15. We will stand tall, face it together

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Si guardò attorno sbadigliando. I professori avevano deciso di partire per la gita ad Atlanta alle tre del mattino, per arrivare alle sei, fare colazione e poi girare la città. Stavano dormendo tutti tranne lui, che era alla ricerca del calore di Frank.

Lynz era collassata verso il corridoio, le codine semi sciolte e il maglione che cadeva dalla spalla; solo gli alunni dell'ultimo anno potevano andare, per cui, prima che qualche essere strano si accomodasse accanto a loro, la ragazza aveva occupato il quarto sedile con la sua borsa.

Fece vagare gli occhi lungo il vagone, alla ricerca di una persona sveglia. Voleva dormire abbracciato al suo ragazzo, ma temeva che qualcuno lo vedesse. Comunque, non era giusto che lui e Frank dovessero nascondersi da tutto e da tutti quando c'erano coppie che mettevano in bella mostra le loro lingue davanti al preside o ai professori. L'idea di baciarlo in pubblico non gli piaceva molto: il bacio era una cosa intima, privata, ma non dovere giocare costantemente a nascondino sarebbe stato splendido.

-Gee- mormorò Frank allungando la mano per cercarlo. Si cercavano, nel letto, la notte o il sabato pomeriggio, quando andavano a mangiare da qualche parte, e si accoccolavano sul materasso. Si baciavano, si amav... no. No, loro non si amavano. I loro erano dolci momenti di intimità. -Gee- biascicò ancora aprendo un occhio. Lo faceva sempre: anche quando dormiva, se non lo trovava, si svegliava per controllare dove fosse.

Intrecciò le dita con quelle del suo ragazzo e gli si rannicchiò addosso, dopo avere abbassato il separatore dei sedili.

-Io...- la voce di Frank non era altro che un sussurro.

-Mm?

Scosse la testa facendogli solletico con i capelli. -Niente.

-E questo è...

Era possibile per un essere umano dormire in piedi?

Gerard era sicuro che fosse possibile, in quel momento.

Che cosa doveva interessare a lui se quel muro di mattoni era stato costruito da un operaio o da un “artista”? Quello non era un artista: quello era un coglione che aveva visto un po' di calce e qualche mattone ed aveva deciso di dire che era un'opera d'arte.

Allungò il collo, per vedere se riusciva a capire dove fosse il gruppo di Frank. Li avevano suddivisi in quattro gruppi, e, sorpresa, lui era finito da solo con i Nestor!

Perché doveva sempre capitare lui in quelle situazioni di merda?

-Il signor Way è pregato di prestare attenzione- sibilò la professoressa di arte. Bé, professoressa si faceva per dire, dato che ogni tanto teneva qualche lezione pomeridiana dopo ginnastica.

-Sto solo pensando che quel muro non sia arte- rispose, stufo di starsene zitto.

-Prego?

Lo sguardo della professoressa lo fece ghignare. -Andiamo. Un muro di mattoni non può essere definito “arte”- tutti lo stavano fissando, anche alcuni turisti ed un istruttore. -L'arte è tutto ciò che non puoi dire a parole e che quindi dipingi su una tela, o che scrivi su un foglio di carta. Questo- indicò il muro di mattoni, -non è arte. Non dice nulla, di quello che pensa la persona che si autodefinisce artista. Non racconta assolutamente niente. Cosa vorrebbe significare? Che l'unione fa la forza? Ormai è un concetto così scontato che l'idea di farne un disegno mi fa venire la nausea.

Mise le mani sui fianchi, con espressione soddisfatta. Uno dei turisti stava prendendo appunti su un block notes di quello che diceva.

-Quella- il suo indice puntò il dito verso “Le Ninfee*” di Monet, presente nel museo per una mostra della durata di una quindicina di giorni, -è arte. È colore, è passione ed impegno. Il tutto completato da uno studio accurato di quei fiori. Un muro di mattoni potrebbe essere creato da chiunque: non è arte, non è passione, è solamente un modo... “innovativo” per dimostrare quanto si possa essere ribelli e abbattere la massa, ma senza rendersi conto che non si abbatte niente.

Smoke gets in your Eyes - FRERARDDove le storie prendono vita. Scoprilo ora