Dylan

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Era affascinante, questo non lo si poteva negare.

Continuavo a guardarlo per attimi che sembravano infiniti, sentendo le guance andarmi a fuoco. Non mi ero immaginata il nostro primo incontro in quel modo, nell'ingresso di casa mia. Se avessi saputo a chi avrei aperto la porta, avrei mandato Jaxon o non avrei aperto affatto, ma ormai ero lì e non potevo di certo darmela a gambe levate.

«Ciao, sono venuto per portare dei giochi per la play a Jaxon» annunciò a bassa voce.

Il panico prese possesso del mio corpo, il battito accelerò, le pupille si dilatarono mentre la cassa toracica si apriva al massimo consentendo ai miei poveri polmoni di prendere aria a sufficienza. Il tutto mentre lui non smetteva di fissarmi.

Riempiendo i polmoni al massimo e senza tenere conto delle centinaia di farfalle che mi svolazzavano all'interno dello stomaco, aprii lentamente le labbra disidratate per l'agitazione e sicura e determinata come mai parlai, o meglio, balbettai.

«Ciao, sì, entra» spinsi la porta leggermente per fargli spazio.

Percepivo il suo sguardo bruciarmi addosso e respirare era sempre più difficile. Lui entrò e lo accompagnai in soggiorno dove strinse la mano di Jaxon, sedendosi vicino a lui.

Tornai in camera ancora intontita, con due guance fin troppo rosse, un sorriso strambo che mi andava da una parte all'altra del volto e tante, troppe, emozioni da saper gestire. Mi sedetti sul letto per calmarmi, e ci vollero più di dieci minuti a realizzare il fatto che lui fosse a casa mia. Certo, non era venuto per me ma in ogni caso lui si trovava sul divano di casa mia, a pochi metri da me.

Avevo perso troppo tempo, cambiai nuovamente il maglione e tornai in soggiorno ma Dylan non c'era più in cambio i giochi della play erano vicino al dossier contenente tutti i miei documenti, stranamente in disordine. Ricordavo di averli riordinati dato che avevo finito di scrivere la tesina e di averli appoggiati sul tavolino senza averli, prendendomela con Jaxon che non aveva nemmeno prestato attenzione alle mie lamentele.

«Vado, ci vediamo dopo» esclamai a voce alta per farmi sentire, afferrai la borsa e le chiavi, accarezzai Ares per una manciata di secondi e uscii.

Il tempo di salire in macchina e impostare il navigatore con l'indirizzo dell'università per poi mettere in moto e uscire dal vialetto.

Le strade non erano intasate ma nemmeno vuote, il giusto equilibrio. Seguii la voce computerizzata che mi consigliava le vie da imboccare e dopo una ventina di minuti raggiunsi la destinazione.

Trovai la segreteria con meno difficoltà di quella che avevo immaginato. Mi feci dare tutti i moduli d'iscrizione e diversi depliant e andai in biblioteca per avere un po' di silenzio per concentrarmi. Decisi di cominciare facendo una rigida selezione tra i corsi più efficaci, ma ancora nessuna illuminazione. Fissavo il mio foglio del piano di studi vuoto cercando una qualche vana ispirazione per riempirlo con qualche nome di un qualche corso, ma ancora nulla.

Dopo circa due ore di ripensamenti e ricerche varie, riuscii a buttare giù una bozza del mio piano di studi e tornai in segreteria.

«Per quale motivo ha deciso di allontanarsi dagli studi?» domandò la signora dietro al bancone.

«Problemi in famiglia» spiegai, mostrandole i documenti che mi ero portata dietro.

Lei li lesse attentamente e iniziò a compilare un modulo al computer, si sentiva il rumore dei tasti.

«Può metterli via» mi consegnò i fogli poi tornò a guardare nuovamente lo schermo. «Ora sta frequentando i corsi online a quanto mi risulta» aggiunse pochi attimi dopo.

«Sì, tra quattro giorni ho due esami per recuperare il primo anno» risposi chiudendo il dossier.

Dopo diverse firme finalmente uscii dalla segreteria e tornai a casa.

Erano passati due giorni da quando mi ero iscritta al college, dando finalmente vita al sogno dei miei genitori. Era un sabato sera tranquillo, Jaxon e Ares erano andati a dormire mentre io guardava distratta il giardino, al di là dei vetri, mentre mescolava lentamente lo zucchero nella tazza di tè. Era notte fonda, circa l'una, ma il giardino era ben illuminato dall'impianto elettrico.

Nonostante la stanchezza accumulata per le ore di studio e la correzione della tesina, non ero riuscita a prendere sonno. Sorseggiai il tè poi mi alzai e andai in cucina per poggiare la tazza nel lavandino. Trasalì quando sentii qualcuno bussare alla porta.

«Riley, sono io, apri!»

Quella voce che avrei riconosciuto fra un milione.

Non me lo feci ripetere una seconda volta, raggiunsi a passi svelti la porta, girai la chiave e aprii.

«Cosa ci fai qui? È tardi» sussurrai, stringendomi nella felpa.

Vidi Dylan fermo sull'uscio, una mano appoggiata allo stipite, nell'altra stringeva una bottiglia, gli occhi puntati su di me. Era visibilmente ubriaco, per non parlare del suo alito che emanava un odore di un miscuglio di diversi cocktail.

An inconvenient truth || Dylan O'BrienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora