Canzone: Word as a Weapon, Birdy
Si svegliò con la testa che pulsava allo stesso ritmo con il quale il cuore pompava il sangue nel corpo. Sentiva le vene delle tempie sul punto di esplodere, il corpo orribilmente indolenzito e dolorante; perfino le unghie sembravano inviare dolorose fitte dritte nel cervello.
E c'era qualcosa che gli punzecchiava l'interno delle narici. Con un gesto pigro, cercò di staccare quella cosa dal suo volto contratto in una smorfia concentrata.
Aveva un pulsiossimetro sul dito indice e un sottile tubicino lo collegava alla macchina per il battito cardiaco. Quella dannata molletta era stretta, scomoda (non che ci fosse qualcosa di realmente comodo, nella stanza dove era rinchiuso) e la cosa che lo metteva più a disagio era il fatto che non l'avrebbe potuta togliere perché sarebbe scoppiato il caos non appena gli infermieri si fossero resi conto che il suo battito cardiaco non veniva più rilevato dal macchinario.
Strinse le dita attorno al sottile tubo verdastro (per quale diavolo di motivo era di quel colore?!) e tirò con la poca forza che aveva. Non appena riuscì a spostare di solo pochi millimetri quell'infernale aggeggio, un violento fiotto di sangue gli uscì dal naso. Trasalendo, inghiottì un sorso di plasma e rischiò di strozzarsi.
Con una tosse convulsa, si contorse nel letto, le labbra spalancate nella speranza di vomitare tutto.
Non accadde, ma una tiepida oscurità calò sui suoi pensieri pochi secondi prima che un infermiere spalancasse la porta della stanza.
Aprì gli occhi lentamente.
Sono morto? Si domandò guardandosi attorno; ma, come si aspettava, era ancora nella camera d'ospedale dov'era prima di svenire. Decise che l'aldilà non poteva essere un posto così decadente e scomodo, per cui doveva essere ancora vivo.
Volse lo sguardo verso la grande finestra e vide Frank, il viso segnato dalla stanchezza e dalla preoccupazione, alzare una mano per salutarlo.
A fatica, alzò anche lui il braccio e mosse appena le dita per rispondere al saluto. Stremato, lasciò ricadere l'arto sul tubicino, il quale venne letteralmente strappato via dal suo naso. Altro sangue schizzò e i suoi sensi vennero meno.
'Fanculo!
Il mondo bruciava.
Oh, finalmente l'Inferno!
Invece, era in un'altra stanza ma pur sempre d'ospedale, con quelle orrende pareti e quel letto dal materasso pieno di bozzi.
Deglutì un po' di saliva per cercare di lubrificare la gola secca e mosse appena le braccia nella speranza di potersi stiracchiare: sentiva la schiena indolenzita, ogni vertebra sembrava chiedere pietà al materasso.
I suoi polsi incontrarono qualcosa di duro e sentì una fitta alle spalle.
Sbarrò gli occhi: delle manette imbottite lo legavano alla sbarra di metallo del letto. Mosse l'avambraccio nella speranza di riuscire a liberare la mano scheletrica dal bracciale morbido. Strinse i denti e si concentrò corrugando la pelle tirata della fronte: doveva liberarsi! Non potevano ammanettarlo al letto senza motivo!
-Ehi, stai calmo- disse una voce femminile vicino al suo orecchio.
Alzò lo sguardo e vide Synnøve, il suo sorriso e i folti capelli azzurri e fu vicino alle lacrime. Non si sarebbe mai aspettato di vederla lì. Sbatté le palpebre velocemente, non voleva farsi vedere mentre piangeva, era fin troppo che lo vedesse senza capelli, stanco, con le vene che premevano contro la pelle, nient'altro che ossa e un sottile strato di epidermide, piangere sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso.
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Smoke gets in your Eyes - FRERARD
FanfictionEsistono tre parole che negli ospedali vengono ripetute fino allo sfinimento: "ma", "forse" e "se". Ma: "Certo, ora sei in remissione, ma potresti avere una ricaduta e tornare qui tra qualche mese". Forse: "Forse riuscirai a tornare a casa per Natal...