La nuova lampadina emanava una luce giallastra sopra al tavolo della cucina; gli oggetti che andava a travolgere, come le mensole piene di prodotti alimentari scaduti e gli elettrodomestici sugli arredi, proiettavano ombre sinistre e distorte sul muro. Queste sembravano appartenere a qualche film risalente all'espressionismo tedesco da quanto andavano a modificare quell'ambiente così famigliare, rendendolo completamente estraneo e inquietante. Petra sedeva a capotavola, immobile e dormiente, con il capo pendente in avanti. I polsi erano legati dietro la schiena con una corda di ramia, la stessa cosa valse per le caviglie; il rossore sulla pelle, dovuto all'irritazione da quel pungente materiale, era ben visibile. Quanto ci sarebbe voluto ancora, prima che Kimberly la svegliasse con le sue pesanti leccate o che lo facesse Raven con forti scossoni? In quello stato di incoscienza, non poté fare altro che desiderare di sentire la sua amica pelosa russare, oppure percepire le coperte venir "rubate" dalla trasformista. Entrambe le cose l'avrebbero rassicurata, si sarebbe sentita protetta; ma la brutale realtà ben altra. Petra era lontana, inerme e sola. Il risveglio fu a dir poco tremendo; riaprendo gli occhi, ella dovette trattenere un improvviso e poderoso conato di vomito. L'odore nauseabondo e pungente del sangue, unito a quello disgustoso della carne putrefatta, si era propagato per tutta la casa, riempiendo l'aria di un fetore a dir poco insopportabile. A seguito di ciò, l'albina poté rendersi conto delle condizioni pessime in cui era: sudata, con i vestiti che le si erano attaccati sua pelle, ma allo stesso tempo infreddolita. Petra trattenne invano qualche gemito di dolore, soffiando a denti stretti: il bruciore ai polsi e alle caviglie aveva immediatamente preso a farsi sentire. Cercando inutilmente di slegare il nodo, venne improvvisamente fermata da un ulteriore dolore sul retro del capo. Non era forte come quelli a cui era stata abituata ogni volta in cui andava incontro a qualcosa del suo passato, ma non per questo riuscì a sopportarlo tanto meglio. Era pungente, freddo e distribuito circolarmente. Non poteva tastare con mano, ma le si era formata una protuberanza in quell'area, delimitata dalle tracce di sangue sui suoi capelli argentei. Era stata colpita, tramortita, trascinata e legata alla sedia in una terrificante attesa. L'immagine che Petra vide, prima di cadere priva di sensi, tornò impetuosamente vivida nella sua mente: coloro che l'avevano accolta fin da subito, esattamente come una sorella, brutalmente uccisi da colei a cui l'albina diceva "ti amo". Si trattava della visione che più avrebbe voluto dimenticare, ma sapeva già che tale atrocità, pur di rimanere bene impressa, avrebbe cancellato ricordi più felici. Prima di crollare dalla disperazione, la mutante non poté fare altro che pensare a come si dovessero essere sentiti, i suoi amici, nei loro ultimi istanti di vita: sapendo di averle dato fiducia ed essere stati uccisi per questo. Dopo la morte di Joanna se ne era andata da Detroit, inseguendo un capriccio stupido per il quale non ne valeva più la pena. Immersa nella paura di affrontare le proprie responsabilità, scelse di voltare le spalle alla sua famiglia e condannarla ad un destino orrendo. Con quello che era accaduto in quelle ore, la ferita della dipartita della migliore amica si era allargata a tal punto da risultare quasi mortale per l'anima di Petra. Per colpa sua, anche la vita di un bambino di quattro anni venne spezzata: quella del piccolo Alyon. Si trattava della vittima più innocente, in quanto inconsapevole di tutto il male del mondo. Niente avrebbe potuto fermare quel pianto sofferente e angosciante; le lacrime scesero copiosamente e i singhiozzi furono rumorosi, violenti e inframmezzati da respiri affannosi e tremanti. Non aveva la forza né fisica né mentale per fare altro; non ci provò nemmeno ad evocare una copia per liberarla, sarebbe stato uno sforzo inutile. I suoi poteri non avrebbero riportato indietro i suoi fratelli. La vista era ormai appannata, i suoi occhi erano talmente gonfi ed arrossati che parevano sull'orlo di uscire dalle orbite. Ella stette per una mezz'ora intera a struggersi, tentando di sfogare l'immenso peso al cuore urlando lamenti tanto addolorati da essere impossibili da ascoltare con indifferenza. Un malsano desiderio di morte fece capolino nella sua mente; Petra sperò che questa si prendesse anche lei, che arrivasse dall'alto per coprirla col suo mantello nero, che la trasportasse via con sé, che la potesse riunire per sempre con coloro che aveva abbandonato. Non c'era altro modo per poterli riabbracciare nuovamente, non c'era altro modo per poter chiedere loro il perdono. Se non fosse stato per le grida addolorate di Petra, per la casa avrebbe regnato un silenzio tombale; per questo, quando un rumore proveniente dalle scale si fece sentire, l'attenzione dell'albina scattò improvvisamente. Tutto era oscuro, oltre la luce della nuova lampadina; l'ambientazione era surreale, quasi come se il resto della casa fosse uno spazio infinito, o forse come se non esistesse proprio. Disturbati dal suo respiro affannoso, che la mutante non riuscì a controllare, il suono dei tacchi che percorrevano le scale si propagò per tutto il salotto con regolarità. All'albina gelò il sangue nel sentire quei passi sempre più vicini, martellanti e regolari, fino a quando lei non fu alle sue spalle. La mutante stava col capo chino e prese a tremare come una foglia; non aveva alcuna intenzione di girarsi a guardare. Avrebbe decisamente preferito che ci fosse Elizabeth dietro di lei, anche morire per mano sua, sotto le sue parole cattivissime e la sua risata compiaciuta. Una situazione del tutto più piacevole, piuttosto che guardare il volto della donna che aveva amato e vedere l'assassina dei suoi amici. La presenza della donna alle sue spalle doveva emanare famigliarità, accoglienza, nostalgia.. Non fu niente di tutto questo: Petra si sentì oppressa, indesiderata e odiata, al cospetto di un vero e proprio tribunale vivente. L'energia negativa dalla quale venne travolta smorzava i suoi respiri angosciosi, soffocandola e accelerandole il battito cardiaco. Improvvisamente, con uno strattone, il nodo della corda che teneva imprigionati i suoi polsi venne allentato, causando così una minima percentuale di sollievo per la pelle della velocista. Non se lo aspettò, ma ebbe ben poco di cui tranquillizzarsi. La donna camminò alla sua destra, raggiungendo il lato opposto del tavolo per poi rivolgere lo sguardo verso di lei. Evitare di osservarla fu impossibile; con incertezza, gli occhi bagnati ed esausti si alzarono su di lei, e se ne pentirono immediatamente. Enormi chiazze di sangue sporcavano il biancore di un lungo abito bianco che ricopriva interamente il corpo, annullandone le forme. Questo si estendeva in un mantello dotato di cappuccio. Separati e ben più sporchi erano i guanti, ma l'accessorio a cui Petra diede più attenzione, e al quale rivolse la sua più completa inquietudine, fu la maschera che nascondeva il volto. Questa, bianco-grigia, andava a ricalcare le forme e i lineamenti del suo viso alla perfezione, quasi come se fosse stata modellata su di esso. Presentava, ovviamente, i fori per le narici e per gli occhi. Fu proprio su quest'ultimi dove si posizionò, inevitabilmente, la concentrazione della mutante. L'iride destra era di un blu sbiadito e spento, mentre quella sinistra splendeva di un viola acceso e aggressivo, come non aveva mai fatto sotto lo sguardo dell'albina. Un brivido glaciale percorse la schiena di Petra, mentre faticava ad interrompere il contatto visivo con la donna che un tempo amava. Pensava di aver visto il peggio, tutte le volte che succedeva, ma ella aveva imparato che al suddetto non vi era mai fine; forse, questa volta, senza alcun punto di ritorno. La donna sostava immobile ad osservarla, quasi come se si aspettasse che Petra facesse o dicesse qualcosa. Altre lacrime, le ennesime, percorsero le sue guance, e questa volta lo fecero silenziosamente. Sharon non fece nulla a riguardo, rimanendo impassibile di fronte a lei, come se si trovasse davanti ai sentimenti di un estraneo, come se si trovassi di fronte alla sofferenza del suo peggior nemico. La velocista non era sicura di voler sapere quale espressione si celasse dietro quella maschera; mettendo in discussione tutta la loro relazione, per quanto ne sapeva, la donna avrebbe potuto trarre un piacere immenso nel farle così tanto male. Si ricordava dei suoi sorrisi dolcissimi, con una leggera nota di tristezza, ma che le venivano rivolti con calore. Un sorriso malvagio e sadico avrebbe sfigurato il viso bellissimo della bionda, oltre che inquinare quelli che per Petra erano "ricordi di infanzia". La mutante scelse di rimanere all'oscuro al riguardo, forse l'ultima cosa che le rimaneva da scegliere. I guanti gocciolanti di sangue si infilarono all'interno dell'abito, e da una tasca interna estrassero il cellulare di Petra. Con un tempismo allucinante, questo incominciò a vibrare nella sua mano, mentre la donna lo posò al centro del tavolo. Petra stava ricevendo una chiamata da Emma, la ventiseiesima nelle ultime due ore. L'albina non sapeva che fare, visto che pure Sharon appariva, anche se mascherata, come infastidita da quella interruzione. Assottigliando gli occhi, ella decise, sorprendentemente, di accettare la chiamata, strisciando il dito guantato sullo schermo.
Incoming call from: "Emma." Accept/Decline
Emma;; « Petra!! Petra, finalmente!! Io e Kurt ti stiamo cercando dappertutto, abbiamo anche allarmato i professori! Dove sei andata, cos'è successo?! Petra..? Petra, dai, non scherzare! Petra, non è divertente! Petra risp- »
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QUICKSILVER
Science FictionPetra Maximoff è una mutante col dono della supervelocità che si trova, di suo malgrado, alle prese di un mondo ostile nei confronti della sua razza. A rendere il suo viaggio ancor più intricato e complesso, ci sarà la scoperta di una vita passata...