Parte 34 - You do Something to Me

380 44 44
                                    

Per lui la festa poteva anche finire lì, anzi poteva tranquillamente finire il mondo ora che aveva potuto stringerla di nuovo tra le sue braccia. La sentì stringersi al suo corpo e l'abbracciò anche lui, stringendole le braccia dietro la schiena, una mano dietro la nuca a premerla piano, il volto che si girò abbastanza da fargli premere le labbra sulla sua testa. Dio, voleva di nuovo baciarla, voleva farlo anche quando lei non c'era e solo il ricordo di quella sensazione bastava a fargli venire voglia di farlo ancora ed ancora, più giù, più a fondo, sentire la sua pelle fra le labbra, la sua voce farsi sottile. Un respiro profondo, il primo di quella che, lo sapeva, sarebbe stata una lunga serie. Defne era lì ed era bellissima, ed ogni volta sembrava esserlo di più. Cristo, perché era così bella?
"Lennon? Mi prometti che risolveremo tutto? Tutto quanto?" La sua espressione così ingenua e spontanea e la paura che lesse nei suoi occhi lo fecero vacillare e quasi sentì le lacrime pungergli gli occhi, e ringraziò il cielo che ci fosse il buio a tenerli parzialmente nascosti perché non voleva che lo guardasse in quelle condizioni, non così, non voleva infierire ancora.
Avrebbero risolto tutto? Non lo sapeva, ma sapeva che lui si sarebbe dovuto impegnare per far si che accadesse; non sapeva come, avrebbe dovuto iniziare con le paure che non affrontava mai, quelle dell'abbandono che erano lì immobili da così tanto tempo da averle quasi perse fra le fibre del suo essere. Si spostò appena, lasciando che le mani tornassero sulle sue guance perché ora voleva la sua pelle, e allora le mise lì. Si chinò appena di più, strusciando il naso sulla sua guancia per qualche secondo, come se fosse una sorta di animale. E Cristo, lo era.
"Devo risolvere un paio di cazzi prima, ma ti prometto, te lo giuro Defne, che lo voglio affrontare. Per te, per me, per noi. Voglio che ci liberiamo di tutta questa merda."
Lei lo guardò con gli occhi che scintillavano come stelle cadenti, non sapeva se era un effetto delle lacrime o cosa, ma lei brillava ed era stupenda. La baciò piano, poi con più forza, poi di nuovo con lentezza. Seguiva i moti, quelli che spingevano e lo assalivano e volevano essere esternati, andare fuori, raggiungere lei. Ci mise un po' a capire che era scosso. No, cazzo. Era commosso, ma anche quello gli sembrava riduttivo. Glielo diceva il suo stomaco, le mani molli che tremavano come quelle di una ragazzina al suo primo bacio, che era esattamente come si sentiva. Che cazzo, non avrebbe mai immaginato neanche lontanamente che una donna avrebbe potuto mai fargli un effetto simile.
Defne, sollevata, tirò su con il naso, gli occhi che si chiusero soffocando le lacrime e lo sguardo che si alzò, di nuovo, verso di lui. E questa volta le labbra si sforzarono di piegarsi all'insù, anche se solo di poco.
"Dobbiamo tornare dentro." Disse.
Che palle. Aveva ragione; Lennon non poteva lasciare la festa, lo doveva fare per lo zio, per tutte le persone che erano lì per loro. Inoltre voleva assolutamente conoscere quel medico di cui gli aveva parlato, perché la priorità assoluta era sincerarsi che Jessica non aspettasse realmente un figlio suo. Ma l'idea di rientrare, e vedere di nuovo quell'idiota sbavare al fianco di Defne gli faceva venire la voglia di spaccare tutto.
"Sei venuta qui con quel...Bennet?" Le chiese, cercando per quanto possibile, di mantenersi calmo.
"No, sono venuta in taxi." Rispose lei evasiva.
"E tornerai in taxi. Perché se ti vedo di nuovo..."
Defne lo bloccò, prendendogli il viso tra le mani e lo guardò negli occhi e Lennon ne fu risucchiato perché era così che essere guardato da lei lo faceva sentire.
"Tornerò in taxi. E andrò via adesso. Perché non voglio più rimanere qui, mi gira la testa."
Lennon annuì, rasserenato. Anche lui si sentiva strano, come se fosse appena sceso da una giostra, dalle dannate montagne russe, ma non gli importava. Certo, avrebbe voluto non staccarsi mai da lei, ma questa volta avrebbe fatto le cose con calma e con criterio, per forza. Un altro errore sarebbe costato troppo caro, non potevano permetterselo, perché la loro storia, quel loro sentimento inizialmente così puro, era stato troppo contaminato dagli altri. E anche loro avevano sbagliato, avevano commesso degli errori imperdonabili, sarebbe stato complicato forse, avrebbero litigato forse, ma probabilmente non si sarebbero lasciati andare di nuovo.
Lennon voleva che il loro amore potesse tornare per magia ad essere puro, poterla guardare negli occhi e specchiarvisi dentro, con fiducia totale. Si sarebbe mai più fidato ciecamente di Defne? Non lo sapeva, ma sapeva che vivere senza di lei era un inferno del cazzo e quindi avrebbe dovuto rieducarsi a farlo perché si.
Avrebbe voluto prenderla per mano, o prenderla in braccio e portarla dentro così, ma sapeva che avrebbero attirato l'attenzione di tutti e non voleva causarle alcun turbamento. Lei si era voltata verso la porta per rientrare ma Lennon la voleva baciare ancora per l'ultima volta, perché non importava se erano solo poche settimane, ne aveva sentito così tanto una mancanza da voler macinare il tempo sulla sua pelle e riprenderlo tutto.
"Defne..." la trattenne per il braccio e l'attirò nuovamente verso di sé. "Dove vai? Stai già scappando?" Le soffiò sulle sue labbra, mentre l'altra mano la stringeva sul suo volto, fra i capelli, prima di baciarla davvero inspirando per qualche secondo dal naso con forza, come se si stesse per immergere sul fondo del mare sapendo di doverci stare per un po'.
Perché il mondo non spariva e li lasciava soli?
Loro ne avevano bisogno.

Like Dreamers DoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora