Congratulations

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Il giorno prima del Ringraziamento fu per me molto difficile. Pulii la casa, lavai le finestre sporche e caricai l'ultima lavatrice. Stanca, mi passai la mano fra i capelli e afferrai il cesto di vestiti appena lavati pronti per essere stesi.

Ero sul terrazzo che dava sul retro del giardino quando, con la coda dell'occhio vidi una Jeep azzurra, simile a quella di Dylan.

I panni mi caddero dalla mano e avevo il cuore in gola. E se fosse stato proprio lui?

Tornai veloce dentro, scesi le scale e, ignorando Eric e Ares che erano in soggiorno, aprii la porta ma la macchina non c'era più. Me l'ero soltanto immaginata, il mio subconscio non era pronto a dimenticare quel ragazzo.

Ritornai alle faccende casalinghe un po' delusa da quello che era successo. Dovevo accettare il fatto che, anche se non volutamente, avevo ferito Dylan e lui non voleva più avere a che fare con me, giustamente.

Ero triste e arrabbiata ma anche se avessi provato a fare qualcosa, la situazione non sarebbe migliorata. Dovevo rassegnarmi.

Finii di stendere i panni poi tornai in lavanderia ma la lavatrice non era ancora pronta, perciò spensi la luce e mi diressi al piano di sopra per farmi una doccia.

Dopo essermi asciugata i capelli, scivolai nel letto comodo ma un rumore al piano di sotto mi fece trasalire sotto il piumino. Sapevo che le opzioni erano due, Ares aveva fatto cadere qualcosa oppure Eric aveva uno dei suoi attacchi di fame e provava a cucinare.

Quel ragazzo era molto importante per me, mi ascoltava quando avevo bisogno di sfogarmi, era sempre pronto ad aiutarmi e mi ricordava vagamente Thomas anche se non c'era una cosa ad accomunarli.

Avrei voluto scendere, stare con lui davanti al grande schermo della tv al plasma, parlare di cose molto stupide e senza senso ma non ero dell'umore. Volevo solo isolarmi completamente, restare da sola con i miei pensieri. Provai a trattenere le lacrime perché non volevo passare la notte a piangere, non volevo avere il viso distrutto dalla stanchezza nel giorno del Ringraziamento. Accesi la luce e afferrai la boccetta dei calmanti e ne mandai giù due. L'effetto non tardò ad arrivare, infatti dopo una manciata di minuti dopo la mia vista era offuscata e mi sentivo le gambe molto deboli. Raggiunsi il letto, buttandomici sopra, e mi coprii fin sopra la testa.

«Cosa significa che tu e Eric arrivate in ritardo?» fui costretta ad allontanare il cellulare dall'orecchio, per evitare che la voce squillante di mia madre mi perforasse i timpani.

«Mi sono svegliata adesso.»

«Ma è mezzogiorno, Riley» mi riprese mia madre, sospirando poi.

«Tra mezz'ora al massimo saremo là, te lo prometto» dissi, saltando dal letto e avviandomi verso il bagno.

«Lo spero» replicò mia madre, riattaccando subito dopo.

Mi lavai velocemente il viso ed i denti, mi pettinai i capelli e indossai un vestitino bianco con un paio di converse nere. Mi concessi cinque minuti davanti allo specchio per coprire le imperfezioni con un po' di fondotinta e scesi.

«Ho dato da mangiare ad Ares, l'ho portato a spasso e ho steso i panni» mi informò Eric mentre si sistemava i capelli allo specchio nel corridoio.

«Ti offrirò da bere» annunciai mentre tiravo su la zip della giacca.

«Ammetto che le tue mutande rosa mi hanno fatto eccitare un po'» disse, scoppiando a ridere.

Presi la borsa, il collare e la museruola di Ares e feci cenno al mio amico di uscire.

«Non eri mica gay?» domandai mentre lui accendeva il motore della macchina.

«Ma tu non sei molto femminile, penso sia per questo che mi ecciti» ribadì lui facendo spallucce.

«Non so se prenderlo come un complimento o come un'offesa» commentai io.

Rise e il resto del viaggio lo passammo in silenzio, lui attento alla strada, io attenta a non farmi stravolgere dalle mille emozioni nuove che provavo. Ansia, paura, insicurezza, delusione, tristezza, disprezzo, nostalgia, rimorso ed infine rassegnazione. Tutte queste mi avevano travolta all'improvviso, cosa che non mi era mai capitata. Un minuto prima stavo bene e scherzavo con il mio amico, il minuto seguente mi sentivo morire dentro. Provai a convincermi che fosse tutto normale, io ero normale e una persona tale le provava tutte.

Il silenzio regnava nell'auto finché non arrivammo davanti alla casa dei miei genitori con più di venti minuti di ritardo. Scendemmo dalla macchina, Eric con due bottiglie di vino rosso ed io con Ares intenta a mettergli la museruola e il collare, per evitare di spaventare qualcuno degli invitati al pranzo del Ringraziamento.

Ares mi trascinò di peso, contento di trovarsi a casa dei miei. Iniziò a graffiare la porta, lasciando le tracce delle sue unghie sul legno dipinto di nero, e non servì nemmeno suonare il campanello perché mio padre ci aveva già aperto.

Ci fece entrare e sin da subito sentimmo l'aria di festa in casa. Le risate, il mormorio di chi voleva conversare ma non disturbare gli altri, l'odore del cibo che mi investì le narici, la mia famiglia, mi mise di buon umore. Le emozioni negative di prima erano sparite e mi trovavo in uno stato di allegria dovuta alla soddisfazione di aver perdonato gli errori dei miei genitori e, dopo molto tempo, sembravamo una vera famiglia.

La mezz'ora che seguì fu realizzata di tentativi di moderare argomenti scomodi riguardanti me ma finalmente il cibo e il buon vino arrivarono e la curiosità degli amici dei miei riguardo a come passavo il tempo sparì.

Mangiammo e ogni tanto qualcuno faceva delle battute pessime alle quali, io e Eric, ci sforzammo di ridere. Adrian e Kaya si scambiavano degli sguardi strani e più di una volta mio fratello provò ad attirare l'attenzione degli invitati su di lui, ma fu fermato dalla fidanzata. Dopo qualche secondo lei acconsentì con un lieve cenno di capo e Adrian scattò in piedi.

«Scusate, vorrei dirvi una cosa» disse mio fratello, stringendo la mano della sua fidanzata.

Gli sguardi degli invitati, le cameriere incluse, si soffermarono su di lui in attesa che continuasse.

«Bene o male, tutti sapete che io e Kaya stiamo insieme da quasi due anni ormai» fece un sospiro profondo e tornò a guardare i nostri genitori. «Voi due state per diventare nonni» dichiarò tutto d'un fiato.

Mia madre aveva gli occhi lucidi, mio padre stava sorridendo e gli altri intorno al tavolo iniziarono ad applaudire. Cominciò il giro di congratulazioni, poi un brindisi al piccolo Hale in arrivo.

Passammo molto tempo a casa dei miei genitori e verso le quattro del pomeriggio, i posti vuoti al tavolo aumentavano.

Salutammo anche gli ultimi ospiti e nella sala da pranzo rimanemmo solo quelli della famiglia e Eric.

«Da quanto tempo lo sapete?» domandò mia madre mentre ci spostavamo in soggiorno.

«Da una settimana» replicò Kaya con un pizzico di imbarazzo.

«Presumo che non avete ancora deciso i nomi» commentò mio padre, assaggiando il bicchiere di vino.

«In realtà sì, spero sia una femmina» annunciò la ragazza. «La chiamerò Cassie» ed io spalancai la bocca.

«Perché?» chiesi.

«Il nome Cassie ha origini irlandesi, significa coraggio» chiarii Kaya, tornando a guardare il suo fidanzato.

«E tu sei d'accordo?» mi rivolsi ad Adrian.

«Mi va bene qualsiasi cosa basta che sia sana» scherzò lui facendo ridere Eric e mio padre.

An inconvenient truth || Dylan O'BrienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora