Chapter Twentyeight.
Non potevo più fare niente. Non potevo più fare niente, se non tornare a casa. Tornare da loro, a Baltimora. Ero distrutto. Credevo di aver provato dolore, in passato. Con la morte di Mark, con i fratelli mai nati, ma niente. Niente era paragabile a tutto ciò.
'Quando arrivi?'
'Tra 2 minuti sono lì.'Baltimora non era cambiata. Era il solito grigiore, con qualche patetico alberello piantato qua e là, per l'imminente visita del Presidente Obama. Erano le sette di sera, era Marzo, e fra poche settimane sarebbe stato il mio compleanno. Sarei diventato un noiosissimo ventenne. Forse avrei dovuto iniziare a trovare un lavoro serio. Avrei dovuto inseguire i miei sogni, ma Baltimora non lo permetteva. Restavi incatenato a questo posto. Dopotutto vivere in una delle poche Contee Indipendenti D'America, era a proprio rischio e pericolo. Ero arrivato davanti a Casa Hood e Irwin. Sembravano passati anni, e a differenza di tre settimane fa, avevo un cuore spezzato, dei tagli ai polsi che sembravo un' autolesionista, e tanta, tantissima stanchezza addosso. Suonai tremando il campanello logoro, e da dentro sentii dei rumori, come qualcuno che si alza dal divano. Aprii la porta, e mi ritrovai catapultato nel mio mondo. Vidi Ash e Micheal che giocavano a FIFA, mentre Kylie e Gem parlavano tra di loro. In cucina c'era Calum che cercava di parlare ad una ragazza, dai lunghi capelli neri. Lei si girò sbuffando, scuotendo la testa.
"Dai Cyeril. Ascoltami."
Cyeril? Bah!
Faccio il primo passo e tutti si girano verso di me, tranne Hood e la nuova, che parlano sottovoce. Ash si alza dal divano logoro e viene verso di me. Mi supera e chiude la porta.
"Non fa ancora così tanto caldo. Bentornato a casa Luke. " I capelli biondi erano cresciuti lungo le spalle e i primi accenni di barba crescevano sul mento. Gli occhi erano pieni e guizzavano su ogni parte del mio corpo. Subito lo affianca la ragazza dai capelli arancione carota e il viso pieno di lentiggini. Stringe il mio corpo dolorante in un abbraccio sincero. Siamo stati sempre buoni amici.
"Ciao Gem."
Lei sorride e si affianca al suo fidanzato che le cinge il fianco stampandole un leggero bacio sulla fronte. Kylie si alza dalla sedia di legno scuro e a passi insicuri, striscia i piedi sulla moquette. Si sporge e mi sussurra all'orecchio.
"Lei come sta?" La voce tremante.
"Sam è a San Diego." Tremo solo a pronunciare il suo nome e Kylie lo nota, perchè mi prende la mano e la stringe con forza.
"È tutto okay."
Annuisco insicuro, perchè no. Non è tutto okay. Fa tutto schifo.
"Ehi Hemmo!" L'unica persona, che in questo momento riuscirebbe a urlare per casa, è anche l'unica che ha una chioma turchese in testa.
"Clifford." Sorrido facendo un inchino goffo. Lui con un enorme sorriso mi alza da terra prendendomi tra le sue braccia.
"Mi sei mancato."
"Lo so, manco a molte persone." Tiro le labbra in un sorriso e sento la testa girare, e la vista offuscarsi. Faccio un cenno del capo verso la cucina, con le sopracciglia aggrottate.
"Cyeril. Io e Hood abbiamo fatto una scommessa. Deve scoparsela prima della fine della scuola. Altrimenti non lo porto a Las Vegas." Sussurra il ragazzo ghignando.
"Cosa dovrebbe farci un cinese a Vegas?" Chiedo alzando il tono di voce, cercando di farmi sentire anche da Calum.
"Divertirsi, no?" Afferma Micheal tirandomi un leggero schiaffo sulla spalla. Gemetti contrariato,sentendo una forte fitta, lì dove solo dodici ore prima, il bestione mi aveva lasciato un bel livido.
"Ti hanno conciato per bene, eh?"
"Mai stato meglio."
***
Il sole penetra, proprio come quella volta a Charleston, quando avevo scoperto che il tumore stava andando peggiorando. Proprio come quel giorno, il vuoto mi mangia dentro, ma non c'è Sam, a dirmi che andrá tutto bene, anche se bene non va niente. Il mondo continua a girare, il sole continua a splendere, il vento soffia sempre, anche se lei non è qui, è a più di Tremila miglia di distanza. Ed è solo colpa mia. L'ho insiguita per mare e monti, ma sono stanco. Stanco di vivere così. Era ora di girare pagina, una volta per tutte. E speravo solo che nel prossimo capotolo, due occhi verdi non mi aspettavano.
***
Erano due giorni che stavo lì dentro, e il mio corpo chiedeva spudoratamente pietá. Luke era lontano. Non era più dall'altra parte del muro. Non sentivo, le sue urla, non sentivo i suoi pianti e ciò mi faceva sentire orribilmente sola. Mi avevano detto che se ne era andato. Mi avevano raccontato che fosse scappato a gambe levate una volta scoperto il guaio in cui ci eravamo cacciati. Un polizziotto, uno stronzo e bastardo polizziotto, mi aveva raccontato che Luke aveva deciso di scappare lasciandomi in balia della polizia, facendo ricadere su di me tutta la colpa. Comprandomi un biglietto per San Diego, da Denver. Semplicemente così. Dicevano che sperava io potessi vivere una bella vita a San Diego. Voleva dire che non mi voleva. Non mi voleva a Baltimora. Probabilmente sarei diventata una di quelle donne sposate con tre figli e l'unico lavoro che mi sarebbe riuscito sarebbe stato accompagnarli a scuola. Eppure non volevo questo, ma non potevo sapere che cosa passasse nella testa devastata di Luke. Devastata su ogni fronte. Ma ora ero di nuovo da sola, e il polizziotto dalla maglia grigia e le nocche sporche di sangue, chissá, forse di Luke, mi ronzava attorno.
"È finita Jhonson. Niente da fare. Lui è scappato e tu te ne andrai. Ma potresti evitare di avere la fedina penale macchiata, se ci dici dove hai preso la macchina. Sai, è abbastanza difficile trovare lavoro quando si è un criminale."
Quelle parole mi ferirono, più di quanto non mi avessero ferito fisicamente gli sbirri.
"Non sono un criminale. E neanche Luke."
Sussurrai, ma la mia voce era tutt'altro che convincente. Abbassai il capo, timorosa di cosa sarebbe successo ora.
"Sei un criminale. E una puttana." Disse come se fosse del tutto normale. Scattai in avanti, drighignando i denti, ma il metallo freddo me lo impedì, conficcandosì crudelmente nei polsi e nelle caviglie. Lui rise di gusto, scuotendo la testa.
"Anche lui ha fatto così. Siete fatti proprio l'uno per l'altro."
"Omaha. La prima la prendemmo ad Omaha, e la seconda a Lincoln. Ora è felice?" Urlai io tra le lacrime che mi bruciavano sulle guancia, fino ad arrivare sulle labbra secche, impastate di sangue.
Lui sorrise e si avvicinò a me. Si inginocchiò e mi lasciò un appiccicoso e umido bacio dietro l'orecchio. Rabbrividì e borbottai qualcosa di insensato.
"Sono felicissimo. Torno subito." Sorrise e si voltò verso la porta grigia di metallo liscio. Abbassò la maniglia ma prima di scomparire, mi chiese che taglia avevo.
"Medium."
Risposi, non capendo doveva voleva andare a parare quel mostro. Presi un profondo respiro gonfiando i polmoni. Mi bruciava tutto, andavo a fuoco. Lo stomaco mi si era capovolto tante volte ormai, ee ero abituata alle costanti fitte che ricevevo. Ma dovevo farlo. Se lui era lì, da qualche parte. Se mi avrebbe potuto sentire, se avrebbe mai potuto piangere e urlare con me, bhe allora ne sarebbe valsa la pena. Se invece quello che diceva il mostro era vero, e Luke era lontano ormai, allora avrei solamente gridato invano, guadagnandomi un'altro pugno.
"Luke, se mi senti, ma anche se non mi senti, non fa niente,devo dirti alcune cose. Se sei dietro questo muro, ti dirò che ti amo. Ti amo più di me stessa e di ogni mia parte. Sei dentro di me, e mi riempi, mi componi. Semplicemente mi completi. E cazzo ne vado feria. Perchè Luke, ti amo. E ti amerò in ogni modo, amerò ogni tuo difetto e ogni tuo pregio. Se vuoi abbandonami, ma fallo solo sei sei consapevole che ho passato i diciannove anni migliori della mia vita. Ed è tutto grazie a te."
Urlai, urlai fino a quando non sentii la gola ribellarsi e le orecchie fischiare. Poi chiusi gli occhi e respirai a fondo. Non ero pronto a voltare pagina, ma dovevo farlo.
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Shit! I love you
Fanfiction"E quindi?" "Quindi ora sei mia" Due amici. Un passato di cui entrambi farebbero volentieri a meno. Sam è una ragazza con tante ,troppe, paure. Cerca di rimediare a troppe cose. La sua testa è un compleato caos. Per non parlare del suo cuore. Spezza...