XXXV° - GIRONE DELLA MARIONETTA

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Stivali metallizzati calpestavano una piattaforma che conduceva all'interno di una buia caverna, all'interno della quale era stato edificato un disco circolare. Al centro era situato un piccolo altarino, con un proiettore che puntava verso l'alto. Okoye entrò nel raggio del disco, e si inginocchiò, chiudendo gli occhi e abbassando anche il capo di fronte a quella piccola struttura. Dal proiettore uscì un piccolo raggio, un filamento che, come se venisse stirato dai lati, compose una gigantografia del volto di Ororo, il quale, con solennità, riempiva l'ampiezza della caverna.
Okoye;; « Regina Ororo, io ti ascolto. » Con un gesto della mano, che partì dal petto e continuò indicando la mutante, accompagnò l'alzata del capo. 
Ororo;; « Le dichiarazioni si sono rivelate vere, generale Okoye. La spada di Damocle che punta alla nostra gola, è reale. La situazione è più terrificante di quanto pensavamo. » La sua voce, con ovviamente una nota metallizzata, riempì l'eco della stanza. Okoye deglutì, ma cercò di rimanere composta.
Okoye;; « Deduco che non ci sia più tempo.. » 
Ororo;; « Temo di no. » Rispose calma.
Okoye;; « Se solo mi aveste ascoltato, regina Ororo! Ci saremmo mosse prima, avremmo potuto organizzare una spedizione. Abbiamo perso tempo. » Esclamò, le sue guance tremarono appena.
Ororo;; « Alzati, generale Okoye. » Impartì seccamente Ororo. La donna, confusa, fece come chiesto, facendo scomparire il formicolio alle gambe. Ora entrambe potevano guardarsi a viso dritto. « Prima di essere l'orgogliosa regina del Wakanda, prima ancora di essere stata benedetta da un'immenso potere: sono una mutante e sono una donna africana. Tutto ciò che sta accadendo mi riguarda nella totalità della mia persona. Pertanto, non ti avrei disturbata, se non avessi un piano ben preciso. » Le palpebre di Okoye si aprirono totalmente, e la donna trattenne il respiro a labbra schiuse. « Proprio per questo, paradossalmente, nel momento in cui siamo più vicine, tra di noi ci deve essere un legame di subordinazione. Vale a dire che io comando, tu esegui. Siamo cresciute assieme, Okoye.. Ma sono costretta ad importi di dimenticare tutto. » Ororo era tranquilla, forse anche un tantino malinconica, ma riusciva ad incutere lo stesso un terrore primordiale. La situazione era appesa ad un filo talmente sottile da imporre un servilismo, nei confronti di Ororo, a dir poco totalitario. La generale respirò profondamente, sentendosi le mani legate.
Okoye;; « Mi affiderò ciecamente alla vostra parola, regina Ororo. » L'aria si era fatta davvero pesante all'interno di quella caverna; ironico pensare che la mutante fosse a migliaia di kilometri di distanza della donna, ma che quest'ultima riuscisse comunque a sentire il peso della sua presenza. « C-Come sta la ragazza? Si è ripresa? » Okoye tentò di virare l'argomento, per alleggerire la tensione tra le due. Il volto olografico di Ororo si illuminò con un piccolo sorriso, capendo fin da subito che parlasse di Petra.
Ororo;; « Lei sta bene.. Oserei dire che non è mai stata meglio di così. » Prese un brevissimo momento di pausa, per riallacciare la conversazioni verso una nota più inquisitoria. « Non faccio a meno di notare, però, una strana vibrazione in te, Okoye. C'è qualcosa che desideri dirmi? Qualcosa che riguarda... » La generale, distogliendo lo sguardo, interruppe la mutante.
Okoye;; « La prigioniera è costantemente sotto controllo. Non abbiamo registrato alcuna anomalia di recente. Al momento è rinchiusa nella sua stanza. » Rispose con un tono impostato, come se fosse pronta a cambiare argomento.
Ororo;; « Ma non è sola. » Incalzò la mutante, che invece aveva proprio voglia di parlare di Sharon. « Non puoi nascondermi nulla, Okoye. »
Okoye;; « Ma è inconcepibile! Metterebbe in imbarazzo tutto il regno! Sarebbe uno scandalo in piena regola. » Sbraitò.
Ororo;; « Sarebbe ancor più scandaloso fingere che niente sia successo. » Sentenziò. « Ti invito ad essere lungimirante, generale Okoye. Da adesso in poi, siamo in guerra. » L'ologramma si dissolse da quella stanza per lo stesso volere della regina, lasciando Okoye al centro della piattaforma, a rimuginare su quanto successo poc'anzi. In una stanza situata in profondità, dall'altra parte del regno, una donna dai capelli dorati faticava ad addormentarsi. Il suo corpo, ben più abbronzato rispetto al suo primo giorno di permanenza nel Wakanda, si girava e rigirava sopra il materasso. Era una situazione strana, ma soprattutto snervante, quella che stava passando Sharon: l'avere la stanchezza fisica, dopo l'ennesimo giorno sotto la guida di Okoye, ma non riuscire a godere di un buon sonno ristoratore a causa di brutte sensazioni. Erano settimane che il mostro assopito in lei non riemergeva, e Okoye aveva allentato la presa sui suoi polsi, rendendola quantomeno una prigioniera con l'ora d'aria. Tuttavia, lei non sarebbe mai potuta essere tranquilla con sé stessa, mai del tutto. Dopo l'incontro con Pietro, il suo incubo si assopì, per ritornare più forte di prima solamente quando il tutto si fece più difficile. Come poteva sperare che le cose potessero andare meglio in maniera permanente? Si sedette sul letto, e diede le spalle alla torcia accesa e appesa al muro della stanza. Sul comodino vi era poggiato il suo libro diario, che aveva consumato per una buona parte nell'arco di quell'ultimo mese. Pensò che Okoye l'avrebbe uccisa se si fosse presentata all'alba senza un minuto di sonno. Si versò dell'acqua nel suo vasetto, dal quale andò a tracannarne il contenuto. Una voce dietro di lei, la interruppe delicatamente.
???;; « Mia cara, da quanto non dormi? » Sharon saltò dal letto, indietreggiando verso il muro della stanza, nascondendosi nella penombra. Illuminata dalla torcia era una donna sulla trentina, dalla pelle scura come una ciliegia, che la osservava da seduta all'altro capo del letto. Portava delle lunghe trecce tribali bionde che scendevano fino a metà schiena. Indossava un lungo abito di una seta color mandorla, con uno spacco sulla gamba. Sembrava una donna Wakandiana come tutte le altre, ma c'era in realtà qualcosa di diverso. Era come se possedesse un'aura attorno a sé, un'aura invisibile, che stava mettendo in seria soggezione una parte di Sharon. La donna misteriosa si alzò in piedi, mentre Sharon sbiascicava.
Sharon;; « N-Non dovresti essere qui. Questa è una prigione blindata... Io devo stare in isolamento, ordini del generale Okoye e della regina Ororo. » La donna stirò le labbra in un sorriso. 
???;; « Okoye e Ororo... » Ripeté. « Chi lo avrebbe mai detto che quelle pestifere bambine un giorno avrebbero comandato questo immortale impero. » Ridacchiò appena, utilizzando un tono paternalistico. Sharon capì che le questioni fossero sostanzialmente due: o quella donna la stava prendendo in giro, visto che non sembrava affatto essere più anziana e saggia delle due africane citate, oppure stava parlando con una presenza importante. « Comunque non è mia intenzione interferire con le loro decisioni; quello che voglio... è parlare con te. » Proseguì in maniera calma. « Avvicinati, su. Esci da quell'ombra. » Sharon fece qualche passo verso di lei, in modo tale che la luce della torcia potesse colpirla.
