Jaden

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Mi strinsi nelle spalle e mi voltai nella sua direzione. Il mio cuore, da poco che si era calmato, aveva ripreso a battere nello stesso momento che i suoi occhi marroni avevano incrociato i miei.
«Sì, possiamo essere amici» dissi, firmando la mia condanna a morte.

Erano passate settimane dall'ultima volta che ci eravamo parlati e, nonostante lui non avesse cattive intenzioni, sapevo che era meglio starne lontana. Dovevo mantenere le distanze per provare a convivere meglio con me stessa, per soffocare quelle emozioni che si muovevano tutte intorno al cuore. Ma sapevo che, quello stesso giorno che ci eravamo parlati, non sarebbe stato facile.
La consapevolezza arrivò quando lo vidi sorridere tra sé e sé e non potei oppormi all'immotivata voglia di stare ancora un po' su quella panchina e farci ancora del male e bene allo stesso tempo.

Hazel era finalmente tornata per le vacanze di Pasqua e tutta la nostra compagnia era riunita intorno al tavolo del pub di Luke. Bevvi un altro sorso di birra, prima che la nostra amica continuasse il racconto.

«Nessuno a quella festa ci aveva provato con me, tutti ubriachi e nessuno aveva fatto caso al mio sforzo di sembrare attraente» disse Hazel facendoci ridere. «Ma poi è arrivato lui» ci stava raccontando del ragazzo del quale si era perdutamente innamorata, Bryce.

«Lui ci ha provato con te, ti ha fatta ubriacare e te lo sei portato a letto» scherzò Lydia, prendendo una patatina dalla ciotola in centrotavola.

«Non quella stessa sera, però sì, è andata più o meno così» replicò lei soddisfatta mentre Thomas alzò la mano per battere il cinque con la protagonista della storia.

«Così si fa» esclamò Dylan, buttandosi indietro sullo schienale della sedia.

Ci fu un momento di silenzio, nessuno parlava e sembrava che anche Hazel avesse finito le storie, così il gruppo iniziò a guardarsi uno ad uno.

Probabilmente Eric si accorse che non avevo aperto bocca per dire mezza parola perché rimase con lo sguardo fisso su di me.

Thomas lo precedette e avvicinò la sedia alla mia e mi costrinse ad alzare la testa per guardarlo.

«È successo qualcosa?» chiese, tuttavia, nel silenzio venutosi a creare nella compagnia, lo sentirono tutti.

«Sono solo stanca» replicai semplicemente.

«Non è per colpa di qualcuno o qualcosa che ti senti in questo modo, vero?» domandò e Dylan, probabilmente perché aveva sentito, si sentì preso in causa.

Sgranò gli occhi marroni e sul suo viso si dipinse un'espressione tra lo stupefatto e l'offeso. Aprì le braccia come in segno di resa e aspettò la mia risposta.

«Sto pensando ad Ares che è a casa da solo» risposi.

Dylan abbassò lo sguardo sullo schermo del suo cellulare e stava leggendo qualcosa di molto interessante perché aveva la fronte aggrottata.

«Va bene, se lo dici tu» disse Thomas, versandosi un altro po' di birra.

«Ragazzi io vado» esclamò all'improvviso Dylan, spegnendo il telefono e rimettendolo in tasca. «Thomas, ti occupi tu del conto? Ti ridò i soldi appena ci vediamo. Buona serata a tutti» prese la felpa e la indossò, dopodiché si affrettò a raggiungere l'uscita.

Stavo per fare l'ennesima cazzata ma lo volevo fare.

«Dylan, aspetta» lo chiamai ad alta voce per farmi sentire da lui.

Il ragazzo rallentò l'andatura fino al punto di fermarsi a pochi metri dalla porta. Si girò e mi aspettò, forse incuriosito da ciò che stava succedendo.

An inconvenient truth || Dylan O'BrienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora