Chapter ThirtyOne

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Chapter ThirtyOne
Capii subito come si dovesse essere sentita Sam, quando quel giorno tornò a casa, dopo la sua fuga a Londra. Quando io ero lì, seduto sul pavimento freddo, quando la aspettavo, consapevole che niente sarebbe mai tornato come prima. Quando avevo ricevuto i risultati del mio Cuck-Up annuale. Quando, mi dissero che sarei morto se non fossi corso in Giappone. Ma non ho mai avuto, e mai avrò i soldi per andare in Giappone, per sottopormi a una cura sperimentale a base di foglie di Te, piantine di Bonsai e Sushi. Così decisi, quella sera di rischiare. Dopotutto, a chi sarei mai potuto mancare, per l'amor di Dio? Se si guardava attentamente la mia vita, ero solo e lo sarei stato per sempre. Cancro e non. Poi però lei entrò, dalla porta con il numero 24.
Ero deciso a dirglielo, dirle che non avremmo avuto un futuro. A troncare, qualcunque cosa fosse iniziata pochi giorni prima, in cucina. Poi però, lei con gli occhi rossi, a causa delle lacrime, e i capelli rossi sconpigliati, mi sorrise. Come se in quel sorriso, ci fosse un urlo silenzioso. Come se quel sorriso urlasse amore, affetto e un pò di comprensione. Così, la baciai e facemmo l'amore. E mi odiai, ogni giorno di più. Mi odiai, quando mi svegliavo e le sue gambe erano intrecciate alle mie. Mi odiavo quando mi sussurrava Ti Amo, mentre la penetravo. Mi odiai quando, nella cucina di Ashton, la illusi. La illusi, dicendole che ci fosse stato un domani. Che ci sarebbe stato un futuro -il nostro futuro- dove ci saremmo stretti le mani, e ci saremmo giurati amore eterno. Magari vestiti di bianco e di nero. E invece ero consapevole, che il tempo non perdonava. Non avrebbe mai perdonato. Aveva scelto me. Aveva scelto noi. Quel noi, che non avrebbe mai avuto un futuro. E ora, mi pento di ogni cosa. Mi pento di non aver chiesto ai miei genitori i soldi per le cure, mi pento di non averlo detto a mia madre, a mio padre, a Wendy e a tutti i miei amici. Ma mi pento davvero di aver amato quella ragazza? Davvero, quando la guardo, mi odio? Io nostro amore è folle, malato, imprevidibile. E fa male, più dep cancro sapere che non avremo in nostro folle, malato e imprevdibile lieto fine.
**
Una settimana dopo...
"Si Ashton. Si, resto qui fino alle quattro."
Sento Kylie parlare al telefono, perfino dalla camera di Sam. Sono sette giorni che sto malissimo, che vomito, che mi si formano le placche in gola, e la faccia mi diventa giallastra e malaticcia. I ragazzi si sono messi d'accordo, nel farmi da medico. O magari da guardia. Loro preferiscono medici, non riconosciuti dallo stato del Maryland. All' inizio, stare con Gemma e Kylie era davvero imbarazzante. Non sapevamo di cosa parlare, ed ero sollevato quando vedevo entrare Micheal, Calum o Ash in casa. Poi però, divenne sempre più difficile alzarmi dal letto, e parlare e quindi il problema non si era ripresentato. Mi ero praticamente trasferito in camera di Sam, nel vano tentativo di sentirla vicina. Non potevo credere che non ci sarebbe stata quando me ne sarei andato. Lei che c'era sempre stata.
"Ehi Luke. Ti serve qualcosa?"
Fece capolino Kylie nella stanza. Io aprii gli occhi, e combattendo contro la grande voglia di vomitare un altra volta, annuì. Lei si avvicinò piano al letto e si inginocchiò. Io mi ributtai contro il cuscino, in modo che i nostri occhi fossero in contatto diretto. Una lacrima mi scese di traverso, bagnandomi il naso, e inumidendomi le labbra.
"Oh Luke, non piangere."
Sentii la sua voce, spezzata dall'emozione. Mi passò una mano tra i capelli sporchi, che non vedevano una doccia da troppo tempo.
"Raccontami qualcosa di Sam, Kylie. Come la conoscevi tu. Che persona era, quando eravate solo voi due. Ti prego."
Nonostante la vista offuscata dalle lacrime, recepì la sua smorfia scioccata. Ma poi si ricompose subito e iniziò a massaggiarmi la cute.
"Sam? Sam è una ragazza."
"Fin qui ci siamo."
Scherzai io, con la voce impastata dal sonno.
"Sam è una raggazza nata a Baltimora. È cresciuta con tre fratelli, perfetti. Una madre depressa e bipolare, e un padre depresso e solo a volte bipolare. Quando la madre, Susanne, si suicidò, il padre diede la colpa a lei. Tutti diedero la colpa a lei. La prima volta che me lo raccontò, rimasi sbalordita. Perchè Sam, cazzo è una forza della natura. È sempre lì per me, per te e per la Famiglia che anni fa le ha voltato le spalle, nei momenti più brutti della sua vita. Ecco, Sam non lo farebbe mai. Non volterebbe mai, mai e poi mai le spalle a qualcuno che vuole bene. Lei le stringerebbe la mano, e le direbbe che va tutto bene. Che ogni cosa è al proprio posto. Ha fatto così con me, quando mi ha letteralmente trascinato via da quel buco nero che era la mia autostima. Salvò te, Ash, Micheal, Calum, Gemma e perfino Mark. Luke, Sam salvò Mark. E sbagliamo, abbiamo sempre sbagliato a sostenere il contrario.
"Perchè dici così?"
Ero perfino sorpreso che riuscissi ancora a parlare. Le sue dita continuavano a rilassarmi lasciando dei piccoli cerchi sulla cute ruvida del mio capo. La vista stava diventando offuscata, ed ero sicuro che non avrei sentito la risposta.
***
"Sam."
"Ciao Ashton."
Era entrata in casa come una furia. Ero sdraiato sul divano mentre guardavo distrattamente una puntata dei Simpson. Stavo pensano a quanto fosse folle e pazzesca l'impresa in cui stavamo per coinvolgere Luke. E ora era saltato fuori questo cancro, e molto probabilmente Luke sarebbe sopravvissuto più o meno due settimane. Stavo pensando a quanto era complicata la mia vita. A Luke, ma non solo. Al bambino mai nato di Kylie, e al fatto che mi sentissi orribilmente in colpa. A Gemma, dalla quale mi ero preso una pausa. Nessuno sapeva che la ragazza che amavo, che amo ancora era partita, per tonrnare a casa, a New Orleans, dove lei e Mark erano nati e vissuti prima di conoscere Sam. E Baltimora.
Stavo pensando a Micheal e a Calum che non si facevano vedere da giorni, quando sentii la porta aprirsi. Pensai fosse Bradley, venuto a darmi il cambio, l'ultima volta prima di ripartire per Oxford. Ma poi guardai l'orologio, appeso vicino alla foto di me e Micheal che ridevamo. Erano le sei di sera. Ero arrivato alle quattro, dando il cambio a Kylie, che non mi aveva rivolto la parola. Mi aveva semplicemente sussurrato qualcosa del genere: dorme, non svegliarlo deficente.
Ma poi era entrata Sam, con la faccia esausta. Aveva gli occhi di chi non dorme da giorni, con due sporgenti borse viola sottostanti. I capelli poco curati e i vestiti altrettanto. Non parve sorpresa di vedermi disteso il 4 Aprile, sul suo divano.
"Che diamine ci fai qui?" Chiesi, zittendo la stupida risata di Omer Simpson.
"Ci vivo."
Disse lei, con voce smarrita. Sembra che non fosse mai stata nel suo appartamento. Faceva vagare gli occhi dappertutto, in cerca di qualcosa che non trovò. O qualcuno.
"Dorme. Sta in camera tua." Dissi accennando alle scale. "Non si sveglierá prima delle nove."
Lei annuì come se fosse venuta fin lì solo per la mia risposta.
"Okay."
"Ti va di aspettare qui, con me? In onore dei vecchi tempi."
Mi pentii subito di quello che dissi, perchè nessuno avrebbe voluto ricordare i vecchi tempi quando il tuo migliore amico sta morendo.
"Abbiamo tante cose di cui parlare, c'è tempo."
"Ha due settimane."
"Il tempo è un piccolo dettaglio, bellezza."

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