Sharon;; « Non so cosa stia succedendo, ma davvero: non dovresti essere qui! Io.. Io non posso parlare con qualcuno che non sia Okoye. Io posso perdere il controllo da un momento all'altro, e sono capace.. Sono stata capace di cose terribili! » Ma la donna non si fece impietosire.
???;; « So bene il motivo per cui sei imprigionata, Sharon. » Ella rimase senza parole, la situazione si stava facendo sempre più strana. « Ma perderei il mio tempo, se fossi qui per dirti cose che già sai. Io sono Naahlija, ma in queste terre mi si rivolge come la sacra leonessa protettrice. » Ella congiunse le mani sul ventre, intrecciando anche le proprie dita, ma un indice si alzò per indicare la parete opposta. Lì, illuminato parzialmente, lo scudo che Sharon aveva preso, anche solo per un momento, nella sala dei trofei. La donna si avvicinò, allarmata.
Sharon;; « E' stato uno sbaglio! Io.. Non avrei dovuto. » La donna afferrò lo scudo, ed andò a consegnarlo alla divinità. « Ma non lasciarlo qui, finirò nei guai se lo scoprono! E nessuno sarà disposto a credermi. Verrei considerata pazza. » Naahlija osservò prima il suo stesso scudo, e poi lei stessa.
Naahlija;; « Eppure è sempre stato lì. Lì, da quando l'hai preso, così come ci sono stata io. »
Sharon;; « Questo.. Questo cosa dovrebbe significare? » La divinità incominciò a camminare per quella minuscola stanza.
Naahlija;; « Non è una storia che ad una prigioniera verrebbe raccontata, ma devi sapere che io e mia sorella Bast siamo il Wakanda. Da una semplice capanna, al regno che ti circonda: la "Leonessa Dorata" e la "Pantera Nera" hanno combattuto nella loro epoca, e consegnato la divinità a uomini e donne degne di riceverla. E' da mesi, ormai, che la pantera nera è ormai scomparsa, e il mio spirito dormiente è sempre stato relegato allo scudo che proteggeva la nostra gente. Per mille anni, la "Leonessa Dorata" non si è incarnata... Per mille anni, fino a quando non sei arrivata tu. » Le mani di Sharon reggevano a malapena quello scudo, il quale sembrava essere improvvisamente qualche kg più pesante. Nonostante questo, le sue mani stringevano l'estremità dell'arma. Iniziò ad essere turbata da tutta quella situazione. 
Sharon;; « Io non c'entro niente. » Sussurrò, quasi come un mantra.
Naahlija;; « Eppure non solo riesci a vederlo, ma lo stringi nei palmi delle tue mani. » Ella ritornò da Sharon. « Non importa cosa tu dica a te stessa. Tu sei me. » Affermò calma, guardandola con occhi penetranti e, per un momento, a Sharon mancò il fiato per una fitta allo stomaco. Il suo sguardo si corrugò in una smorfia dolorante. Lo scudo cadde, emettendo un sinistro rumore sibilante.
Sharon;; « Io non sono stata creata per proteggere. Il mio unico scopo, è quello di causare morte e sofferenza. Tutto ciò che mi dà importanza, non riguarda me, io sono solo l'involucro di un mostro. » Le mani tremanti di Sharon coprirono il suo stesso volto, sotto lo sguardo confuso e allarmato di Naahlija. Come una bambina che provava vergogna, le dita stiravano il suo volto, come se volesse strapparselo via. Un solo momento, e poi smise di tremare, e le sue mani liberarono il suo viso, che precedentemente corrugato dal dolore, ora appariva tranquillo. Sharon riaprì gli occhi, e il bagliore violaceo, dopo settimane, tornò a brillare. Naahlija assottigliò lo sguardo, silenziosa. Sharon, o il mostro da lei citato, sorrise.
