Grazie prego ciao

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Erano passati solo due giorni dalla festa e Justin mi era mancato così tanto, potevo anche non vederlo per giorni ma sapevo che mi amava e che nonostante la distanza lui era con me e tutto andava bene; in quei due giorni invece, mi era mancato così terribilmente tanto, mi mancava solo a pensare che lui non c’era, che non mi avrebbe chiamata, dato il buongiorno o la buonanotte e che non avrei sentito la sua voce.

Eravamo ancora sul suo letto, lui mi accarezzava i capelli ed io circondavo il suo corpo con le mie braccia, nessuno dei due aveva aperto bocca ed eravamo in quella posizione da più di mezz’ora, era rilassante, ma anche rassicurante sapere che lui era di nuovo con me, nessuno dei due aveva intenzione di rompere il silenzio e la tranquillità dell’aria, gli unici suoni erano solo i nostri respiri e il battito del suo cuore che rimbombava nel mio orecchio.
Avevo voglia di parlare, di sentire la sua voce, ma non volevo rompere la tranquillità dell’aria.

“El?” come se avesse sentito i miei pensieri, parlò per primo, rompendo il silenzio che riempiva la stanza, alzai la testa, guardandolo negli occhi “Ti amo” disse con un sorriso che partiva da un orecchio all’altro.

Mi appoggiai su di lui affondando il viso nel suo collo “Ti amo anch’io Justin” la mia voce uscì ovatta e lo dissi nel modo più silenzioso possibile, come un segreto, circondò i miei fianchi con le sue braccia e mi strinse forte a se, e così anch’io, gli circondai il collo con le braccia beandomi del suo dolce profumo; rimanemmo in quella posizione per circa dieci minuti e pian piano mi stringeva sempre più forte, a malincuore mi staccai da lui sedendomi con le gambe sotto il sedere “Justin, è tardi e devo andare a casa”

“Naaah, rimani qui” mi pregò con lo sguardo.

“Justin non voglio dare fastidio” mi guardò facendo finta di essere scioccato dalle mie parole.

“Questa è la cazzata più grande che tu abbia mai detto Ellen” lo guardai non capendo il perché “No okay, ne hai dette di più grosse” spalancai la bocca e gli diedi uno schiaffo sul petto, rise e mi tirò per il braccio, mi ritrovai stesa su di lui, a pochi centimetri dal suo viso, dai suoi occhi dorati, pft, e poi c’e gente che dice ancora che il paradiso non esiste “Dai rimani qui” mi guardò negli occhi sporgendo il labbro inferiore, mi accarezzò una guancia e portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.


“O-okay” farfugliai incantata da tutta quella bellezza, spalancai la bocca realizzando cosa aveva fatto mentre lui sorrideva fiero di se “Sei uno stronzo!” gli colpii il braccio.

“Dai bimba non ti arrabbiare, non è colpa tua se sono così bello” si vantò aggiustandosi il ciuffo, sbuffai e mi alzai dal letto.

“Ah, si? Allora me ne vado, tu continua a vantarti vai” presi il mio telefono da sopra la scrivania e mi avvicinai alla porta, mentre stavo per aprirla Justin mi fermò.

“No, no, no!” richiuse la porta con un calcio e mi spinse contro il muro, non mi diede nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo che mi baciò, portai le mani dietro il suo collo tirandolo il più vicino possibile, dalle labbra scese a baciarmi il collo, mi afferrò una gamba portandola all’altezza dei suoi fianchi e gli saltai in braccio avvolgendo le gambe ai suoi fianchi, si allontanò dal muro avvicinandosi al letto; dopotutto, potevo rimanere ancora un po’.
 

****


Quella mattina mi svegliai con un sorriso stampato sul volto, ero felice, ed era strano, la mattina odio tutto e tutti, nessuno deve farmi incazzare appena sveglia o lo sarò per tutta la giornata, si sono strana lo so ma mi irrito facilmente.
Guardai il ragazzo al mio fianco, dormiva ancora, il suo ciuffo biondo andava in tutte le direzioni, le labbra socchiuse lo rendevano così carino, era bellissimo anche quando dormiva; guardai l’ora sul telefono, erano le nove e mezza e avevo detto ai miei che sarei ritornata per le dieci, mi alzai piano dal letto cercando di non svegliare Justin, mi vestii e cercai di rendere l’ammasso di paglia che avevo in testa presentabile, avevo anche il trucco sbavato, andai in bagno e mi lavai la faccia poi tornai dal biondo che dormiva ancora, gli lasciai un bacio sulla guancia e andai via, fortunatamente, i genitori, Jazmyn e Jaxon non c’erano, erano partiti la sera prima per andare dai nonni.

“Ehi bimba, mi lasci così?” mi portai una mano al cuore dallo spavento, in quella casa regnava il silenzio e lui mi appare all’improvviso, mi girai trovandomi un Justin tutto assonnato, aveva gli occhi semichiusi, indossava solo i boxer e con le dita si strofinava gli occhi cercando di svegliarsi del tutto.

“Scusa, ma è tardi e devo ritornare a casa” in risposta, lui aprì le braccia e senza pensarci due volte mi ci fiondai dentro, mi strinse forte a se appoggiando la guancia sulla mia testa.

“Questo è un risveglio, se aspetti mi vesto e ti accompagno io” sorrisi ma scossi la testa.

“Non preoccuparti, tu torna a dormire” gli passai una mano nei capelli.

“No dai asp-”

“Justin, non preoccuparti” lo guardai non ammettendo obbiezioni, lui sospirò annuendo.

