Erano state le vacanze natalizie più incredibili di sempre! Passavo buona parte della giornata in famiglia, dedicando del tempo ai miei genitori, a mia sorella e alla mia migliore amica; ma verso il crepuscolo spegnevo qualunque tipo di pensiero e mi abbandonavo tra le braccia di Chan.
Mi aveva portata al cinema, su una pista di pattinaggio, ai ristoranti più svariati, al parco e in spiaggia a guardare il tramonto. Non avevamo definito il nostro rapporto, eppure ci comportavamo come se fossimo stati da sempre insieme, come se non ci fossimo conosciuti solamente un mese e mezzo prima. Sapevo tutto di lui, e lui sapeva tutto di me. Non avevo lasciato alcuno spiraglio a niente e a nessuno per entrare nella nostra magica bolla, e per tutto quel tempo i pensieri su Dimitri, sulla Bielorussia o sull'Università non mi avevano minimamente sfiorata.
Baciarlo era diventato il mio passatempo preferito; non riuscivo mai a staccarmi definitivamente dalle sue labbra morbide, e la passione che ci travolgeva ogni volta che eravamo insieme era inimmaginabile. Aggrappandomi a Chan avevo permesso al mio cuore di guarire e di andare avanti. Le sofferenze passate ormai non mi tormentavano più, ed ero arrivata alla conclusione che ciò che provavo quando stavo con Channarong, non lo avevo provato con nessun altro.
In quel momento eravamo avvinghiati sui sedili posteri della sua auto, completamente nudi e appagati. La sua testa era poggiata sul mio petto, teneva gli occhi chiusi e aveva il respiro regolare. Io stavo disegnando cerchi immaginari sulle sue guance coperte da un sottile strato di barba scura, guidando poi l'indice verso il ponte dritto del suo naso, e poi sulle labbra leggermente schiuse. Era la perfetta immagine della pace.
«Parlami del tuo ex» disse all'improvviso e sottovoce.
«Vuoi rovinare questo momento così bello?» Gli chiesi confusa e lui aumentò la stretta del suo braccio attorno alla mia vita. Le nostre gambe erano intrecciate lungo i sedili; avevo il mal di schiena, e probabilmente anche lui, ma non ci importava. Nella scomodità di quell'abbraccio stavamo comodi.
«Niente potrà rovinare questo momento così bello» sussurrò in tutta risposta e lasciò un delicato e umido bacio sul mio seno scoperto. «Ma voglio sapere tutto del ragazzo che ti ha tenuta tra le braccia nello stesso modo in cui ti sto tenendo anche io.»
«Ha davvero importanza?»
«Per me sì.»
Sospirai in segno di disappunto. «Sei geloso?»
«Forse. Voglio semplicemente sapere come diavolo abbia fatto a lasciare andare una persona come te.» Adesso Chan mi guardava con occhi pieni di dolcezza.
«Non ero abbastanza, tutto qui. Ha trovato una persona migliore.» Ripensare al tradimento mi aveva angosciata, e anche se ero convinta di non essere più innamorata del mio ex, faceva male comunque.
Chan mi scrutò con attenzione, passando con tenerezza una mano lungo la mia coscia. «Per me sei abbastanza, e forse anche di più.»
«Non dire sciocchezze» sorrisi guardando fuori dal finestrino appannato. Era buio pesto e un silenzio assordante regnava in quel luogo deserto.
«Dico sul serio» precisò e si mise seduto, con le mie gambe sulle sue ginocchia. Io ero con la schiena poggiata contro il finestrino, sentivo degli spifferi di aria fredda penetrare dallo sportello e raggiungere le ossa della mia schiena. «La prima volta che ti ho vista, in quel negozio di chitarre, non avrei mai potuto immaginare che eri così dannatamente complicata e incasinata. Vivi in un mondo tutto tuo, e se fossi stato più razionale non mi sarei mai avvicinato a te.»
«E questa dovrebbe essere una dichiarazione romantica?» Gli chiesi offesa. Mi prendeva forse in giro?
«Sì, perché ti amo.» Lo disse con una tale semplicità e naturalezza che a primo impatto non capii nemmeno le sue parole. Ma poi il mio cuore si era quasi fermato. «Non mi era mai capitato di conoscere qualcuno a trecentosessanta gradi, e tu sei un completo disastro, