16. Three years ago: The Wings Tour

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La luce del riflettore s'infranse sul suo viso, accecandolo per un istante e impedendogli di vedere bene il pubblico. Jimin portò la mano libera dal microfono davanti agli occhi, facendosi scudo da quel riflesso accecante. Durò pochi attimi, poi riuscì a scorgere di nuovo i fans più prossimi al palco, i loro sorrisi; la grande massa in movimento sugli spalti, tutti che urlavano i loro nomi mentre i BTS ringraziavano e salutavano Los Angeles dopo la fine del concerto. Un concerto che Jimin avrebbe ricordato come il più difficile.

Una settimana prima della partenza, il gruppo era stato vittima di pesanti minacce attraverso i social network, minacce di... morte. Solo pensare la parola faceva rivoltare le viscere. Da quel momento, Jimin viveva nel terrore, così come tutti, anche se gli altri riuscivano a mascherarlo meglio di lui.

Era stato fondamentalmente un ingenuo, pensando che se non avessero arrecato disturbo a nessuno e mantenuto un profilo positivo, sarebbe stato più facile farsi accettare dal pubblico straniero, perfino dai detrattori. Aveva messo in bagaglio critiche e disprezzo, ma mai in quantità così vasta da eccedere a quei livelli di pazzia. Perché persone che scrivevano di volerti morto potevano essere definiti solo pazzi.

La produzione si era mossa per scoprire chi fossero. La polizia aveva dei nomi: i colpevoli non si erano neanche premurarti di nascondersi, i profili social accessibili a tutti come se ne andassero fieri. Mitomani, ecco cos'erano.

Nonostante i Bangtan fossero stati rassicurati in più e più modi molte volte, la paura di partire per gli Stati Uniti c'era stata, poiché era proprio là, a L.A, che quei folli promettevano di venire a prenderli.

Surreale, come vivere in un film.

I ragazzi ne avevano parlato a lungo, quasi prendendo in considerazione l'idea di saltare la tappa o posticiparla. Ma volevano davvero deludere le centinaia di Army statunitensi? No. Non sarebbe stato giusto. Non sarebbe stato da Bangtan Sonyeondan, i Boy Scout Antiproiettile. Così erano partiti, atterrati e si erano esibiti con successo.

Quella sera, il gruppo aveva avuto due pensieri costanti: fare del proprio meglio e vegliare l'uno sull'altro.

Jimin era stato preda di un tremore interno per tutta la durata del concerto, il terrore messo a tacere solo per non impensierire gli amici; non se lo meritavano e lui doveva imparare ad essere forte, smetterla con quella sua dannata emotività.

Una volta solo nella sua stanza, i nervi diedero il ben venuto al sollievo, grati della doccia calda che lo ristorò prima di raggiungere la camera di Hoseok, dove avevano organizzato come al solito una piccola festa. Niente spumante né alcolici di alcun tipo però, il giorno dopo avevano un altro show e il mattino doveva incontrarli svegli e vigili, non con i sintomi di un post sbornia. Brindarono con coca cola e sprite, senza fare troppo caos.

Provò a godersi il momento di quiete, i sorrisi dei compagni leggermente più rilassati ma non sufficienti a calmarlo. La sua mente... oh, la mente, Jimin, non riusciva a spegnerla con nulla. C'era solo un modo in cui riusciva ad allontanare tutti i pensieri, anzi, due modi. La danza era il primo: ballare fino ad essere così stanco da potersi addormentare anche sdraiato sul pavimento della palestra; il secondo era bere, bere tanto, fino a non avvertire più le preoccupazioni.

Rimase con i ragazzi giusto una mezz'oretta, poi disse che era stanco e voleva andare a dormire. Lasciò la stanza di Hoseok ma non per andare nella propria. Scese scese di un piano, diretto da Jigaemae, uno dei manager. Lui e Jimin erano entrati in confidenza fin dal primo giorno in cui si erano conosciuti. Jigaemae era dotato di una buona parlantina, la battuta pronta, e il suo leggero sarcasmo divertiva Jimin.

"Mi presti le chiavi della tua auto? Ho voglia di andare a fare un giro".

"Non ti posso dare la macchina, Jimin, lo sai".

I'm Your Angel (Vmin)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora