Chapter Twentyfive

749 48 0
                                    

Chapter Twentyfive

"Kurt Cobain."

"Assolutamente no."

Era il 14 Febbraio ed eravamo sulla strada da poche ore. Avevamo lasciato la città fantasma e ci stavamo dirigendo verso Ovest. Verso Denver. Luke si era deciso a guidare, e per un giorno potevo stendere le gambe lungo il cruscotto impolverato della macchina che "avevamo preso in prestito". Volevo pensare che forse se lo avessimo chiamato così sarebbe stato meglio. Volevo credere di poter lasciare la macchina in qualche parcheggio in una città, con un biglietto di scuse, e un risarcimento di 150 dollari. Lui sorrise, guardando il nulla davanti a lui. Strinse forte il volante e riprese a parlare. Stavamo facendo il nostro solito gioco. Chi vorremmo di nuovo in vita? Era il nostro piccolo modo per non affrontare il fatto che le persone vanno e vengono. Più vanno, che vengono.

"Andiamo, non puoi dirmi che non vorresti il grande Kurt, di nuovo in vita. Sarebbe una figata." Mi piaceva vederlo così, in vita. Con la voglia di vivere, che da sempre lo aveva caratterizzato. Sorrisi al sole, che ci teneva d'occhio da sopra.

"Secondo te, deve far caldo sul sole?" Chiesi.

Lui si voltò, a guardarmi e subito dopo scoppiò a ridere. Si calò gli occhiali da sole sul naso e passò la lingua sulle labbra screpolate.

"Dove eri quando la Professoressa Martin ci diceva che non ci si poteva abbronzare sul sole? Ah quanto mi manca quella donna!"

Scossi la testa, sapendo esattamente di cosa stesse parlando.

"Quella donna non ti ha mai dato più di B-! Ti piaceva solo perché si metteva le magliette della figlia dodicenne, ed essendo sempre in prima fila potevi vedere tutta la balconata."

Lui si allungò verso il mio sedile e mi baciò rumorosamente sulla guancia.

"Ammetto che le magliettine della Martin non mi dispiacevano, ma le tue con i pony, erano più belle."

Io spalancai gli occhi sorpresa che lui se lo ricordasse ancora. In verità ne ero felice. Si ricordava di noi. È

" È stato solo due volte. Avevi giurato di non dirlo a nessuno! Avevi fatto un giuramento di sangue!"

Lui scosse la testa, come se sapesse qualcosa di cui io non ero al corrente.

"Sam mia cara, devi capire che un'appiccicosa stretta di mano con lo sputo su una casetta su un albero, non è paragonabile ha un giuramento di sangue. E poi sono sicura che Sky, non se lo ricorda più." Rise con gusto, toccandomi una gamba.

Spostai il viso imbarazzata, cercando però di non ridere.

"Possiamo torniamo al nostro gioco per favore?"

"Tutto ciò che sua altezza desidera. Allora Mia Maestà, chi vorrebbe di nuovo nel mondo dei vivi?"

"La sua domanda, signor Principe ha un che di macabro, ma risponderò lo stesso. Vorrei Judy Garland, di nuovo qui. "

Lui aveva cambiato di colpo espressione. Ora guardava dritto sulla strada e sorrideva, ma in modo diverso. In modo malinconico. Ed ero sicura, che non fosse per Judy Garland. Così ora toccava a me allungarmi verso il sedile di lui, e stringergli la mano fredda.

"Luke, vuoi dirmi che cosa succede?" Avevo paura di sbagliare. Forse era troppo presto, e come le altre volte non avrei scoperto niente. Ma ero stanca di non sapere.

Lui inspirò a fondo e si tolse gli occhiali. I suoi bellissimi occhi erano stanchi, spenti e pieni di lacrime. Mi guardo dritto in faccia e attaccò.

"Che cosa succede? Vuoi sapere che cosa succede? Sam, non saprei. Forse è il mostro che mi sta mangiando il cervello, o forse è la consapevolezza che molto probabilmente non ti rivedrò mai più? Oppure che oggi è San valentino e il mio regalo per te è un fottuto tumore? Capisci? Un tumore, cazzo! O molto probabilmente è per il fatto che mi è arrivato un assegno da tua sorella di 500.000. Dollari, per il tuo college, per l'ammissione a Yale. Per la tua vita futura, per la tua vita senza di me. E quando la Beckermann mi ha detto che sarei morto, ho detto 'Se non posso vivere come vorrei allora viviamo come possiamo.' Ti amo Sam, e non voglio perderti, ma purtroppo è necessario. Quindi scusami. Scusami, per tutto quello che succederà e per tutto quello che dovrai passare. Non volevo andasse a finire così. Ricorda Sam. Non volevo andasse così. "

"Luke"

"No Sam, fammi parlare. Non volevo. Ma rischio di scoppiare. Ti amo, e non smetterò mai di farlo. Ma non volgio guardarti sorridere, qui con me. Lo so, merda. Sono uno stronzo, egoista. Ho mnadato a puttane tutto troppe volte. Con tua madre e tuo padre, sono scappato. Con Mark, ti ho lasciato lì, senza nessuno. Avevo paura. Quando le cose si sono messe male, sono andato da Amber, e quando sei andata a Londra, è iniziato il mal di testa. E sapevo che non potevo parderti, ma Sam sto morendo e devi lasciarmi andare. Merda."

La macchina si era spenta, al lato della strada, di quella strada deserta, in mezzo alle montagne innevate del Colorado. Piangeva a dirotto. Picchiava con forza il volante, davanti a se. Urlò e si dimenò. Un tumore. Voi, direte che lo avevate capito. Bhe io no. Per me era una semplice emicrania. O forse lo avevo capito anch'io? Non lo so. Sapevo solo che Luke, stava male. Era pezzi, e forse mi stava pure lasciando. Stava mormorando qualcosa su sua sorella, Wendy. Così aprii la portiera cigolante e mi stiracchiai le gambe indolenzite a causa del viaggio. Passai davanti alla macchina, bruciata sotto il sole. Un Pick-Up rosso sfreccio sulla distesa d'asfalto e scomparve subito. Sembrava che tutto si muovesse a rallentatore. Mi girava la testa, e la vista mi si offuscò di colpo. Tumore.

Arrancai fino al lato opposto della macchina dove dal finestrino abbassato si vedeva Luke, che ancora piangeva e singhiozzava. Aprii la portiera, e alzai lo sguardo di Luke verso il mio. Le lacrime avevano solcato il suo bellissiomo viso, ed era quasi irriconoscibile.

"Luke, guardami. Va tutto bene. Andrà tutto bene. Non ci lasciamo. Non ti lascierò. Va bene così." Le lacrime inizarono a scendere anche sulle mie guancue. Non sapevo cosa altro dire. Luke mi abbracciò, e mentre il petto si alzava e si abbassava aggressivamente le sue labbra cercarono le mie e le sue forti ma tremanti braccia, mi cinsero i fianchi. Le nostre lingue si toccarono e mi dovetti reggere alla macchina, per non cedere. Erano giorni che non mi baciava come ero abituata e mi accordi di essere terribilmente in astinenza da quelle labbra calde e morbide. Prese a baciarmi dietro l'orecchio, scendendo lungo il collo.

"Scusa." Mormorò strofinando il naso tra la mia spalla e la clavicola.

"Zitto e baciami."

Lui non se lo fece ripetere, ma quando mi guardò dritto negli occhi, dietro di lui notai qualcosa.

"Luke, fermati. Merda. Quella è la polizia?"

Alla parola 'polizia' lui si voltò di scatto, giusto in tempo per vedere un grosso e gresso poliziotto uscire dalla macchina che lampeggiava. Si avvicinò verso di noi, barcollando.

"Siete voi Samantha Jhonson e Luke Hemmings?" Chiese con aria annoiata sfogliando un foglio con le sue tozze mani unte, che avevano proprio l' aria di aver toccato un donuts, neanche cinque minuti fa.

"Sissignore." Disse Luke con voce apparentemente calma. Mi strinse la mano con forza.

"Questa macchina è vostra?"
E ora? Che cosa gli dicevamo?

"Dipende, signore."

Shit! I love youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora