Good news

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«Allora Riley» disse Eric, passandomi una porzione di take away.
Inarcai leggermente un sopracciglio, mi sedetti sul divano incrociando le gambe e allungai il braccio per afferrare la piccola scatola bianca, aspettando che il mio amico concludesse la frase.
Era da poco che era rientrato a casa, portandosi dietro anche Noah. Eric era più convinto di me a portare a fine il nostro viaggio in Oregon, in fin dei conti nessuno dei due voleva prolungare la durata della nostra temporanea permanenza. Lui non sembrava affatto dispiaciuto nell'usare Noah per i nostri secondi fini ma io sentivo il peso di quello che avremmo dovuto fare.

Noah si accomodò accanto a me, assumendo la mia stessa posizione, il suo ginocchio sfiorava appena il mio.

«Cosa hai fatto di bello oggi?» domandò infine il mio amico mentre io aprivo il cartoncino di cibo.

«Le solite cose» replicai annoiata. «Voi invece?» chiesi tanto per non restare in silenzio.

«Solite cose» mi imitò Eric mentre guardava concentrato lo schermo della tv.

«Com'è andata al college?» mi rivolsi a Noah, il quale annuì, passandosi velocemente due dita sul mento per pulirsi.

Lui si strinse nelle spalle, masticando lentamente un hamburger.

«Mi sto preparando per le prove d'esame che sono molto più difficili di quanto immaginavo» replicò, sfoderando poi un sorriso.

Io in risposta mi limitai ad un accenno di testa.

«Quando tornate nel Michigan?» mi chiese poi, aggiustando la sua posizione sul divano.

Eric aggrottò le sopracciglia, quasi fosse inorridito a quella domanda.

«Penso che resteremo più del dovuto» spiegai e il mio amico rivolse a Noah un'occhiata carica di disprezzo ma quest'ultimo lo ignorò o probabilmente non se ne era nemmeno accorto.

«Meglio» confermò lui ed io annuii nuovamente. «Vieni» sussurrò poi vicino al mio orecchio.

Posò il piatto con il resto delle patatine fritte sul tavolo, si alzò e mi tese la mano per aiutarmi ad alzarmi. Non esitai ad afferrarla, ero curiosa di scoprire cosa aveva in mente.

Percorremmo il piccolo corridoio senza dire una parola, fermandoci davanti alla porta della stanza di Eric. Noah abbassò lentamente la maniglia ed entrammo.

«Non pensare male» disse a bassa voce, chiudendosi la porta alle spalle.

Aggrottai la fronte e lui si accorse della confusione in cui mi trovavo. Mi sorrise, quasi a prendermi in giro, poi mi lasciò andare la mano.
«È passato poco tempo da quando ci siamo conosciuti» spiegò poi, indietreggiando verso il letto, sedendosi sopra. «Quattro giorni» precisò lui facendo una breve pausa. «Quello che voglio dirti è che mi trovo bene con te, parlare con te di qualsiasi cosa insomma, non è una cosa da tutti i giorni» si schiarì la voce e sembrava quasi in difficoltà.

«Continuo a non capire» esclamai io, abbassando lo sguardo sul pavimento.

Lui si alzò all'improvviso e si avvicinò a me, lasciando che ci dividessero solo pochi centimetri. Portò le sue mani grandi sul mio viso, limitandosi a guardarmi senza aggiungere altro.

«Sei un'ottima amica ma se, per caso, io volessi qualcosa di più?» domandò lui abbassando una mano sul mio fianco, tirandomi verso di lui.

«Probabilmente ti direi di sì» dichiarai io fissandolo negli occhi.

Ad un tratto la porta alle mie spalle scricchiolò e capii che qualcuno l'aveva aperta.

«Andiamo ragazzi, questa è la mia stanza. Ho cambiato le lenzuola solo ieri» sbuffò Eric fingendosi schifato.

An inconvenient truth || Dylan O'BrienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora