XIV° - Spirale di follia.

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La facilità con la quale Petra riuscì a prendere sonno fu disarmante; nonostante l'evidente tristezza negli occhi di Kimberly nel non rivedere Sharon, la mutante non la guardò nemmeno e si adagiò sul letto come se nulla fosse successo. Kim, stavolta, dormì sopra il cuscino di Sharon, mugulando nel sonno ma senza mai smuovere realmente la mutante. La trasandatezza di quest'ultima si fece sentire il mattino dopo, quando si risvegliò con ancora i vestiti semi-bagnati e attaccati alla pelle, con tutti i capelli in disordine e increspati dall'asciugatura naturale. Il letto, a parte la palla di pelo nera, era vuoto; l'odore di vaniglia che contraddistingueva Sharon ormai non c'era più, esso era infatti sostituito dalla puzza di bagnato. Scendendo dal letto, Petra calpestò senza volere il mazzo di girasoli che aveva comprato per la propria donna. " Soldi buttati, fiori di merda. " Pensò, e li prese da terra. Aprì la finestra e li buttò di sotto, facendoli adagiare sul prato ancora bagnato. Affacciandosi, la mutante notò l'assenza della macchina di Sharon nel viottolo di casa; per quanto ne poteva sapere, ormai avrebbe potuto trovarsi fuori dallo stato del Michigan. " Meglio che si sia portata dietro quel catorcio, sarà sicuramente del 2004: ormai non varrà nemmeno 2'000$ ". Si fece una rapida doccia, in modo tale da lavarsi via di dosso quell'umiliante aspetto che, per colpa di Sharon, aveva assunto. Petra, inevitabilmente, si guardò, ma questa volta non provò alcuna vergogna del suo aspetto; mentre lo scorrere dell'acqua la investiva verticalmente, riempiendo i pori della sua pelle, la mutante ripensò a quello che aveva fatto qualche ora prima. Sorrise, sentendosi pervadere da una sensazione di assoluto piacere guardandosi le mani, realizzando ciò che i suoi compagni sapevano fin dall'inizio: lei era una macchina da guerra, un flagello vivente, una superpredatrice che bisognava temere e rispettare. Il respiro incominciò a divenire sempre più affannoso e il pizzicore alla base del cranio così intenso da costringere Petra a portare il capo all'indietro. Spalancò la bocca, annaspando sotto il trascorrere incessante dell'acqua calda e, adempiendo ad un impulso maggiore, la mano destra scivolò tra le cosce. La vista divenne sempre più sfocata e la mutante arrivò a soddisfare la necessità dell'autocompiacimento, masturbandosi sulla supremazia totale nei confronti degli altri: ricordò di come, quei tre umani fossero al pari degli insetti, per una mutante come lei. Quel depravato atto di megalomania ebbe fine con il raggiungimento del culmine, che segnò il punto di non ritorno per Petra. Se prima ci fosse stata anche la minima possibilità di redenzione, adesso tutto era perduto; Petra Maximoff divenne un mostro che, sotto un grazioso faccino, nascondeva l'abisso dell'empietà. Non aveva più bisogno di Sharon, ormai aveva trovato la sua strada. Linda, pinta, profumata e rivestita di una tuta adidas rossa sgargiante si apprestò ad uscire da quella casa quasi disabitata, ma si ricordò che Kimberly doveva mangiare. 
