Il potere del Natale

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L'aria natalizia popolava le strade, trasmetteva felicità e spensieratezza, la solita bontà che arrivava una volta l'anno e rendeva tutto più bello, il freddo aumentava sempre di più, la neve scivolava giù dal cielo e decorava le numerose strade rendendo l'aria fredda ma piena di divertimento, i bimbi giocavano nella neve sfidando il freddo che ti entrava nelle vene, i vialetti delle case erano decorati da pupazzi di neve, i tetti illuminati dalle lucine che creavano un gioco di colori sulla neve sciolta che li ricopriva, sulle porte c'erano enormi ghirlande e tappeti che ti auguravano un felice natale.

Mi svegliai al suono delle urla e le risate dei bambini che giocavano felici nel parco di fronte casa, infilai le mie pantofoline pelose e scesi al piano di sotto trovando come ogni mattina Harley alle prese con la sua colazione.

“Buongiorno bellissima” il mio fratellone mi salutò con un bacio sulla guancia, lo abbracciai sprofondando il viso sul suo petto e chiudendo gli occhi, circondò il mio corpo con le sue braccia calde e mi strinse forte a se, aaah il potere del natale, mi lasciò un bacio sulla testa e insieme continuammo la colazione.

“Mi aiuti a mettere l'albero? ” gli sorrisi e annuii, portò dal garage un enorme scatolo, montammo l'albero in un angolo del soggiorno, accanto alle finestre e insieme iniziammo a decorarlo sotto le note di canzoni natalizie.

“Che ne dici di farlo blu?” propose reggendo uno scatolo pieno di palline blu.

"No, l'abbiamo già fatto l'anno scorso”

“Allora rosso?” propose ancora, ad interrompere le nostre chiacchiere sul colore delle palline da mettere sull'albero fu il campanello, sbuffai e saltellando raggiunsi la porta, davanti ai miei occhi, un uomo sulla quarantina, dietro di lui, quasi nascosta dalle sue spalle, una donna, incontrai gli occhi dell'uomo, marroni, scuri, profondi, proprio come i miei, uguali ai miei, ferma davanti alla porta li scrutavo immobile, fino a che mi scostai.

Se avrei avuto qualcosa di decente addosso sarei uscita e andata via ma indossavo il mio pigiamino rosa e le pantofoline pelose.

“Ellen chi è?” sentii i passi di Harley sul pavimento in legno e in pochi secondi fu al mio fianco “Oh” fu tutto quello che uscì dalla sua bocca prima di fiondarsi tra le braccia dei due signori.

Non capivo come ci riusciva, non capivo come faceva, non portava rancore nei loro confronti, non era arrabbiato, e non capivo perchè visto che io ero furiosa verso quei due.

Mi scostai quando si avvicinarono per entrare e chiusi la porta con un tonfo.

Incontrai gli occhi della donna, azzurri, mi ero sempre chiesta perché avessi ereditato gli occhi di papà e non i suoi meravigliosi occhi azzurri, ma erano toccati ad Harley, l'azzurro era velato dalle lacrime, e la voglia di abbracciarla era così forte da far male.

Sbattei un pugno sul legno della porta e scaraventai giù dal tavolo lo scatolone con le tante palline colorate, mi fiondai sulle scale e con grandi passi le salii correndo in camera e sbattendo la porta, legai i capelli in una veloce coda di cavallo spettinata e infilai i guanti correndo in palestra, davo calci e pugni al sacco da box, era da tanto che non lo facevo, perchè stavo bene, ma a volte la rabbia si accumulava, e in qualche modo dovevo sfogarla.

“Quando eri piccola, la domenica mattina correvi in camera, per svegliarmi” non l'avevo sentito entrare ma non mi giraii “mi tiravi giù dal letto e tu già sveglia e pronta, con il costumino rosa che amavi tanto mi urlavi di muovermi, poi saltellavi per la casa cantando una canzoncina improvvisata e urlando ‘Andiamo a mare! Andiamo al mare!'” tirai pugni più forti al sacco “eri così felice di passare del tempo con me, adesso sembra che tutto quello che provi nei miei confronti è solo rabbia e odio” lentamente mollai il sacco, e mi girai, era appoggiato alla porta chiusa, i suoi profondi occhi velati da lacrime.

"I-io non ti odio” iniziai col fiatone a causa dei pugni dati al sacco poco prima “Sono solo arrabbiata, tutto quello che fate, tu, la mamma, è mentirmi, mi dite che non partirete ma nemmeno il tempo di riuscire a crederci che siete già su un aereo diretti per chissà dove, non dite niente, non salutate, sparite all'improvviso! Io non c'e la faccio papà” alzai il tono sempre di più e cercai di trattenere le lacrime “Tu non capisci quanto mi manchi, quanto mi mancate, non capisci quanto io abbia bisogno di voi, e la cosa che fa più male, sono le tue bugie, continui a mentirmi per poi scappare via lasciandomi nel dolore” mi guardò e si avvicinò.

“Piccola, lo so, non ci siamo mai ma ti promet-”

“No!” urlai fermandolo “Non continuare a dirmi cazzate! Smettila di fare promesse, sono tua figlia! Alemno a me non mentirmi!” alzai le mani “Sai quanto dolore io abbia provato in questi anni? Quando avevo bisogno di te, quando avevo bisogno della mamma, nessuno c'era, e Harley non può sostituire mia madre per tutta la vita, non può sostituire mio padre” mi asciugai una lacrime sfuggita al mio controllo.

“Lo so tesoro mio, sono stato un padre pessimo, non ti prometto niente perchè non c'e ne bisogno, da oggi resterò qui, con te, e non me ne andrò, non c'e ne andremo più, ti chiedo di fidarti, di credermi, e adesso vieni qui e abbracciami che mi sei mancata troppo” aprì le braccia e ridendo mi fiondai tra di esse stringendolo forte “Ti voglio bene El, ricordalo, sempre” sorrisi contro il suo petto.

“Anch'io ti voglio bene papà”

-

“Wow che profumino!” annusai l'aria “Lasagne!” esclamai felice avvicinandomi ai fornelli “Che ne dici se prepariamo una torta mà?” mi sorrise e con gli occhi lucidi annuì, era un nostro piccolo modo per comunicare, aveva capito, da bambina quando ero triste o stavo male mi preparava una torta ed ogni volta che litigavamo con l'aiuto di papà preparavo una torta per farmi perdonare o viceversa.

Appoggiai la testa sulla sua spalla e le lasciai un bacio sulla guancia “Mi sei mancata ma”

“Anche tu piccola mia, anche tu” e mi racchiuse in un abbraccio.

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