The truth

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«Fammi entrare, si muore di freddo» biascicò abbozzando un sorriso.

Annuii confusa per quella situazione e lo feci entrare, seguendolo in cucina. Aprì la bottiglia e afferrò un bicchiere dalla credenza, muovendosi come se conoscesse ogni angolo di quella casa. Dopodiché si versò una generosa dose di liquore e mi guardò.

«Ne vuoi un po'?» chiese prima di berne un sorso.

«No grazie» e lui in risposta annuì.

Incerta su come muovermi, rimasi immobile un lungo momento, poi infine, decisi di sedermi su una delle sedie vuote. Lo vidi esitare, passarsi distrattamente una mano tra i capelli e sospirare.

«So tutto Riley, io ho» s'interruppe e mi fissò. «Ho letto i documenti l'altro giorno o almeno una parte, quella dove sei stata rinchiusa nell'ospedale dove lavora Malia.»

Sentii le lacrime pungermi gli occhi. Con quella semplice affermazione fece crollare il muro che avevo costruito fra lui e la verità. Ci avevo provato con tutta me stessa a nascondergliela, ho rinunciato a lui per vederlo felice, avevo sepolto quell'amore che lentamente mi stava divorando dall'interno eppure non era bastato.

Avrei voluto dirgli qualcosa ma lui riprese a parlare.

«Tutti gli altri lo sapevano ma non hanno detto niente,» mi guardò, «nessuno di voi ha detto niente» esclamò con rabbia.

Il mio cuore era impazzito nel petto. Batteva e batteva, rendendomi impossibile respirare, per non parlare dello sforzo nel trattenere quelle odiose lacrime. Non riuscivo a pensare lucidamente a che cosa dirgli mentre lui sembrava così sicuro di sé.

«Io ti ho odiata Riley, ti ho odiata tanto per una cosa che non hai deciso tu» con uno scatto bevve tutto il contenuto del bicchiere, sbattendo poi il vetro sul tavolo.

Lo ascoltavo, sgomenta ed incapace di dire alcun che. Lui mi stava dicendo quanto io e tutti gli altri avessimo sempre saputo le vere ragioni per cui ero sparita, Malia compresa, ma vedere le cose dalla sua prospettiva era ancora più insopportabile. Persino la sua fidanzata, quella che pensava di amare, gli aveva nascosto la verità, il biglietto che gli scrissi.

Sapeva tutto.

«Ti ho trattata da schifo, ho creduto a tutto quello che lei mi diceva, ho rovinato tutto» confessò alla fine con un filo di voce, abbassando il capo.

Ci fu un lungo silenzio, durante il quale non gli staccai gli occhi di dosso, quasi ipnotizzata da lui. Dentro di me sapevo che era sincero ma ugualmente non sapevo che cosa fare, né cosa dire. Mi sembrava così fragile da potersi spezzare con una sola parola di troppo.

«Quando sei sparita... quando te ne sei andata e mi hai lasciato ti ho giustificata inizialmente, cioè sapevo che mi amavi e che non avresti fatto niente per ferirmi. Mi sentivo così forte, così bene averti al mio fianco, sentirti dire che mi amavi, mi sentivo invincibile eppure è bastata una sola cosa per distruggere tutto, per portarmi affondo. Sei sparita nel nulla portandoti la parte migliore di me, ormai non mi conosci più perché non sono più quello che hai conosciuto ma non ha importanza perché alla fine sono stato io a scegliere qualcuno che sapevo mi avrebbe spezzato il cuore. Per un periodo mi ha fatto impazzire, nel vero senso della parola, la tua assenza. Mi hai fatto sentire come se fosse colpa mia, come se avessi sbagliato io anche se in realtà non ho fatto altro che starti vicino e aiutarti perché, cazzo, ti ho amata da matti» confessò biascicando scuotendo la testa poi si versò dell'altro alcol.

Fu allora che riuscii a farmi coraggio per parlare.
«Basta bere Dylan, ti prego.»
Le sue dita si strinsero di più attorno al bicchiere, che rimase sul tavolo, pieno. Alzò lo sguardo e mi fissò.

An inconvenient truth || Dylan O'BrienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora