Ritorno a casa

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Era seduto su una sedia in veranda, Ares in braccio a lui stava riposando senza prestarmi troppa attenzione.
Mi schiarii la voce, non sapendo se fossi ancora in grado di parlare senza fargli capire quello che era successo solo qualche momento prima.

«Come mai sei a casa?» la mia voce era diversa, rauca e ovattata.
«Cosa ti è successo?» domandò con una strana luce negli occhi.
«Sono solo stanca» mormorai, cercando di sorpassarlo.
«Cosa mi stai nascondendo?» chiese parandosi davanti a me.
Mi limitai a fissarlo in silenzio senza sapere cosa rispondere.
«Sono stanca Thomas, domani mattina devo trovare un'agenzia di viaggi. Si torna a Kentwood» e lo lasciai con questa frase.

Lui non mi seguì per chiedere spiegazioni, probabilmente aveva capito tutto.

Andai a farmi una doccia, come se bastasse solo quella a cancellare tutta la delusione.

Nel frattempo che mi asciugavo i capelli sentii delle risate, soprattutto quella di Lydia, facendomi capire che erano rientrati dalla serata fuori. Aspettai che tutti si sistemassero, chi nelle stanze e chi in soggiorno davanti alla tv, per andare in camera mia.
Una decina di minuti dopo ero nel letto e non riuscivo nemmeno a chiudere gli occhi, quando qualcuno bussò alla porta.

«Posso entrare?» e senza aspettare la mia risposta vi entrò.

Si chiuse la porta alle spalle e aspettò qualche istante prima di avvicinarsi a me.
Lydia girò attorno al letto e si sedette sul materasso ma io continuavo a fissare il vuoto fuori dalla finestra.
«Thomas mi ha detto che domani torniamo tutti a casa.»

«Sì» replicai bruscamente.
Fortuna che la stanza fosse nella penombra, così potei mascherare i miei occhi lucidi.
«Posso sapere il motivo?» chiese Lydia continuando a guardarmi.

«Non mi va di parlare» mi alzai, sorreggendo il peso del corpo con le braccia.

«Perché? Perché non capirei?»

«Non è per questo» dissi semplicemente cercando di controllare il tremolio della voce.

«Riley» richiamò lei la mia attenzione. «Cosa è successo a casa di Phoebe?» in risposta sbuffai tristemente e mi stesi nuovamente sul letto.
«Ho detto che non mi va di parlare» ripetei annoiata.

«Perché fai così?» Lydia si alzò in piedi, girandosi verso la finestra. «Sto cercando di aiutarti, non sono io il nemico.»

«Per favore, lasciami sola.»

Tornò vicino a me e mi afferrò le spalle, decisa a scoprire come fossero andate le cose.

«Oggi eri felice, ridevi e scherzavi. Ora sei completamente il contrario» mi scosse leggermente ma non emisi una sillaba.

Strinsi il lembo del lenzuolo e affondai gli incisivi nel labbro inferiore per soffocare un grido di disperazione.
«Riley» sussurrò lei ad un tratto preoccupata ma non risposi, sospirai profondamente prima di aprire bocca.
«Per lei sono stata soltanto un facile ingresso nel mondo dei ricchi» mormorai.
Lydia aggrottò le sopracciglia e mi carezzò pian piano la testa, non dicendo una parola di più.

«Ho trovato le lettere di mio padre e da quanto ho capito lei ha firmato un tipo di contratto per, come si può dire, vendermi. Mio padre non ha voluto perdermi e così le ha fatto avere un assegno» annunciai senza degnarla di uno sguardo.

Il suo respiro si fece più pesante e la mano che accarezzava i miei capelli fu ritirata alla fine della mia spiegazione.

D'un tratto qualcuno bussò alla porta della stanza e Lydia si alzò prontamente.
«Sono io.»
Alzai il capo, asciugandomi in fretta le lacrime col dorso della mano.
«Puoi entrare Tommy» esclamai cercando di controllare la voce incrinata dal pianto.

An inconvenient truth || Dylan O'BrienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora