Rabbia

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Lui alzò la testa, come se avesse capito che qualcuno lo stava osservando e si riavviò i capelli squadrando Hazel, ignorandomi completamente.
«Meglio di no.»

«Non hai niente da perdere» continuò lei, mostrandomi un sorriso sincero e annuendo anche se poco convinta.

«Ne abbiamo già parlato, quello stesso giorno in cui hai detto ad Eric di portarmi al supermercato sulla cinquantesima» ricordai io, distogliendo lo sguardo dal ragazzo visibilmente infastidito dalla mia presenza.

Avrei voluto dare ascolto al consiglio della mia amica ma ero consapevole del fatto che non avevo le armi giuste per quella battaglia. Mi mancava ma non c'era niente da fare, avevo sbagliato e ne pagavo le conseguenze.

«Io vado a dormire» esclamai balzando dal divano.
Lei invece non mi guardava, osservava un punto fisso alle mie spalle.
«No, fermati ancora qualche minuto» disse, scattando in piedi per afferrare il mio polso.

La guardai aggrottando la fronte e ad un tratto sentii un coro di ''ooh'' levandosi nel mezzo del soggiorno ed io mi liberai dalla stretta per andare a vedere cosa fosse successo.
Eric si accorse subito del mio arrivo e si scambiò uno sguardo allarmato con Lydia ma ormai era troppo tardi per fermarmi, mi trovavo davanti a quella scena a dir poco disgustosa per me.
Vidi Dylan e Malia baciarsi sulle note di una canzone lenta e bastò quello per distruggere la calma. Dentro di me qualcosa si spezzò e, mentre spingevo una ragazza per farmi spazio e andare in camera mia, capii che doveva essere il mio cuore ad essere a pezzi.

Quando chiusi la porta alle mie spalle, tirai un sospiro di sollievo. Gli occhi si riempirono di lacrime che non dovevo versare così sbattei velocemente le palpebre e chiusi la porta a chiave. Sapevo che qualcuno dei miei amici sarebbe venuto a consolarmi ma non avevo bisogno di nessuno se non di me stessa. Cercai nella valigia la busta delle medicine e mi costrinsi a mandare giù due sonniferi senza acqua. Poco dopo le mie palpebre diventarono pesanti ed io mi lasciai cadere di peso sul letto singolo senza nemmeno togliermi le scarpe.

Il giorno dopo mi svegliai abbastanza riposata. Mi tolsi tutti i vestiti e indossai l'accappatoio per poi aprire la porta e precipitarmi in bagno.

Alcune delle persone che avrebbero dovuto dividere la stanza con me si erano addormentati sul pavimento, altri sui divani ed io per un momento mi sentii in colpa.

Mi lavai velocemente, evitando di bagnare i capelli per non svegliare gli altri con il rumore del phon, poi tornai in camera per cambiarmi.

Mentre attraversavo il corridoio per uscire all'esterno, sul ripiano della cucina vidi un pacchetto di sigarette, ne estrassi una e la accesi per poi uscire in veranda.

Evidentemente non ero l'unica ad essere sveglia alle nove del mattino, dopo una notte di festeggiamenti. Eric e Lydia stavano parlando tranquillamente ma quando mi videro uscire, interruppero il discorso.

«Stai bene?» domandò Lydia quando mi sedetti vicino a lei, sul divanetto esterno.

Accennai un sì con il capo, riportando la sigaretta fra le labbra per aspirare.

«Perché hai chiuso la porta a chiave?» chiese Eric.

«Ero troppo stanca e non volevo essere disturbata» spiegai, stringendomi nelle spalle.

Restammo fuori per mezz'ora dopodiché rientrammo, quando fummo sicuri che gli altri avevano liberato il soggiorno. Io, Lydia e Eric riportammo il divano di fronte alla tv, la accendemmo e collegammo la Playstation che Thomas aveva portato, tanto per far passare il tempo.

Giocammo per una ventina di minuti e Eric rise dopo l'ennesima mia sconfitta.

«Io non gioco più» grugnii, accanto a me Lydia scoppiò a ridere anche lei.

«Gioco io» replicò la mia amica, facendomi cenno con la mano di andare a sedermi sulla poltrona accanto.

La assecondai e, mentre loro giocavano, mi persi a fissare il soffitto.
Ad un tratto sentii dei passi alle mie spalle, così girai il capo e vidi arrivare lui. Si sedette sul divano bello e sorridente, salutando prima Eric poi Lydia e come al solito ignorando me.

«Smettila di far finta che lei non esiste» esclamò Lydia, distogliendo per un attimo lo sguardo dalla tv per puntarlo su Dylan.
«Oh scusa,» esclamò con una dose di sarcasmo. «Ti riferisci alla bugiarda patologica?» ghignò lui.
Mi andava bene che mi ignorasse perché lo avevo ferito ma ero stanca di subire ogni suo insulto così mi irrigidii e mi avventai contro di lui. Fu Eric ad afferrarmi per i fianchi e rimettermi seduta sulla poltrona di prima.

«Per voi è impossibile stare nella stessa stanza come due persone normali» sbuffò Lydia ed Eric, ancora in piedi vicino a me, annuì.

«Lo so, sentirsi dire la verità qualche volta fa male» sbottò Dylan.
«Stai zitto» esclamai cercando di alzarmi ma Eric me lo impedì.
«Devo stare zitto soltanto perché me lo ordina la grande Riley Hale? Nah, per niente» dichiarò, i suoi occhi erano infuocati.
«Ora stai esagerando» si intromise Eric.

«E tu continui a difenderla?» chiese Dylan scuotendo la testa. «Tranquillo, è solo questione di tempo prima che lei ti ferisca, lo fa sempre» ringhiò verso il mio amico.

«Dylan» lo richiamò Lydia, alzandosi di scatto, guardando Eric in cerca di sostegno.

Lui si alzò e mi venne in contro, tenendosi a debita distanza.

«Diglielo dai, digli che finisci sempre per ferire quelli che ti stanno intorno» sussurrò a pochi centimetri dal mio orecchio per poi tornare in camera sua.

Quelle parole gelide mi colpirono al cuore, probabilmente perché aveva ragione. Lo guardai andare via, a passi falcati raggiunse la porta della sua camera e se la richiuse alle spalle con un tonfo.
Eric e Lydia non aggiunsero altro perché non c'era niente da dire. Mi diedero il tempo per riprendermi poi proposero un'altra partita alla Playstation. Cercai di non pensarci, tra una risata e l'altra, ma non era facile.

Gli altri si svegliarono verso l'una di pomeriggio e tutti quanti avevano voglia di una bella grigliata. Mentre i ragazzi accendevano il fuoco, noi ragazze sistemammo un po' la cucina, il soggiorno e le stanze che erano in totale confusione. Mentre pulivamo, più di una volta mi era capitata Malia davanti e avrei voluto parlarle, chiederle spiegazioni eppure non riuscivo a farlo. Sapevo che se mi fossi anche solamente avvicinata a lei, avrei fatto infuriare Dylan e sinceramente ne avevo abbastanza dei suoi insulti.

An inconvenient truth || Dylan O'BrienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora