Parte 41 - Underneath the Mask

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Bentrovata Londra... Lennon si fermò al semaforo, bloccato nel traffico; aprì il finestrino e inspirò a fondo, lasciando che lo sguardo vagasse distratto su quella vita che pullulava fra le strade, riempiendo di colori il grigio dell'asfalto e del cemento che come sovrani onniscienti componevano ogni parte di quella città, fatta eccezione per quegli spazi verdi che si aprivano come squarci di un mondo dimenticato, ma che per lei portava la piccolezza del sapore di una casa ormai lasciata alle spalle. La cosa più strana di Londra, per lui, non era neanche il caos, il flusso di anime che coloravano un panorama sterile in cui non riusciva a cogliere la meraviglia che in molti decantavano. Sapeva che era l'idea che avevano della città e non le sue strade o palazzi a far alzare cori sulla sua bellezza, ma quando era tornato portando ancora sulla pelle l'odore di terra bagnata del Somerset non aveva potuto fare a meno di sentirsi sperduto. C'erano mille vite perfino lì, in quel momento, bagnate dalle risate e dal vento, dalle voci che si alzavano come echi contro ogni avversità, reclamando anche per un solo istante il diritto di un sorriso, di una semplicità che doveva essere naturale, ma che sempre più richiedeva sforzi e sacrifici di ogni genere. Una città che pulsava di vita, ma che vedeva intere esistenze viaggiare una di fianco all'altra in parallelo, senza mai sfiorarsi.
Era in macchina da venti minuti e ancora non aveva fatto neanche una telefonata. Non alla clinica, non a Regina. Non si sentiva pronto per nulla, qualsiasi fosse stata la risposta del medico, non sapeva cosa avrebbe fatto dopo. E conoscendosi, lasciarsi andare al flusso delle emozioni del momento poteva essere pericoloso; ma non sapeva neanche come cazzo autoprogrammarsi per rimanere calmo qualora la risposta fosse stata quella che si aspettava. Ma aveva già perso sin troppo tempo. Pertanto armeggiò con i tasti del navigatore e cercò in rubrica quel dannato numero.
L'attesa era come una lama che, conficcatasi all'interno del suo corpo, continuava a recidere le viscere in una maniera molto più dolorosa di quanto egli stesso avrebbe ammesso ad alta voce.
Il dottore rispose dopo un paio di squilli.
"Lennon, mi aspettavo questa telefonata qualche giorno fa." Esordì il dottore dall'altro capo del telefono.
"Mi scusi dottore, sono stato qualche giorno fuori città, ma eccomi qui a fare i conti con la realtà. Mi dica tutto..."
"Lennon non c'è poi tanto da dire , non c'è alcuna compatibilità nei campioni analizzati, è impossibile che tu sia il padre di quel bambino."
Lennon sentì tutte le emozioni concentrarsi in un unico grumo che gli bloccava la gola e il respiro. Si fermò di scatto in mezzo ad una strada come un'altra, un posto qualunque, uno che tanto non faceva differenza. Aveva stretto così tanto le mani sul manubrio che aveva creduto, per qualche momento, di vederlo frantumarsi sotto quella presa, ma no. Si era fermato in un posto del cazzo, uno qualunque, non importava neanche a quel punto.
"Lennon? Sei ancora lì?"
Cazzo, il dottore era ancora in linea. Lennon cercò di recuperare un minimo di lucidità, farfugliò qualche stronzata, lo ringraziò dopodiché chiuse la chiamata.
Che situazione del cazzo.
Come avevano potuto quelle due vipere coinvolgerlo in una simile storia di merda? Affibbiargli la paternità di un figlio non suo, roba da non crederci.
Il cuore gli stava martellando nel petto, respirava a fatica ma non riusciva neanche a capire se era felice, se era incazzato o triste...e i clacson delle auto che strombazzavano nelle sue orecchie non facevano che aumentare la sua confusione. Cazzo. Era ancora fermo in mezzo alla strada.
Mise in moto l'auto, ma soltanto per accostarla al ciglio della strada, in modo da non intasare il traffico per colpa dei suoi cazzi che non interessavano a nessuno.
Si concesse qualche minuto di tempo per rimettere a posto le idee, ritornare a respirare in maniera regolare e decidere cosa avrebbe fatto subito dopo.
Doveva chiamare Defne. No, gliel'avrebbe detto di persona dopo, finalmente erano liberi di poter vivere la loro vita insieme senza sensi di colpa e senza dovere un cazzo a nessuno.
