Fear

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«Non sono venuta qua solo per andare via pensando di non rivederti mai più» sussurrai, fissandolo incredula. «Fin dal primo momento che ti ho visto nel riformatorio ho voluto proteggerti, anche quando mi mandavi via e non mi guardavi neanche. In te ho visto me, quella che aveva paura e non aveva nessuno. Per questo ti chiedo di non mandarmi via, ti prego Jax.»

Per la prima volta venne colto da un'insospettabile sorpresa nel sentirmi parlare in quel modo.

«Sei in pericolo Riley, ti faranno fuori per colpa mia. O perché pensano che vuoi allontanarmi da loro o perché pensano che io sia la spia e tu mi stai aiutando.»

«Non m'importa ad essere onesta. Nella mia vita non ho combinato niente di buono, sono uno sbaglio di mio padre e la sua segretaria, ho ferito il ragazzo che più ho amato, ho fatto soffrire i miei amici. Se mi succedesse qualcosa non sarebbe una grande perdita, per questo voglio aiutarti» dissi non staccando mai il suo sguardo da quello del ragazzo.

Poteva provare a raggirarmi come preferiva, ma ormai la decisione l'avevo presa.

«Fammi restare» continuai imperterrita, non scomponendolo minimamente.

«Se ti succede qualcosa... io...»

«O ne usciamo insieme o nessuno» risposi tagliente.

Sapevo bene contro chi mi ero apertamente messa contro e non mi sarei tirata indietro. L'uomo che aveva il controllo era scaltro, aveva tantissimi mezzi e persone a disposizione e avevo avuto la prova tangibile, il biglietto.

La mia vita era stata scombussolata e non potevo incolpare nessun altro se non me stessa. Volevo essere coerente con i miei pensieri e le mie azioni, ma soprattutto le mie scelte.

Ero stata io a decidere di raggiungere Jaxon anche se non conoscendone le conseguenze. Il pensiero di passarla liscia non mi sfiorava minimamente; di sicuro sarebbe successo qualcosa. Non mi pentivo di aver scelto di stare al fianco del mio amico indipendentemente da come sarebbe andata a finire.

Mi fece cambiare di stanza e di piano e fortunatamente avevo deciso di non dire niente della lettera. Sicuramente mi avrebbe portata all'aeroporto senza sentire una parola.

Alle otto, dopo esserci sistemati nella nuova camera, ricevette una chiamata.

«Devo andare» commentò prima che rimettesse il telefono in tasca.

«Fai attenzione» esordii dopo un lungo silenzio.

Lo vidi abbozzare un sorriso, non uno di quelli vivaci, nemmeno dolci: era triste.

«Sei l'unica persona a cui tengo veramente e lo sai. Mi dispiace per tutto quello che ti sto facendo passare» disse prendendomi tra le sue braccia. «Sei mia sorella, la mia migliore amica, non oserei mai farti del male.»

Non ebbi alcun dubbio che quelle parole, dette a bassa voce, fossero veritiere. Il legame che ci univa era forte ma avevo paura di perderlo ugualmente. Ero preoccupata che qualcosa non andasse bene ed io non sarei stata pronta ad aiutarlo.

«Ti voglio bene Jax.»

Per quella sera non lasciai più la stanza. Cenai nella compagnia della tv, feci una doccia e andai a dormire. Non ero tranquilla perché lui era fuori chissà dove ma pensai che se avessero voluto ucciderlo sarebbe già morto da un po'. Jaxon serviva a loro più di quanto loro servissero a lui, era l'unica cosa che lo teneva in vita.

Durante la notte mi ero svegliata un paio di volte, accorgendomi che non era rientrato. Avevo controllato anche il telefono ma non c'erano messaggi da parte sua. Nemmeno la mattina, quando lasciai la stanza per andare a fare colazione lo trovai, il suo letto era intatto.

Quella giornata mi sentivo stranamente più agitata del solito. Andai a comprare dei vestiti perché quelli puliti scarseggiavano poi, mentre giravo per la città, passai davanti alla questura di polizia. Mi sedetti su una delle panchine di fronte, fissando quell'edificio. Poliziotti che venivano e andavano, gente che andava a confessare o denunciare.

Il rumore della città era sparito e al posto di esso sentivo le domande. La soluzione a tutto era davanti a me, loro avrebbero potuto aiutarci ma ciò significava denunciare Jaxon. Ovviamente potevo chiedere aiuto ai miei genitori, con le loro conoscenze avrebbero potuto fare qualcosa per uno sconto della pena ma dovevo tenere duro e aspettare Jaxon.

Ritornai dai miei pensieri grazie alla vibrazione del telefono facendomi capire che era arrivato un messaggio.

Da Jaxon:

''L'operazione è sotto controllo, non fare casini''

Lo lessi un paio di volte senza però capire il senso. Cosa intendeva?

Da Jaxon:

''Vattene da lì prima che sia troppo tardi per riparare a certi errori''

Arrivò poco dopo. Alzai lo sguardo dal cellulare per guardarmi in giro, evidentemente qualcuno mi stava seguendo e quei messaggi non sembravano scritti da Jaxon. E se non era lui a scrivere perché qualcun altro aveva il tuo telefono?

Non appena mi alzai dalla panchina, iniziai a sentire la stanchezza piombarmi addosso e il mio primo pensiero fu di sdraiarmi sul letto. Avevo decisamente bisogno di qualcosa di morbido su cui stendermi ma sapevo che una volta arrivata non avrei chiuso un occhio così, quella volta, non presi alcun taxi ma ritornai nell'hotel a piedi. Non c'erano dei pericoli da correre, pensai, era giorno, le strade piene di persone.

Infatti neanche dopo la lunga passeggiata non riuscivo a rilassarmi, avevo una brutta sensazione addosso e pensai fosse dovuta al fatto che non sentivo né vedevo Jaxon da quasi ventiquattro ore.

Non aveva mandato lui quei messaggi e se lo fossero probabilmente era una prova da superare. Io però ero davanti alla questura, avranno pensato che stavo andando a confessare.

Scossi la testa, ormai erano giorni che avevo sempre gli stessi pensieri e domande e sentivo il bisogno di sfogarmi su qualcosa. Lasciai la stanza e andai nella palestra dell'albergo per scaricare tutto lo stress. Feci una corsa lenta, tirai qualche pugno al sacco da boxe ed eseguii anche degli esercizi. Finii giusto in tempo per la cena così tornai in camera, feci una doccia e ordinai il pasto.

Di tanto in tanto controllavo il cellulare ma oltre ai messaggi dei miei amici e mia madre non c'erano novità su Jax.

Verso le dieci di sera scesi al bar per prendere una bottiglia d'acqua e mi ero fermata a chiacchierare con la barista del più e del meno.

Il tonfo assordante di qualcosa che andava a sbattere contro il vetro ci interruppe, con la coda dell'occhio vidi la receptionist andare all'entrata, come tutti i presenti nella sala.

Mi avvicinai anche io sentendo esclamazioni di preoccupazione, notando la receptionist tornare alla scrivania nel panico più totale e afferrare il cellulare.

«Serve un'ambulanza, urgente al Hilton Garden Inn, urgente!»

Mi feci spazio tra la gente, una parte dell'entrata di vetro era venuta giù poi vidi qualcosa di spaventoso.

Schizzi di sangue sul vetro rimasto in piedi, sul marciapiede una persona completamente irriconoscibile a causa delle brutte ferite e il sangue sui vestiti.

Quella felpa però mi sembrava di averla vista da qualche parte ma non riuscivo a ricordare dove.

«L'hanno lanciato dalla macchina, ho visto tutto» sentii un signore alla mia destra.

Il colpo al cuore fu tremendo quando ebbi la consapevolezza di ciò che stavo guardando, quella felpa insanguinata l'avevo comprata io per Jaxon. Scassai la gente e corsi fuori, lui era immobile e nessuno osava avvicinarsi.

«Qualcuno mi aiuti vi prego» gridai mentre cercavo di girarlo verso di me.

Scoppiai in un pianto isterico mentre dicevo il suo nome per farlo svegliare ma furono dei tentativi del tutto inutili.

«Jax ti prego non lasciarmi. Jax svegliati!»

An inconvenient truth || Dylan O'BrienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora