Parte 35 - Where the Streets Have No Name

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Non sarebbe stato facile. Affatto.
Accostò la Bentley quanto più vicino all'area pedonale di Bankside, dove c'era la sede della Abbott Mead Vickers, in un punto dove non poteva neanche fermarsi, ma fanculo. Il piano era abbastanza lineare: avrebbe prelevato Jessica durante la sua pausa pranzo, l'avrebbe fatta salire in macchina, anche caricandola con la forza se fosse stato necessario, e l'avrebbe portata al centro analisi dove aveva preso appuntamento grazie al primario amico dello zio George.
Si era fatto spiegare ogni cosa per filo e per segno; non c'era bisogno di fare alcun trattamento invasivo, era necessario solo un piccolo prelievo di sangue di entrambi e avrebbe già potuto verificare la paternità. Durante la gravidanza infatti, il DNA fetale circola nel sangue materno, pertanto le avrebbero fatto un prelievo, avrebbero isolato il DNA del bambino da quello della madre, e l'avrebbero confrontato con il suo per verificarne la compatibilità genetica. Un gioco da ragazzi, in teoria.
In pratica però era sicuro che Jessica si sarebbe rifiutata, perché la conosceva bene, avrebbe voluto portare avanti quella farsa quanto più in avanti possibile, giusto per il gusto di tenerlo sulla corda e impedirgli di vivere serenamente la sua vita con Defne, che già di per sé era complicata.
Lennon si era rincuorato molto dopo il loro incontro ravvicinato alla festa, almeno ora aveva un cazzo di spiraglio di luce che le cose, con un po' di impegno da parte di entrambi, si sarebbero potute sistemare. Era più sereno. Lo era perché l'aveva rivista e, adesso, sapeva che una piccola parte delle sue preoccupazioni si era staccata e dissolta, rimpiazzata da un calore che, da solo, gli dava nuova forza. Le avrebbe parlato. Aveva pensato di invitarla a cena in un posto carino e riservato, ma poi aveva cambiato idea, perché quelli che dovevano affrontare non erano argomenti di cui si poteva parlare in un ristorante. Perché poi probabilmente avrebbero litigato, ammesso che avessero avuto ancora un briciolo di forza, perché era chiaro che quella situazione del cazzo avesse stremato entrambi. Forse poteva portarla da qualche parte, fare un weekend fuori, perché, cazzo, aveva bisogno di stare un po' da solo con lei.
Certo, il ricordo di quel farabutto e di come avesse rovinato la sua vita era ancora vivido e faceva male; ma ora almeno, strano da ammettere, ma grazie a Regina, aveva capito che Defne non aveva alcuna colpa in quello che era successo, se non essere nata con lo stesso patrimonio genetico di Deniz; e anche di essersi spaventata a tal punto da ometterglielo. Ma tutta quella sofferenza provata da entrambi, forse li avrebbe aiutati ad aprirsi più sinceramente l'uno all'altra. Aveva capito a sue spese che non si possono cancellare i sentimenti, né si può sfuggire al destino. Il suo cuore avrebbe voluto mandare indietro il tempo e tornare a quell'istante che aveva determinato le loro sorti e cambiarle prima, poter cambiare sé stesso e le sue reazioni avventate.
Il turbinio dei suoi pensieri si arrestò bruscamente nel momento in cui vide Jessica uscire dal palazzo della sua azienda, nel suo completo Burberry e con i capelli raccolti dietro alla nuca in un serioso chignon. Suonò il clacson per attirare la sua attenzione e quando lei alzò lo sguardo e gli sorrise da lontano, Lennon capì che metà del lavoro era già fatto.
Infatti, esattamente come aveva previsto, Jessica si avviò verso di lui, lasciando ancheggiare i fianchi di proposito, come era solita fare quando voleva attirare l'attenzione maschile. A Lennon proprio non faceva più alcun effetto; in realtà qualsiasi donna che non fosse Defne aveva smesso completamente di interessargli da quando si era innamorato di lei. O ancor prima, dalla prima volta che l'aveva incontrata. Quando le loro anime si erano intrecciate, in modo indissolubile, Lennon aveva capito che era questo che cercava da tutta la vita. Qualcuno che capisse il suo profondo, che fosse dentro di lui come nessun altro prima di allora. Era straordinario che loro si fossero potuti incontrare e provare lo stesso; e ancora di più quando scoprì che due frammenti della sua anima si erano incontrati. Defne, e lui. Quello è stato il giorno in cui aveva scoperto quanto fosse stato solo prima di allora.
"Ehi Lennon!" Lo salutò Jessica aprendo la portiera dell'auto e abbassando la schiena in avanti per guardarlo. Lennon non si mosse.
"Ciao Jess." Le fece un cenno di invito a sedersi. Lei non se lo fece ripetere due volte e si sedette al posto del passeggero.
"Che ci fai qui? È successo qualcosa? Problemi con la pubblicità?" Domandò, un po' sorpresa.
"No no. Hai un minuto?"
"Ho tutta la pausa pranzo, perché?" Rispose lei candidamente. Lennon partì a tutta velocità, mentre Jessica lo guardava scioccata.
"Meglio così, mi servi a stomaco vuoto."
"Ehi ma dove stiamo andando! Sei forse impazzito?"
"In clinica." Rispose secco, senza neanche guardarla.
"In clinica? Quale clinica? Chi hanno ricoverato?"
"Calmati Jessy, non hanno ricoverato nessuno. Andiamo a fare un prelievo di sangue. Uno io e uno tu. Per verificare la paternità del tuo bambino."
Jessica lo guardò inorridita, neanche si fosse trasformato improvvisamente nel demonio.
"Clinica? Sei impazzito? Non farò nulla del genere, non ne hai alcun diritto!" Gridò.
"Ah. Non ne ho alcun diritto? Quindi puoi affibbiarmi la paternità di una creatura senza che io abbia il diritto di verificare che il sottoscritto sia realmente il padre? Scordatelo Jessica."
"Ti ho già detto che potrai farlo una volta nato il bambino. Non voglio metterlo a rischio per i tuoi stupidi dubbi!"
"Non metterai a rischio nessuno. Credi che sia così idiota da non essermi informato bene? Devi fare solo un prelievo di sangue, dal braccio. Nessun rischio."
Lei aprì la bocca per ribattere ma le parole le morirono in gola. Rovistò nella borsetta e ne estrasse il telefonino.
"Cosa stai facendo ora?"
"Chiamo il mio ginecologo. Se dobbiamo fare un test voglio che sia lui a farlo."
Lennon si lasciò scappare una risatina.
"Puoi scordarti anche questo, mia cara. Conoscendo te e Regina sareste capace di corrompere qualcuno per falsare i risultati. Quindi no. Andremo in un posto di mia fiducia."
Jessica sbuffò. Era diventata improvvisamente nervosissima e insofferente.
"Non lo faccio. Non voglio farlo!"
Esattamente come Lennon aveva previsto. A volte si stupiva lui stesso di quanto le persone potessero essere dannatamente prevedibili.
"Rassegnati. Se non lo fai scordati già da ora che riconoscerò il bambino. E non avrete un centesimo."
"Da quando sei diventato così stronzo? Una volta non eri così. Ma so di chi è la colpa. Da quando hai conosciuto quella donnetta non sei più lo stesso."
Lennon sospirò nervosamente. Avrebbe voluto frenare ed inchiodare la macchina sulla York Way, ma un attimo prima di farlo sul serio, si ricordò che era incinta e che non avrebbe potuto farle correre quel pericolo.
"Jessica. Azzardati un'altra volta a epitetare la mia ragazza in questa maniera e giuro su Cristo che ti distruggo."
"Ah è di nuovo la tua ragazza ora? Allora ho perfettamente ragione io. Ti ha manipolato proprio bene, al punto di non fregartene nulla neanche di quello che la sua famiglia ha fatto alla tua."
Arrivava sempre così in fretta, la rabbia. Con un serpeggiare che si allungava nelle radici della sua anima risalendo con ferocia ovunque nel suo corpo per contagiare ogni singolo respiro tranciato sulle labbra. Avrebbe dovuto contenerla in quella circostanza, lo sapeva; Ma era già lì e lui non era mai stato bravo a contenerla. Le lanciò un'occhiata con cui l'avrebbe volentieri incenerita e strinse le labbra in una linea sottile, premendole una contro l'altra per cucirci sopra parole che sarebbero uscite prima o poi, anche se tentava di tenerle a bada come si fa con una bestia infuriata.
"Allora, chiariamo un paio di cose, una volta per tutte. La prima è che la mia cazzo di vita affettiva non ti riguarda più da un pezzo. La seconda è che se tu oggi non farai questo fottutissimo test, domani farò pubblicare un articolo su di te e la tua famiglia nobile del cazzo, e ti sputtanerò davanti a tutta l'Inghilterra di essere rimasta incinta e di non sapere neanche chi è il vero padre del bambino. Sarebbe uno scoop importante per il Sunday Star, ne sarà felice soprattutto tuo padre. E ti giuro Jessica, ti giuro sul nome di mia sorella che lo farò."
Non sapeva neanche da dove gli era venuta quell'idea, ormai era così pieno di tutta quella merda che avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di mettere un punto a quella faccenda. Nel bene o nel male.
Jessica era immobile, ferma come una roccia, tesa come una corda di violino, non disse nulla, si girò solo a guardare fuori dal finestrino; probabilmente stava piangendo perché la sentì tirare su col naso, ma non gli importava. Voleva solo fare quel dannato test e capire se poteva lasciarsela definitivamente alle spalle. La minaccia di sbatterla in copertina risultò particolarmente efficace. Beh, sapeva benissimo che Sir Grosvenor l'avrebbe uccisa per la vergogna, e probabilmente sia lui che Regina avrebbero ucciso anche Lennon, ma oramai era del tutto sicuro che lei avrebbe fatto le analisi senza neanche fiatare. E andò proprio così. Una volta arrivati alla lussuosa clinica,  trovarono l'amico dello zio George ad accoglierli. Era un tipo allegro, aveva fatto anche un paio di battute simpatiche a Jessica, che ormai sembrava uno zombie, bianca cadaverica; non aveva avuto più neanche il coraggio o la forza di dire mezza parola, aveva seguito il medico nella stanzetta e si era fatta fare il prelievo di sangue in silenzio. Poi fu il turno di Lennon, che si sentì d'un tratto inspiegabilmente nervoso, con la sensazione, a tratti delirante, che dal risultato di quell'esame dipendesse tutta la sua vita e il suo futuro. Non vedeva l'ora, non vedeva l'ora che finisse tutto, per poter finalmente raggiungere un altro metro di libertà tanto ambita. In realtà quello era solo l'inizio perché i risultati del test di paternità sarebbero usciti in sette giorni lavorativi, quattro, pagando duecento sterline in più, che Lennon pagò ad occhi chiusi, insieme al costo base del test che era di circa novecento sterline. Non ricordava di aver speso mai del denaro per un qualcosa di più utile, ad ogni modo.
Jessica non parlò neanche lungo la strada del ritorno, fu la cazzo di mezzora più pesante di tutta la settimana. Sapeva che avrebbe dovuto sopportare quel muso ancora a lungo, come sapeva anche che avrebbe ricevuto una telefonata da Regina, ma che si fottessero tutti. Se il test fosse risultato negativo, e lui non era realmente il padre di quel bambino, potevano anche mettere una cazzo di croce sulla sua faccia, dal vivo, sugli album di famiglia e cancellare anche il suo numero di telefono ed il ricordo di averlo conosciuto. Quattro giorni lavorativi, avrebbe anche fatto intervenire di nuovo lo zio George affinché diventassero tre o due perché proprio non poteva aspettare tanto.