Le avrebbe chiesto di sposarlo, si, voleva vivere con lei per sempre in una casa immersa nel verde e fare almeno dieci figli. Con lei era pronto a tutto, persino a diventare padre.
Ma prima doveva dare una lezione a quelle due psicopatiche.
Compose il numero di sua madre, non era neanche sicuro di riuscire a parlare senza urlarle contro, quindi tirò dei grossi respiri mentre il telefono squillava libero in attesa che rispondesse.
"Pronto,Lenn..."
"Regina dove siete? Ancora in ospedale?"  Non le diede il tempo di finire la frase, non aveva tempo per dei fottuti convenevoli.
"No, siamo a casa, l'hanno dimessa stamattina."
Lennon cambiò immediatamente traiettoria e svoltò a destra: finalmente aveva una meta.
"Lennon, dove sei?" La voce di Regina gli arrivò lontana, era così assorto nei suoi pensieri, avvolto da una nuvola di rabbia e confusione, che quasi non l'aveva sentita.
"Sto venendo al palazzo, Regina. Oggi le vostre fottute maschere cadranno definitivamente!"
"Quali maschere? Di cosa stai parlando?"
"Basta con questa farsa, Regina. So tutto, il bambino di Jessica non era mio!"
Le chiuse il telefono in faccia, non aveva nessuna voglia di continuare quella conversazione, avrebbe messo le cose in chiaro personalmente con entrambe, dopotutto il palazzo dei Grosvenor era a meno di dieci minuti di strada.
Forse avrebbe dovuto chiamare Defne, sapeva che solo sentire la sua voce l'avrebbe calmato, ma l'aveva vista così tanto turbata in macchina quella mattina, che non voleva agitarla ulteriormente. Una volta tanto avrebbe risolto un suo cazzo di problema da solo.
Raggiunse Knightsbridge nel giro di un quarto d'ora e quando suonò il campanello del sontuoso palazzo fu stupito dal vedersi aprire la porta da Regina Grosvenor in persona, e non dal fedele Alfred come si aspettava.
Non perse tempo in convenevoli ed entrò senza salutare.
"Buonasera anche a te, figliolo."
Lennon sbuffò, lanciandole un'occhiata tagliente.
"Dov'è?" Ringhiò tra i denti. Sua madre l'osservò quasi impassibile, cosa che lo innervosì ancora di più, la sua imperturbabilità l'aveva sempre irritato in condizioni normali, figuriamoci ora che aveva un diavolo per capello.
"Lennon, calmati e vieni in biblioteca. Magari con un bicchiere di whisky tornerai più velocemente in te."
Stronza. Voleva vedere Jessica al più presto, ma forse avrebbe dovuto affrontarle una per volta, pertanto suo malgrado, si vide costretto a seguire Regina su per le scale.
Cogliendo al volo l'offerta di sua madre, si versò un bicchiere di Black Bowmore, uno dei migliori whisky al mondo e si sedette sulla poltrona, fissando quasi in trance il liquido scuro come una perla nera.
"Allora, vuoi spiegarmi cosa succede?"
Lennon alzò gli occhi di scatto, come un lupo pronto ad azzannare la sua preda.
"Succede che il test di paternità è negativo. Che probabilmente mi avete preso per un coglione, ma che non vi permetterò mai più di intromettervi nella mia vita e nelle mie scelte."
Regina si versò a sua volta un bicchiere, lei beveva scotch normalmente, e si sedette di fronte a lui.
"Non lo sapevo Lennon. Jessica ha detto anche a me che era tuo il bambino." Disse, prendendo un sorso di liquore.
"E ti aspetti che ti creda?"
"Non mi aspetto niente. Io ti sto raccontando come sono andate le cose, il fatto che tu mi creda o no non cambierà certo il fatto che non mi puoi vedere. Jessica ha detto che era incinta di te, poi dopo che l'hai trascinata con la forza in quella clinica per il test di paternità, si è spaventata ed ha confidato la verità a suo padre che poi mi ha messa al corrente di tutto. L'ho saputo tre giorni fa. E ho provato a chiamarti, ma come sempre non mi hai risposto."
Lennon tirò un respiro profondo e pensò che non vedeva l'ora di tornare a casa da Defne.
"Hai ragione, non cambia nulla di quello che penso di te. Ma ora voglio parlare con Jessica, se non ti dispiace."
"Non c'è, è scappata via piangendo quando le ho detto che stavi venendo qui. Avrà immaginato che avessi scoperto la verità."
"Fanculo! E dove è andata? Non l'ha detto?"
Regina scosse la testa, la testa bionda leggermente inclinata in avanti per scorgere le reazioni del figlio.
"No, era arrabbiata, gridava e piangeva. Ho provato a chiamarla, ma non risponde. Non so come abbia fatto, ma ha scoperto che sei tornato insieme a quella ragazza."
Lennon alzò la testa di scatto.
"Merda!"