Petra;; « Ecco quà, dovrai fartele bastare per un po'. » La terranova, nonostante avesse fame, si trascinò tristemente verso la ciotola di crocchette; aveva bisogno di moto e di attenzioni, due cose che scarseggiavano in quel periodo. La mutante, però, nell'abbassarsi per posare la ciotola a terra, notò uno strano dettaglio in lontananza: la porta sul retro della cucina era socchiusa. Esattamente quella misteriosa porta per la quale sia Sharon che Kimberly reagirono in una maniera alquanto anomala. Per quanto la velocista si fosse distaccata da quella che poteva essere considerata la sua ex ragazza, l'idea di scoprire cosa si celava dietro quella porta la stuzzicò non poco; così, a petto in fuori e con sguardo sprezzante, spalancò quella porta bianca. Ella si trovò davanti ad una rampa di scale che portavano ad una seconda porta in legno più in basso. Quei scalini cementificati erano ricoperti da polvere e oggettini vari, proprio come quelli della casa abbandonata a Melvindale. Folte ragnatele e la strettezza  di quel corridoio resero difficile lo scendere dei gradini, e Petra arrivò a fatica davanti a quella porta, che venne aperta con una spallata. Accendendo l'interruttore sulla parete una lampadina appesa ad un filo illuminò appena quella stanza cubica e cementificata, più precisamente un tavolino al centro di essa. Sopra del tavolo non c'era niente, rendendolo così l'unico oggetto in quella stanza completamente spoglia; questa altro non fece che penetrare le narici della mutante con un forte odore di chiuso. Effettivamente, Sharon aveva ragione: non c'era nulla in quella stanza, ma un certo comportamento di una certa palla di pelo non la calmò affatto; Kimberly, infatti, avendo finito la propria colazione e avendo perso di vista Petra si mise a cercarla, e una volta resa conto dove fosse si agitò e non poco. Ella scese giù per quei gradini saltandoli a due a due, raggiungendo la mutante più agitata che mai. I pantaloni di Petra vennero agguantati dai denti di Kimberly e, con aria agitata e nervosa, quest'ultima iniziò a tirare Petra fuori dalla stanza; nonostante fosse ancora piccola, la forza dei terranova cresceva nei suoi muscoli. « Kim, ma cosa stai?! » Domandò, ma ella rispose con un grugnito misto ad un guaito: era quanto mai chiaro che qualcosa, riguardante quella stanza, la mettesse in seria agitazione. La mutante, dinnanzi a tutto ciò, apportò una piccola modifica riguardo al piano della giornata.
Ci spostiamo ora a New York, più precisamente a "North Salem" dove, tra la vegetazione della foresta delle streghe, sorgeva un'elegante villa medievale. Si trattava della scuola per giovani dotati, che portava il nome dell'illustre e compianto telepate: Charles Francis Xavier, nonché X Mansion: il quartier generale degli X-Men. All'interno di tale struttura giovani mutanti venivano accolti e a loro erano garantiti rifugio ed istruzione. I migliori di loro si univano ai propri insegnanti: gli X-Men, una volta adulti. Si trattava di un gruppo di abili mutanti che operava missioni di estrema segretezza in terre intercontinentali, con una particolare attenzione a zone del mondo dove la povertà istituiva una dannosa dittatura. Quella mattina il professor McCoy venne convocato a sorpresa da Scott Summers, il preside della scuola, poco prima dell'inizio delle lezioni.
Ororo;; « Buongiorno, Hank. » Esordì, affiancandolo mentre reggeva dei libri di scienze ambientali.
Hank;; « Ororo. » Fece un cenno col capo, rimanendo nella sua compostezza mentre si dirigeva verso l'ufficio di Summers.
Ororo;; « Come mai già operativo? Non hai lezione alle 11:00? » Domandò.
Hank;; « Sai che l'ozio non fa per me, Ororo! » Ridacchiò rauco. « A dire il vero Scott mi ha chiesto di presentarmi nel suo ufficio per un colloquio, dice che riguarda il dibattito tra me e il ministro. » Spiegò, continuando a sistemare la propria uniforme nel mentre che si dirigeva nella stanza dov'era desiderato.
Ororo;; « Allora penso proprio che dovrò farti compagnia, in quanto tua accompagnatrice! » Replicò, seguendolo.
Hank;; « Sei sicura? Ti ricordo che hai da correggere i primi esami! Non credo che la scusa del maltempo possa valere un tuo ritardo nella consegna! » Continuò a ridere, prendendola bonariamente in giro.
Ororo;; « Non essere troppo Henry McCoy! » In quel momento, la grossa e pelosa mano di Hank andò ad aprire la porta dell'ufficio di Summers, che Xavier gli assegnò assieme alla cattedra di preside nelle sue ultime volontà. Si trattava di una grande stanza colma di scaffali pieni di libri di ogni sapere, un grosso dipinto di Charles Xavier attaccato al muro, un enorme tappeto persiano che rivestiva il pavimento, una larga finestra che si affacciava alla fontana del cortile, un paio di poltroncine rosse davanti ad un'enorme scrivania. Quest'ultima era presidiata da Scott Summers: un uomo robusto sulla trentina, dai capelli medio lunghi castani e un accenno di barba. Ciò che più colpiva riguardo lui, però, era il visore metallico che portava sempre attaccato al viso; esso emanava un bagliore rosso, simile a quello di un led.

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