38. Under the bridge I'll carry this guilt no more

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Canzone: Guilt, Hurts



Voleva prendere una mazza da baseball in mano e spaccare tutto ciò che gli capitava sotto mano.

Sovrappensiero, afferrò il primo oggetto lungo e stretto che vide (il manico di una mazza da hockey posato su una pila di rifiuti) ed iniziò a menare colpi a destra ad a manca. Frantumò una finestra, scheggiò un muro e lasciò una botta su un tubo di scolo prima che il legno del manico si spezzasse facendo schizzare schegge ovunque.

Era arrabbiato, furente. Se gli avessero dato un accendino abbastanza potente, avrebbe dato fuoco al mondo intero. Invece, si ritrovò a dare calci ad una cassetta di legno abbandonata quanto l'edificio diroccato che stava lentamente distruggendo.

Voleva che ogni cosa si riducesse come Gerard: abbandonata, distrutta, fatiscente, nient'altro che un fantasma di ciò che, una volta, era stata una creatura che brillava di luce propria.

Diede un pugno al muro e polvere rossastra e briciole acuminate caddero a terra. Il suo cervello ci mise qualche secondo ad elaborare l'accaduto e a mandare i giusti messaggi alle terminazioni nervose delle dita.

Il dolore gli strinse la mano in una morsa, mozzandogli il respiro per almeno mezzo minuto. Un urlo strozzato gli uscì dalle labbra e un rivolo di saliva scivolò sul labbro inferiore, vicino al piercing. Le nocche pulsavano terribilmente, sentiva la pelle punta da mille aghi.

Vacillò e finì a terra per rannicchiarsi in posizione fetale, la mano ferita schiacciata contro le clavicole. Le lacrime fuoriuscirono dagli occhi molto più velocemente di quanto si sarebbe aspettato; si accorse di piangere solo quando una di esse andò a mischiarsi con la saliva. Un singhiozzo spezzato fu il solo suono che emise.

La sua vita era finita, si era sgretolata tra le sue dita, sbriciolata e ridotta a farina, e non voleva respirare per un'altra singola ora.

Gee era andato (o quasi). L'aveva detto anche Synnøve, no? Era morto e credere in una miracolosa guarigione sarebbe stato l'equivalente di vedere un'astronave aliena ferma nel cortile della propria casa.

Strinse forte le dita sanguinanti. Nonostante il dolore sembrasse essersi propagato in tutto il corpo, rotolò sulla schiena e si mise ad osservare il cielo illuminato dalla debole (e romantica) luce del tramonto. Era bellissimo, ma non riusciva ad apprezzarlo appieno; Donna gli aveva raccontato di Loisel, il suo amante, e all'improvviso si sentì come lei: solo e incapace di vedere una via d'uscita.

L'aveva visto così tante volte nei film che non avrebbe mai pensato di poter vivere qualcosa del genere... lasciò il suo stomaco contrarsi in una risata isterica e malata.

Dio, aveva davvero pensato quello?

La sua vita non era un film! Non era un fottutissimo film dove il malato si sarebbe salvato grazie ad una cura sperimentale messa a punto per lui all'ultimo secondo!

I polmoni di Gerard erano pieni di liquido, aveva perso la voce, i reni erano inutilizzabili. Per non parlare del sangue: era avvelenato, denso e scuro e (Gesù) puzzava. In un primo momento, aveva pensato che fosse il normale effetto della chemioterapia, ma quando aveva preso in prestito (per non dire rubato) la cartella clinica di Gee, aveva letto che i valori del sangue erano completamente sballati e ben lontani dall'essere reputati non pericolosi.

Diede un pugno al terreno secco ed asciutto.

Perché la terra non lo inghiottiva?! Sarebbe stato tutto molto più facile e meno doloroso.

Smoke gets in your Eyes - FRERARDDove le storie prendono vita. Scoprilo ora