila.
Si sedette sul bordo della scrivania ed iniziò ad armeggiare con il suo telefonino.
"Ehi, tutto ok?" Gli domandò, non sapendo assolutamente come comportarsi quando lui era in quello stato.
Lennon la guardò e lei notò come il suo sguardo si era addolcito nel momento in cui i loro occhi si erano incontrati.
"Si, tutto ok. Solo qualche problema burocratico, ma adesso va bene. Qui come va? Tutto apposto? Hai mandato le tue letterine in stampa?"
Defne lo guardò stizzita, ma evitò di rispondere alla sua provocazione. Se stava cercando di sminuire il suo lavoro, stava soltanto perdendo tempo.
Inviò la mail che nel frattempo aveva finito di scrivere e si alzò a prendere il cappotto e la borsa dall'appendiabiti. Lennon la seguiva con lo sguardo e lei si stava sentendo bruciare ovunque, ma riuscì ugualmente a mantenere una certa naturalezza.
"Ti ho detto che puoi andare?" Le domandò mentre lei si stava infilando il cappotto. Defne si bloccò e lo guardò perplessa.
"Non pensavo di doverti chiedere il permesso." Gli rispose scuotendo la testa per sistemare i capelli che si erano incastrati sotto il colletto della giacca. Ma niente, si erano proprio impigliati nell'etichetta.
"Aspetta, ti aiuto." Si offrì lui; Defne l'osservò avvicinarsi con il terrore negli occhi. Improvvisamente era dietro di lei e le stava scostando i capelli con la mano. Era così vicino che Defne fu scossa da un brivido quando avvertì il suo fiato alla base del collo. Quando la sfiorò, cercando di liberare la ciocca di capelli incastrata, una carica elettrica crepitò tra loro. L'aveva sentita anche lui? Defne sperava di no. Non era abituata a sentirsi così turbata quando lavorava, non era abituata a sentirsi così debole accanto ad un uomo.
Lennon riuscì nel suo intento e quando lei si voltò per ringraziarlo e incontrò nuovamente i suoi occhi, la lussuria che vi lesse dentro le strappò un flebile gemito.
I suoi occhi marroni e incandescenti erano in quelli di lei e quel suo sguardo era così intenso, unico, capace di farla sentire vulnerabile, donna, quasi soggiogata da cotanta intensità.
Probabilmente Defne non avrebbe mai imparato a gestire quel calore, quella strana smania che le partiva dall'interno ogni volta che lui le si avvicinava.
Era come se tutta la sua razionalità, tutti i suoi sforzi di scacciare il pensiero di lui, venissero inesorabilmente scalzati da quella voglia sempre più senza controllo di toccarlo e di essere toccata.
Voleva mettere le mani sul suo viso, voleva accarezzargli i fianchi per arrivare curiosa dove i suoi occhi avevano già rubato le forme sotto la cintura.
Tutto incomprensibile, tutto sbagliato, tutto assolutamente eccitante e inconfessabile.
Fece un passo indietro, quasi spaventata da tutta quell'energia. "Devo andare." Disse, e sperò che lui non notasse la confusione che aveva in testa.
"Non puoi. Devi fare un lavoro per me."
Il suo tono era così perentorio ma al contempo sexy, che un fremito di eccitazione le trapassò il ventre.
"Che lavoro?" La sua voce uscì flebile, molto più bassa di quanto avesse voluto.
"Devi mandare una mail per me."
"Non puoi mandarla tu stesso? Non sono la tua segretaria e il mio lavoro per oggi è terminato!" Gli rispose con impertinenza, voltandosi e avviandosi rapidamente verso la porta.
Ma Lennon fu più veloce di lei ed in un attimo le era di nuovo di fronte.
Defne ansimò quando lui le afferrò un braccio per bloccare la sua fuga, ma poi, come lui si aspettava, il suo sguardo si velò. Lo voleva come lui voleva lei, ed era inutile negarlo. "È tempo che impari un po' di rispetto" l'ammonì lui, minacciando deliziose punizioni con lo sguardo.
"È tempo che anche tu lo impari!" replicò lei, nello stesso tono, dimenticando totalmente ogni tipo di formalità.
Come provò a oltrepassarlo, lui la strinse più forte. "Stai andando da qualche parte?" le chiese raucamente contro le labbra. E quando lei non tentò di spingerlo via, aggiunse: "Non credo che sia quello che vuoi, vero? O per lo meno una settimana fa, quando ti strusciavi su di me come una gattina non sembrava volessi scappare via."
Defne si perse in quegli occhi così profondi, così stranamente vicini ai suoi, fu come ipnotizzata dal suono basso e rauco della sua voce, lui era così vicino che poteva sentire il suo respiro caldo sul viso accaldato, il suo profumo così maschile, il calore del suo corpo. Si dimenticò persino di respirare. Era come se tutta l'energia che aveva in corpo, fosse totalmente in balia di quell'uomo.
Si sentiva infiammata e indignata nello stesso momento; non accettava che lui fosse così spudorato nel parlarle e sebbene il suo viso fosse sollevato in modo fermo, il suo corpo ribelle le stava raccontando un'altra storia.
"Puoi lasciarmi il braccio, per favore?" Sibilò a pochi centimetri dalle sue labbra. Doveva lasciarla andare o non sarebbe più riuscita a governare il suo corpo.
Lui allentò la stretta. Era altrettanto eccitato, glielo leggeva in quegli occhi scuri, ardenti e soprattutto lo sentiva contro la sua coscia. Non era una situazione che Defne poteva riuscire a sostenere per neanche un secondo di più.
"Eppure non sembri così stronzo quando suoni quelle bellissime canzoni dei Beatles."
Senza aggiungere altro, si diresse verso l'uscita, scaraventò la porta contro il muro e uscì con la furia in corpo. Lui restò in silenzio per qualche istante e poi le gridò dietro: "e tu come lo sai?"
Defne era quasi arrivata davanti alle scale quando si voltò verso di lui.
"Ho tirato a indovinare!"

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