Sharon ( HERAI );; « ...Libero, ancora. » Pronunciò con un tono baritonale e terrificante, che non impietosì però la reincarnazione della dea.
Naahlija;; « Silenzio. » Sentenziò, e il sorriso sul volto di Sharon scomparve, quasi come se il mostro si rendesse immediatamente conto del potere di chi aveva davanti. « Non osare rivolgermi la parola, spregevole mortal creatura. » Le bastò un cenno della mano, e il corpo di Sharon venne strattonato da una forza invisibile. Ella poté sentire l'entità liberare il suo corpo, in un sospiro di sollievo. Ella cercò di rimanere in piedi a fatica, a causa di una forte situazione da capogiro. Naahlija si avvicinò, reggendola.
Sharon;; « C..Come hai fatto? » Domandò sbalordita, non avendo mai assistito a niente di simile. Venne accompagnata sul letto, sul quale venne seduta, così come fece Naahlija accanto a lei. 
Naahlija;; « Come una madre cura le ferite del proprio figlio, io conto le lacrime dei miei discendenti. » Naahlija la approcciò con un sorriso sincero. Sharon si sentì più tranquilla e fiduciosa, ma guardò le sue mani, e la tristezza sul suo viso non mutò.
Sharon;; « Non credo di avere la forza per questo. Non per padroneggiare un potere così grande.. Non con queste mani, che sempre saranno grondanti di sangue... » Ci fu un momento di silenzio, in quella stanza, che ormai divenne uno specchio sempre più approfondito sulla mente della donna. « La donna che amo mi ha risparmiato. Se sono viva è grazie a lei ma... Non so come onorare il fatto di esistere ancora. » Si confessò, continuando a guardare basso.
Naahlija;; « Ci pensi spesso, a Petra? » Il pronunciare del suo nome, fece inumidire gli occhi di Sharon.
Sharon;; « S-Sempre. » Prese un grande respiro, alleggerendo il peso sul petto. « Mi basta pensare al suo sorriso mentre mi guardava prima di addormentarsi, ed io mi sento come se, per un attimo, avessi fatto una cosa giusta in tutta la mia vita. » Qualche lacrima scappò, scendendo come piccoli sassolini sulla sua mano. La stessa che utilizzò per pulire il proprio viso. « Ma per lei sono stata un vero incubo, ed è meglio che le stia così tanto lontana, anche se... Darei qualsiasi cosa, anche solo per abbracciarla un'ultima volta. » Quelle ultime parole erano tanto sofferte che vennero pronunciate con una voce rotta e sibilante. Naahlija cercò di rimanere più stoica possibile, ma persino lei poté sentire una voragine nell'anima.
Naahlija;; « Per secoli ho vissuto e posso raccontare l'immaginabile e l'impossibile, ma che i miei poteri svaniscano in questo momento, non ho mai incontrato qualcuno con così tanto dolore nel cuore come te, Sharon. » Il petto della donna saliva e scendeva a seconda di profondi respiri, che la aiutavano a tenere la soluzione sotto controllo per quanto poteva. Le parole della dea non la giovarono, ma almeno si sentì vista in un altro modo. « Ma non posso fare a meno di pensare che ciò che dici di te stessa ti sia stato indotto. » Sharon continuò quindi a sospirare, riuscendo a mettere il suo corpo in quiete.
Sharon;; « Mi è impossibile non pensare a queste cose. E' tutto ciò con cui sono cresciuta. » Confessò, toccando solamente la punta dell'iceberg della sua vita.
Naahlija;; « Penso che il modo migliore per onorare le persone che non ci sono più, e la persona per cui ti struggi tanto, è quello di affrontare tutto quanto. » Si allungò per prendere il diario, afferrandolo decisa, per poi porgerlo a Sharon, che si impietrì. « C'è qualcosa che continui a nascondere a te stessa, Sharon. Ma sai benissimo che continuerà a fare male, se giace assieme al mostro. » Sharon prese il diario con tanta incertezza, senza emanare un singolo fiato. « Ti spaventa, vero? » Sharon annuì, corrugando il viso. Naahlija levò le mani sulla testa di Sharon, intrufolando le dita tra i suoi capelli biondi e raggiungendo così la cute. « Da questo momento in poi, le nostre strade si uniscono. Il mio nome diventerà il tuo, e il tuo diventerà uno dei miei. » Pronunciò e Sharon poté ripensare alle sue pagine più oscure, e finalmente spargere inchiostro su carta a riguardo, con una persona, un'entità tangibile, con cui condividere la brutta esperienza di ricordare. Naahlija vide tutto, e chiuse gli occhi, per non far vedere quanto si stessero arrossando per la discendente. Avrebbe voluto abbracciarla, ma non le sarebbe stato di alcun aiuto. La mano di Sharon continuava a scrivere, scrivere e scrivere, fino a riempire ogni pagina, dando ragione a quanto enunciato da Naahlija precedentemente. Sharon scrisse fino ad addormentarsi, come se l'anima avesse abbandonato il suo corpo. Ella venne quindi riposta, dalla stessa dea, sul proprio letto. Quella dea che ora reggeva il libro, ben consapevole di trattenere uno dei manoscritti più tristi e crudeli che l'umanità avesse mai potuto partorire. C'era qualcosa di intrinsecamente sbagliato in quelle pagine, ma poi guardò la donna e lo scudo che giaceva vicino al suo letto. « Non so dire quando, non so prevedere quando smetterai di essere l'unica a vedere quello scudo, ma so che eventualmente accadrà. Tuttavia io non posso farlo per te, nessuno può farlo per te. Non sei più da sola, ma dovrai combattere ancora un po', questa volta non contro te stessa. » La dea mormorò, allontanandosi dal letto, e portando con sé il libro. Soffiò nel lucerna. rio della stanza, facendo cadere il buio più totale, poco prima di sparire così come era comparsa. Il mattino dopo arrivò in pochissimo, e Sharon si svegliò come da un postumo di una sbornia, ma senza il senso di vomito e mal di testa: rimanendo dunque con un intontimento generale e dei ricordi parzialmente nebbiosi, che vennero affievoliti dalla vista dello scudo. Naahlija ebbe ragione dal momento in cui Okoye arrivò a scortarla, e non notò lo sfavillante scudo dorato, ma notò qualcosa di diverso. Notò una natura più taciturna e contemplativa in Sharon, che si rifletté su uno sguardo ben attento all'imponente statua della dea leonessa, posta opposta a quella della dea Bast.
Okoye;; « La volta scorsa hai impiegato dieci secondi in più a compiere il percorso. Vedi di non peggiorare ulteriormente. » Almeno una volta a settimana, Okoye la portava a compiere un percorso di agilità estremo. Ovviamente il percorso cambiava ogni volta, in modo tale che lei fosse sempre esposta al rischio e che non imparasse la sequenza di azioni a memoria. Sharon si sistemò la pettorina contenitiva e così fece anche con le protezioni alle braccia. Okoye, con un cenno del braccio, diede il via. Sharon partì, calpestando per prima cosa una striscia di sabbia molto calda. A lungo andare, i nudi piedi si arrossarono e basta. Dopodiché dovette saltare su una corda per evitare di finire sullo stesso percorso, ma ora caratterizzato da carboni ardenti. Sharon poté sentire il fumo salire all'interno delle sue narici, mentre si arrampicava sul cordone per raggiungere una piattaforma soprastante. Riuscì a mettersi in piedi, evitando accuratamente di osservare in basso. Il percorso divenne ancora più frammentato, perché ora doveva saltare di piattaforma in piattaforma, evitando il passaggio di asce affilate che dondolavano da destra a sinistra. Con un sangue freddo, che non sapeva nemmeno lei da dove lo aveva tirato fuori, ella ne saltò uno, poi un secondo, col terzo tentennò, finendo a gattoni su di esso. Era molto alto, e i carboni sotto di sé bruciavano in un rosso vigore lavico. Sharon si rimise in piedi, e con decisione saltò sulla quarta pedana, per scoprire che questa nascondeva un trappola. La piattaforma incominciò a salire, a velocità vertiginosa. Come se fosse un ascensore dai freni rotti, Sharon si tenne rigidamente in piedi, sentendo la pressione continua dell'aria sulla sua schiena. A conti fatti quella simulazione sembrava un totale guasto, e l'allarme risuonò per tutto il ginnasio. Sharon poté solo intravedere le dora milaje correre tra i piani del ginnasio, accorrendo a risolvere il problema della pedana. Sharon guardò finalmente in alto, quando si accorse di un'apertura improvvisa sul soffitto, che si richiuse solo quando la pedana la attraversò. Sharon si trovò quindi in una stanza piuttosto asettica, ovviamente rispetto alle architetture luminose e vibranti. Era piuttosto scura, sembrava un grande ripostiglio semi abbandonato. C'erano cianfrusaglie di ogni tipo, incluso un curioso manichino di forma umana. Aveva sfere metalliche ad ogni punto di congiunzione anatomico, e questo in teoria gli consentiva il massimo del movimento. La cosa che attirò più la sua attenzione, o per meglio dire fece suonare un campanello d'allarme, era che fosse completamente bianco, privo di disegni che contraddistinguevano i tratti facciali, e che la sua testa era a punta. Sharon lo fissò, e qualsiasi cosa fosse, si rese conto di essere fissato, perché con dei movimenti incerti e claudicanti, il manichino si alzò. Sharon provò quello che comunemente si chiama "valle perturbante": quella sensazione di straniamento e dissociazione che si prova alla vista di qualcosa che sembra umano, ma che umano non è. Ella non ebbe nemmeno il tempo di pensare, perché il manichino la attaccò ella schivò miracolosamente un calcio rotante, che venne lanciato con una rotazione innaturale dei legamenti. Si muoveva silenzioso, e subito provò a colpirla con l'altra gamba, che Sharon parò con l'avambraccio. Ella pensò che dovesse essere fatto di legno di castagno, visto quanto marmoreo fosse. Ella approfittò della situazione per colpirlo in viso con una gomitata, facendogli roteare la testa, e ne approfittò per colpirlo una seconda volta con l'iron punch, un colpo appartenente alla disciplina del Wing Chun, che fu abbastanza funzionale per mandare il manichino a colpire il muro della stanza, per poi cadere in una posizione anatomicamente impossibile, esattamente come lo aveva trovato. In quel momento entrò nella stanza Okoye, seguita da uno stipato gruppo di dora milaje, e la trovarono nella statica e guardinga posizione d'attacco, mentre i suoi occhi erano fissi su quel fantoccio, come se avesse risvegliato ricordi di un tempo lontano.
???;; « Signore, i coniugi Lester sono arrivati. » Dita ossute e rugose premettero più volte sull'interruttore del telefono. Le porte vennero aperte a tre persone: un uomo e una donna sulla trentina, seguiti da una bambina che, ad occhio e croce, avrà avuto un paio di anni: semplicemente l'età giusta per mantenersi in piedi. L'uomo sulla scrivania, che una targhetta dorata riportava chiamarsi " Robert Kelly ", si alzò e tese la mano verso gli adulti, prima all'uomo e poi alla donna. Entrambi la strinsero con un largo sorriso sui loro volti, la bambina rimase parecchio indifferente all'incontro.
Robert;; « Kenneth Lester, tuo nonno sarebbe molto fiero. » Esordì,
Kenneth;; « Presidente, è con onore che le presento mia moglie Eleonor, ma soprattutto mia figlia: Marion Victoria Lester. » Egli si fece da parte, lasciando che lo sguardo confuso della bambina incontrasse quello del presidente. La prima venne posteggiata sulla sedia, dove ella si sedette per forza.  lunghi capelli biondi contornarono un viso confuso e diffidente, mentre Robert Kelly indossò gli occhiali e si alzò, avvicinandosi successivamente a lei. Osservò il volto della bambina, ma nei suoi occhi blu trovò qualcosa di strano, specialmente nel sinistro. Era come se l'iride avesse una doppia circonferenza, ma solo da una parte. Lo sguardo del presidente si incupì, i genitori si guardarono preoccupati, e la bambina eventualmente si spaventò, sbattendo più volte le palpebre e lasciando che dall'occhio sinistro, molto probabilmente disidratato, scendesse una lente a contatto colorata di blu, che mascherava un peculiare occhio viola. Robert afferrò di colpo la lente, rialzandosi e rivolgendosi ai genitori, tenendo in mano l'oggetto della vergogna.
Robert;; « Mi auguro che tu abbia una spiegazione, Lester. » L'uomo impallidì, e la donna cercò di intermediare.
Eleonor;; « è.. Semplicemente un'incidente genetico, non è nulla di eccessivamente grave.. La bambina, nel suo sangue, ha decenni di eccellenza e.. »
Robert;; « Questa bambina non è pura. » La interruppe bruscamente, scandendo le parole con un tono autoritario. La bambina non stava capendo niente, e cercò lo sguardo rassicurante dei genitori, che prontamente non ricevette. In quel momento di stallo, nello studio del presidente degli stati uniti entrò un uomo alto, ossuto, e dal volto stanco ma allo stesso tempo severo. Aveva i capelli castani medio lunghi, ed indossava chiaramente un completo blu. « Permettetemi di presentarvi mio figlio Salomon, è lui a capo dell'operazione. L'ultima decisione spetta a lui. » Entrambi i genitori provarono ad abbozzare un "piacere" e un "lietissimi", ma vennero prontamente ignorati: l'uomo non degnò loro nemmeno di uno sguardo, infatti era lì per il punto focale di quell'incontro. Egli si chinò, in modo tale da essere alla stessa altezza della bambina. 
Salomon;; « Ciao. » Gli fece il gesto con la mano, che la bambina andò a replicare con la sua. « Conosci una certa Marion? » La bambina si indicò, forse un po' tranquillizzata dal fatto che sentisse delle domande semplici. « E mamma e papà dove sono? » La bambina indicò in mezzo ai due genitori. « Molto bene, Marion. » L'uomo prese una piccola scacchiera, e la mise in mezzo al tavolo. Sotto lo sguardo confuso di tutti, egli apparecchiò i due estremi con le pedine bianche e quelle nere. « Ora dimmi, Marion. Chi sono secondo te i buoni? » La bambina osservò quelle figure strane sulla tavola, non capendo cosa stesse cercando di farle dire. « Oh, avanti. So che lo sai. Chi sono i tuoi amici? » La bambina, dopo qualche momento, allungò la mano per prendere un pedone bianco, e lo alzò, convinta. « Molto bene, molto bene, Marion! » L'uomo inarcò un sorriso che andò semplicemente a rugare il suo volto ancora di più. Batté tre volte le mani, e la bambina si sentì valorizzata dall'aver fatto giusto, per questo, nella sua innocenza, rise anche lei. Robert Kelly guardava curioso la scena, mentre i genitori si strinsero di lato, orgogliosi della loro pargoletta. « Adesso noi faremo questo: ti troveremo un sacco di nuovi amici. Esattamente come te. Ci stai? » Sharon se la rise contenta, lanciando la pedina in aria. Tornò quindi tra le braccia dei suoi genitori, a festeggiare contenta. Salomon si voltò verso suo padre. « Lei è la prima. »

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