“Va bene ma chiamami quando arrivi” ridacchiai e prima di andare via gli lasciai un bacio a stampo.

Aprii la porta di casa e il sole mi colpì in pieno, era una giornata calda, o almeno, quanto le temperature del Canada lo permettono; casa mia distava circa venti minuti da casa di Justin e per andarci passavo davanti casa Reyes, quindi, nonostante avevo ancora i vestiti di ieri ed ero sicura di sembrare un mostro senza trucco mi fermai alla villetta.

Una piccola bimba bionda mi aprì quando bussai il campanello “Ellen!” mi saltò in braccio abbracciandomi, era da tanto che non vedevo la piccola Ariana.

“Come stai piccola?” le domandai accarezzandole i capelli.

“Bene, e tu?” mi rispose con quella sua piccola vocina.

“Bene tesoro, c’e tua sorella?” non mi rispose nemmeno che la sua piccola vocina si trasformò in un urlo stridulo.

“Brooklyn! La porta! E’ per te!” nemmeno due minuti che vidi la mora scendere le scale tutta assonnata.

“Che cazzo urli mocciosa?!” sbottò incazzata, la sua solita finezza, Brooklyn sembrava una ragazza dolce e tranquilla, ti ingannava con i suoi sorrisi e i suoi dolci occhietti, per non parlare della voce, era dolcissima, ma era tutta apparenza, era un uragano, la sua finezza mi stupiva ogni giorno di più -beh, io non ero la persona più adatta per parlare di finezza- era dolce, ma solo quando voleva e con chi voleva; quando la vidi per la prima volta, il primo giorno di scuola, pensavo fosse una di quelle ricche –in quella scuola erano tutti ricchi ma sh, dettagli- santarelline, perfettine del cazzo che ubbidivano ai loro genitori e prendevano voti alti solo per loro, ma poi, conoscendola meglio, era l’opposto di quel che pensavo, non era di certo una santerellina e i suoi voti erano alti si ma non per i suoi genitori e il suo rapporto con loro era un po’ incasinato, gli creava mille problemi.

“Ellen!” urlò accorgendosi di me, corse giù per le scale e mi saltò addosso stritolandomi, ecco, questo è il suo lato dolce.

“Si Brook, mi sei mancata anche tu” la stritolai anch’io in un forte abbraccio, non la vedevo da quanto…due giorni? Ehi, io adoro le mie migliori amiche! Pft.

“Cosa ci fai qui alle…” guardo l’orologio dal suo telefono “10 di mattina?” mi guardò confusa, oh bene, ero anche in ritardo per tornare a casa.

“Oh, beh, ho dormito a casa di Justin” arrossii leggermente.

“Ellen Jhonson stai arrossendo!” urlò indicando le mie guance e ridendo.

“Sssh non è vero cogliona, lasciami in pace” le colpii il braccio e lei rise ancora di più.

“Se vabbè dai tanto lo so che avete fatto sesso” ridacchiai per la sua espressione alla: ‘tu sai che a me puoi dirlo eh eh’

“Si okay abbiamo fatto sesso e allora? Non è la prima volta” incrociai le braccia al petto.

“Non è la prima volta ma se ricordo bene eravate incazzati l’uno con l’altro quindi sesso riparatore baby” formò con le mani due pistole e strizzò l’occhio, spalancai la bocca, schietta e decisa la ragazza…come sempre “Quindi adesso entra, perché devi raccontarmi quello che è successo” entrai dentro e mi trascinò in camera sua, l’unica che sapeva tutto, beh non proprio tutto, era Elysabeth.

“Aspetta Brook, che ne dici se ci incontriamo tutte oggi e vi racconto? Devo anche ritornare a casa” e non avevo voglia di raccontare cosa fosse successo per altre tre volte.


“Va bene, per questa volta te la scampi Jhonson ma ci vediamo oggi” ridacchiai e gli diedi un bacio sulla guancia e andai via.
Questa volta, uscita da casa Reyes, andai dritta a casa.


****


“Sono a casa!” urlai per farmi sentire, era stranamente tutto silenzioso “Mamma! Papà! Harley!” niente.

Salii le scale e controllai nelle camere, non c’era nessuno, mi rimaneva solo la camera di Harley, entrai senza bussare, ed era una cosa che non avrei dovuto fare.
Era sul suo letto che dormiva e accanto a lui c’era una biondina ossigenata, era appoggiata sul suo petto, ed erano fortunatamente coperti dal lenzuolo, soprattutto Harley.

“Harley Jay Jhonson!” urlai il più forte possibile per farli svegliare.

“Cosa? Che succede?” si svegliò di scatto alzando il busto e di conseguenza facendo svegliare la biondina “Cosa cazzo urli Ellen?!” urlò incazzato.

“Stai urlando anche tu coglione! E se proprio devi scoparti qualcuno abbi la decenza di chiudere la porta a chiave, immagina se fosse stata la mamma!” urlai più forte di lui “E dove sono mamma e papà?” urlai ancora.

“Smettila di urlare, non lo so, hai controllato se hanno lasciato un bigliettino o inviato un messaggio?” disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

“Ovvio che ho controllato” mentii.

“Bene allora vai a vedere” scosse la testa cercando di non ridere, me ne andai ma nemmeno cinque minuti dopo che rientrai in stanza.

“Oh, Harley, manda la biondina via di qui, o la fai tu o lo faccio io, grazie prego ciao” e lasciai di nuovo la stanza.

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