***

"Mia dolce sorella, vita mia.
Io non so scrivere bene come te, non so neanche mettere insieme due parole senza fare un casino ma so che mi capirai ed è per questo che ti sto scrivendo questa lettera.
Defne, il destino ha giocato la partita al nostro posto, ti sei innamorata del fratello della donna che ho amato e che ho ucciso. Non avrei mai voluto che accadesse, amavo Michelle più della mia stessa vita, ma sono stato poco attento ed è giunto il momento di prendermi la responsabilità di quello che è successo quel maledetto giorno. La droga era mia, l'ho uccisa io. Anche se prima di venire da me lei era andata da sua madre e quella donna le ha sbattuto la porta in faccia. Avrei voluto che Lennon fosse l'uomo che è oggi e non solo un ragazzino all'epoca, le cose sarebbero andate diversamente. Ma non voglio scappare più, finirò di scontare la mia pena, nella speranza di arrivare per tempo in quel giorno in cui potrò accompagnarti all'altare al posto di quel padre che ci ha abbandonato e di quella madre che hai perso per colpa mia. Stavo per scappare in un altro paese quando mi sono fermato e mi sono chiesto cosa cazzo stessi facendo. Se tu mi perdoni forse abbiamo ancora una possibilità in questa vita. Sono troppi gli errori che ho commesso, non ultimo l'averti derubata in casa tua; non ho toccato quella collana, te la restituisco insieme a questa lettera, pensavo di darla in cambio di denaro per partire, ma poi non ci sono riuscito. Sto andando a costituirmi Defne, perché voglio essere al tuo fianco quando ti sposerai ed essere uno zio degno dei tuoi figli.
Non so quanto tempo ci vorrà ma è necessario che tu mi perdoni e che anche Lennon mi perdoni. La mia preghiera corre anche verso di lui. Conto su di te per fargli capire che amavo Michelle e che l'unico mio errore è stato non nascondere bene quella maledetta droga. Vieni a trovarmi qualche volta. Ti amo sorella mia. Mi dispiace tanto."

Defne si lasciò scivolare quel foglio stropicciato tra mani, le sue lacrime avevano bagnato la carta e l'inchiostro su alcune parole si era leggermente sfuocato, ma non importava, perché l'aveva già letta talmente tante volte che l'aveva imparata a memoria.  Alla fine aveva deciso di leggerla da sola, aveva aspettato che Steffy e Andrés uscissero per andare al Circus, per chiudersi nella sua stanza e concedersi quel momento di intima sincerità con suo fratello. Si rese conto mentre leggeva, che in realtà l'aveva già perdonato ancora prima di aprire quella busta, che un fratello meritava una seconda possibilità e che se sprecava anche la seconda, allora era giusto dargliene anche una terza.
Non era pronta a farlo subito, ad andare da lui come se nulla fosse successo, ma sicuramente il fatto che lui avesse deciso di costituirsi, le infondeva una vaga speranza di riabilitazione; forse, un giorno, lui sarebbe tornato ad essere quel ragazzino che la proteggeva contro tutto e tutti, quello che le aveva impedito di cambiare il cognome, quello che le ricordava da sempre chi erano e da dove provenivano.
Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e piegò la lettera, nascondendola sotto al cuscino.
Era stata così tanto assorta nei suoi pensieri, che non si era neanche accorta del trascorrere del tempo, e solo quando guardò l'orario sullo schermo del telefono si rese conto che Lennon non si era ancora fatto sentire.
Era indecisa se chiamarlo, probabilmente era ancora in ospedale e non sapeva in che condizioni versasse Jessica dopo l'incidente, quindi decise di mandargli un messaggio.
'Lennon è tutto ok? Sono preoccupata. Mi manchi'
Attese qualche minuto poi lui le rispose.
'Sto per tornare a casa. Aspettami in casa e non uscire finché non torno io."
Defne lesse il messaggio con una smorfia. Che messaggio strano. Che cosa voleva dire con 'non uscire'? Non le aveva neanche detto in quale casa doveva aspettarlo, se a casa sua o a casa di Steffy.
Pensò che probabilmente Lennon fosse molto provato dall'incontro con Jessica e sua madre, o forse quel test di paternità era positivo ed ora si sentiva pieno di sensi di colpa.
Le chiavi di casa di Lennon erano ancora nella sua borsa, forse avrebbe potuto aspettarlo a casa sua e nel frattempo preparargli una minestra calda e accendere il fuoco nel camino. Si cambiò velocemente i vestiti, indossando una tuta comoda e, dopo aver infilato il telefono e qualche cianfrusaglia in borsa, uscì.
Mentre scendeva in strada, si domandò ancora una volta perché Lennon le avesse scritto di non uscire, ma si ripetè che ci stava pensando troppo e che in realtà probabilmente quelle parole non avevano alcun senso.
Poi il motore di un auto potente rombò in fondo alla strada. Eccolo Lennon, era sicuramente la sua Bentley. Defne fece qualche passo in avanti e attese per scorgerne i fari. Ma stava guardando dal lato sbagliato. Fino all'ultimo momento non si accorse della macchina che, sbucata a velocità sostenuta dalla curva alle sue spalle, puntava dritta verso di lei. Quando si rese conto del pericolo, l'auto era talmente vicina che l'unica cosa che riuscì a fare era buttarsi a terra. Ma era troppo tardi.
L'ultima cosa che sentì fu lo stridio dei freni e delle gomme sull'asfalto.
Poi il buio.

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