Quando dopo un tempo che gli sembrò non finire mai, raggiunsero finalmente Bankside, Jessica scese dalla macchina senza neanche salutarlo, o meglio, lui la salutò e lei gli rispose con vaffanculo e Lennon fu sempre più convinto di aver fatto la cosa giusta e che le sue sensazioni non erano sbagliate; oltre, ovviamente, a quella presunta amnesia di quello che era realmente successo quella notte, che era una cosa che non poteva esistere. Si era ubriacato ed era piombato in un sonno profondo, ecco cosa gli era successo.
Decise che non voleva più pensare a Jessica e alla sua gravidanza fino all'uscita di quei risultati, altrimenti avrebbe finito per continuare a mangiarsi ancora fegato e bile, e non era quello che gli serviva. Defne. Ecco di cosa aveva realmente bisogno in quel momento. Decise di chiamarla, le aveva promesso che l'avrebbe fatto quando si erano salutati alla festa e tra la mattinata spesa a fare ricerche sul fottutissimo test di paternità prenatale e il tempo impiegato per andare e tornare da Southbank, non era riuscito a ritagliarsi un momento per telefonarle o per mandarle un messaggio. Usò il comando vocale dell'auto per comporre il numero, ma il telefono di Defne non risultava raggiungibile. Forse era in metro, o in qualche punto in cui non c'era segnale di rete. Allora chiamò Tim Smith in redazione, che invece gli rispose immediatamente.
"Lennon, buongiorno"
"Ciò Tim, come va lì, tutto bene?"
"Si, c'è solo un po' di tensione perché abbiamo molto lavoro da sbrigare, ma è tutto sotto controllo, ce la faremo."
"Ma certo che ce la farete. Ascolta, stavo cercando Defne, ma il suo telefono è irraggiungibile, me la potresti passare al suo interno?"
"Defne? No, Lennon, Defne non c'è, pensavo ne fossi a conoscenza."
Lennon sussultò sul sedile. "Come non c'è? È ammalata?"
"Non credo, ma mi ha chiamato stamattina e mi ha chiesto dei giorni di ferie, sinceramente pensavo glieli avessi accordati tu, perchè ne ha veramente tanti ancora da fare, quindi le ho detto che non c'era nessun problema. Ma forse ho sbagliato?"
"No, Tim. Il direttore del giornale sei tu e queste sono decisioni che spettano a te. Però non ne sapevo nulla. Ti ha detto qualcos'altro?
"No, solo che per il momento avrebbe preso una settimana e che mi avrebbe fatto sapere se le fossero necessitati altri giorni."
Lennon sospirò, preoccupato. Cosa cazzo era successo, di nuovo? Perchè prendersi una settimana di ferie così, dal nulla? Era accaduto qualcosa di grave? Non stava bene di salute? Erano decine, le domande che gli frullavano nel cervello in quel momento, e restò così per qualche minuto, indeciso su quale voce dentro di sé ascoltare, o se spegnerle tutte contemporaneamente.
Riprovò a comporre il numero, questa volta cercandolo personalmente dalla rubrica, era arrivato a non fidarsi neanche dell'accuratezza della ricerca vocale. Ma niente era ancora irraggiungibile. Cazzo.
Attraversò nuovamente tutta Londra in direzione Nord, per tornare a Belsize Park, probabilmente se era fortunato l'avrebbe trovata a casa, o al Circus. Ma Lennon avrebbe dovuto immaginare che la fortuna ultimamente non lo accompagnasse per niente, perchè guidò per quaranta minuti nel traffico di Londra, solo per arrivare a casa di Defne e non trovare nessuno. Ma dove cazzo era?
Le inviò un messaggio e restò interi minuti ad aspettare che lei lo leggesse, mentre l'ansia iniziava a corroderlo dall'interno, ma attese invano; chiunque avesse inventato le spunte blu di whatsapp meritava di bruciare all'inferno.
Era indeciso se telefonare a Steffy o andare direttamente al locale, in ogni caso lei era l'unica persona che potesse aiutarlo a capire dove fosse finita quella dannata ragazza.

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