Doubts

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La luce fioca del sole illuminarono la mia stanza subentrando dalla finestra, facendomi svegliare cinque minuti prima della sveglia che trillò proprio in quel momento. Aggrottai le sopracciglia e socchiusi gli occhi stanca e non vogliosa di iniziare quella giornata. Sbuffai e mi alzai a metà busto guardando fuori dalla finestra.

Ares, dopo il suono della sveglia, entrò dalla mia stanza con foga e saltando poi sul letto accanto a me.

«Hai fame, lo so, lo so» esclamai buttandomi sul cuscino.

Il pitbull però non voleva darmi un momento per svegliarmi per bene e iniziò a leccarmi la guancia, costringendomi ad alzarmi.

Mentre il cane mangiava il primo pasto della giornata, io corsi in camera e aprii l'armadio. Non prestai troppa attenzione ai vestiti che scelsi quanto al make-up. Cercai di coprire le imperfezioni al meglio, di fare una riga sottile di l'eye-liner e di dare un colorito naturale alle labbra. Non stavo migliorando il mio aspetto fisico per Phoebe ed i ragazzi, bensì per la famiglia di Jaden. Quella domenica ero stata invitata a pranzo a casa sua e volevo fare una bella figura con i suoi parenti.

Quando finii in bagno scesi al piano di sotto per chiudere le finestre e anche Ares nel garage per evitare che mangiasse altri arredi della casa, a parte il divano e una sedia in cucina.

Mi assicurai che avesse acqua e la coperta dove dormire poi afferrai la giacca e uscii di casa.

Sentii un brivido dietro la schiena una volta fuori, dovuto dal freschetto mattutino. Lungo la strada mi fermai a prendere un caffè d'asporto per svegliarmi il più possibile e dopo altri dieci minuti raggiunsi l'albergo.

Chiamai Phoebe che rispose al terzo squillo, dicendomi di aspettarla nella sala del ristorante perché voleva che facessimo colazione insieme.

Mi accomodai in un tavolo in disparte e la cameriera mi raggiunse un paio di minuti dopo chiedendomi il numero della stanza.

«In realtà sto aspettando Phoebe Harvey, non so quale sia la sua camera» dissi e lei sorrise dolcemente.

«Le porto il menù» disse con tono di voce gentile.

Ci volle un altro quarto d'ora prima che arrivassero, la mia frittata si era raffreddata da un po'.

«Buongiorno» mi alzai dalla sedia, andando in contro ai ragazzi che correvano già verso di me.

Quando furono vicino a me, entrambi mi saltarono al collo, le mie braccia intorno ai loro piccoli corpi. Chase si staccò mentre la bambina non dava segni di voler fare lo stesso, così la presi in braccio e ci avviammo verso il tavolo che avevo scelto.

Phoebe rimase immobile per un attimo, studiandomi o giudicandomi. Non le assomigliavo per niente, non avevo il senso dell'eleganza ed ero decisamente impertinente visto come stavo sostenendo il suo sguardo, senza vergogna. Ci sedemmo al tavolo e mi ritrovai a osservare il suo sorriso che emanava dolcezza. Per un attimo mi sentii in colpa per averle fatto passare otto giorni completamente da sola, portando via i suoi figli ma fortunatamente durò per poco.

«Ci mancherai Riley» disse Chase poco dopo aver ordinato la sua colazione.

«A me mancherai di più» fece Abby.

«La prossima volta vengo io a trovarvi, che ne dite?»

I ragazzi guardarono la loro madre prima di replicare.

«La trovo una buona idea» rispose lei.

Fu l'ultima volta che mi rivolse la parola, finché arrivammo all'aeroporto.

Le tesi la mano, lei mi guardò per un attimo, quasi indignata nel constatare che quel saluto fosse formale. Afferrò la mia mano stringendola ma i suoi occhi si spalancarono di colpo e subito dopo mi attirò a sé abbracciandomi forte. Sentii gli occhi bruciare ma non perché aspettavo da tempo quell'abbraccio, il motivo era un altro: era troppo tardi. Mi staccai lentamente e mi inginocchiai davanti ai ragazzi che aspettavano il loro turno per salutarmi.

An inconvenient truth || Dylan O'BrienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora