Too much to handle

53 4 0
                                    

«Prego allora» si fece da parte per farmi passare dopodiché mi informò che avrebbe chiamata la padrona di casa nel frattempo che io mi accomodavo in salotto.

Mi sedetti sul divano e osservai muoversi le lancette del quadrante dell'orologio appeso al muro, secondo per secondo. Ero agitata e non riuscivo a smettere di tremare così, per cercare di distrarmi, iniziai a giocherellare con le dita sul tavolo difronte a me.

Qualche istante dopo una signora di mezz'età si sedette sul divano a poca distanza da me e nonostante sembrasse calma, la sua gamba si muoveva nervosamente contro il tessuto morbido del divano.

Aveva i capelli legati in una coda alta tranne per due ciocche che incorniciavano il suo viso allungato dai tratti marcati, molto simili ai miei. La fronte senza linee, le sopracciglia angolate, il naso dritto e ben formato e le sue labbra carnose le davano un'aria fredda.

Mi metteva in soggezione quella donna, sul serio, non riuscivo nemmeno a guardarla negli occhi. Mi limitavo ad osservarla quando lei guardava da un'altra parte. Si sistemò le pieghe del tailleur color pesca e mi guardò.

«Sei qui per il colloquio?» domandò, rompendo il silenzio imbarazzato.
«Sì, esatto» replicai portandomi una mano alla bocca, senza riuscire a guardarla negli occhi.

«Hai letto l'articolo del giornale?» chiese nuovamente lei ed io accennai un sì con la testa, allora lei continuò. «Cosa ne pensi?»

«Sono perfettamente d'accordo» dissi semplicemente.

«Parlami un po' di te» propose la donna.

«Mi chiamo Sam, ho vent'anni e mi sono trasferita da poco insieme a mio fratello Dean» mentii spudoratamente mentre lei continuava a sorridere, cosa che mi metteva parecchio a disaggio dal momento che il sorriso che mi rivolgeva era chiaramente finto.

«Dove sono i vostri genitori?»
Mi morsi il labbro per cercare le parole giuste da dire, tentando di non guardarla negli occhi.

«Beh, ecco, loro sono morti» mentii nuovamente e sul suo viso comparve un'espressione sorpresa poi dispiaciuta.
«Mi dispiace, non volevo ricordare il tuo passato.»

«Non si preoccupi, è successo molti anni fa» ma nemmeno io sembravo sicura delle mie stesse parole.

«Posso sapere perché avete scelto proprio Medford?» chiese gesticolando con le mani, ricordandomi vagamente Dylan.

Era lui il solito a parlare muovendo le mani a più non posso.

Rimasi in silenzio per qualche secondo in cerca di una buona motivazione finché questa non arrivò.

«Perché ho sempre voluto frequentare l'università dell'Oregon ma per farlo ho bisogno di soldi, per questo mi serve questo lavoro» dissi alzando lo sguardo e guardarla negli occhi per la prima volta da quando ero entrata nella sua casa.

Lei mi osservò incredula quasi, come se stesse cercando di capire se ero seria.

«Sai, mi ricordi qualcuno ma non so chi» ammise con difficoltà per poi alzarsi dal divano. «Prima di te sono arrivate altre due ragazze che conosco ma loro hanno ancora la loro famiglia, tu non hai nessuno» aggiunse tenendo lo sguardo fermo su di me.

«Sì?»

«Sì ed è per questo che voglio darti l'opportunità di mettere da parte i soldi per il college» dichiarò con entusiasmo. «Avremo bisogno di te la mattina per preparare i ragazzi e portarli a scuola, poi il pomeriggio per andare a prenderli, aiutarli con i compiti e portarli al parco. Ti va bene questo orario?» domandò in seguito.

«È perfetto» esclamai felice.

Dopo mezz'ora circa, dopo aver bevuto un caffè insieme alla mia vera madre, mi chiamò un taxi e ci mettemmo d'accordo per vederci il giorno dopo. Avevo ottenuto il lavoro ed ero davvero felice, non solo per quello, bensì per il fatto di averla finalmente vista.

An inconvenient truth || Dylan O'BrienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora