Ti amo

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Arrivai a casa sfinita, Harley mi aveva già dato una sua opinione per la divisa da cheerleader e si era anche arrabbiato perché mi aveva cercato per tutta scuola senza trovarmi, beh, non aveva di certo guardato nel ripostiglio della palestra, e di certo non avrei voluto essere trovata con Justin a fare cose che nemmeno avrei dovuto fare…almeno non a scuola.
Mi accasciai sul divano cercando di fare un pisolino ma Harley mi chiamò appena il sonno stava per inghiottirmi.

“Cosa c’e adesso?” domandai non avendo voglia di raggiungerlo in cucina.

“Hanno chiamato mamma e papà” disse semplicemente ma me ne restai sul divano, nella stessa posizione e ancora con gli occhi chiusi, non avevano chiamato me e nemmeno a casa, avevano chiamato lui perché sapevano che se avrebbero chiamato me sarebbe nata una discussione o avrei semplicemente ignorato la loro chiamata; erano partiti ancora una volta per chi sa dove, non avevano mai un luogo fisso in cui restare e stavolta erano partiti anche senza avvisare, ah no, avevano lasciato un bigliettino, un bigliettino del cazzo che non poteva essere più inutile.

“Dai El, non essere arrabbiata con loro” disse Harley, mi alzai di scatto dal divano.

“Non dovrei essere arrabbiata? Come puoi dire una cosa del genere?!” urlai contro Harley “Sono partiti senza dire niente, hanno lasciato un bigliettino, un fottuto biglietto che non è servito a un cazzo! Sono partiti come hanno sempre fatto in questi fottutissimi sei anni! Ritornano per un paio di giorni e spariscono per tre mesi! Erano tutte cazzate, avevano detto che non sarebbero più partiti, me l’avevano promesso cazzo e invece se non sono andati via di nuovo!” senza nemmeno accorgermene avevo iniziato a piangere, odiavo piangere, perché dovevamo mostraci così deboli con delle inutili gocce d’acqua, io non ero debole e non volevo sembrarlo.
Mi asciugai con forza le lacrime e scaraventai le riviste posate sul tavolino “Non voglio più vedere nessuno! Non azzardarti a seguirmi” gli urlai contro già sulla cima delle scale.

Avevo sempre avuto un buon rapporto con i miei genitori se escludiamo le piccole litigate, dicevano che ero testarda, e lo ero, che volevo sempre aver ragione…e forse anche quello era vero, insomma, la maggior parte delle nostre litigate era per colpa mia e del mio carattere ma ne andavo fiera, amavo quella che ero diventata con il tempo, da piccola ero timida e di poche parole poi mi sono stancata di essere quella esclusa da tutti e ho rinchiuso quella timidezza nel bidone dei rifiuti. Ormai non mi importava più nulla, se dovevo dire una cosa la dicevo, facevo quello che volevo, esprimevo le mie opinioni, ed eccone una, che vadano tutti a fanculo, perché la gente fa promesse che poi non riuscirà a mantenere? Promettono, promettono, promettono, io per adesso ho solo sentito parole, voglio i fatti, voglio vedere che queste promesse sono vere, non parole buttate al vento, tanto per far felice qualcuno, ho visto tantissime persone spezzare promesse di una vita, di una amore durato anni, quante cazzate ho visto, sentito dire, ormai sono tutti così monotoni che promettere è diventato un hobby.
Io ero una di quelle tante persone illuse che avevano creduto a tutte quelle cazzate, con la differenze che io non mi piangevo addosso, era tutto inutile versare lacrime per qualcosa che sapevamo sarebbe successo, o almeno io, lo sapevo, avevo solo creato una bolla di illusione solo per terminare quel dolore che continuava da anni, si, mi portavano dolore, un dolore durato per troppo tempo ed era ormai arrivata l’ora di farlo smette e di far scoppiare quella bolla di illusione, partivano? Per me andava bene. Restavano? Non me ne fregava niente perché sapevo che avrebbero fatto altre promesse, e io ci avrei creduto, ma dovevano dimostrare di saperle mantenere, di realizzarle.
Ero incazzata con loro, ma soprattutto con me stessa, per averci creduto. Mi alzai dal letto sul quale mio ero buttata ed entrai nella cabina armadio, posata in un angolo c’era la mia bimba, la mia amata chitarra acustica, era su di lei che sfogavo le mie emozioni…sennò c’era il sacco da box in garage ma su quello sfogavo la rabbia. Andai a sedermi sul divanetto sotto la finestra e iniziai a suonare la prima melodia che mi venne in mente, appena le mie dita si poggiarono sulle corde della chitarra il mio iphone intonò teenage dream, in versione Glee; guardai il mittente: Justin, posai la chitarra al mio fianco e accettai la chiamata.

Is backDove le storie prendono vita. Scoprilo ora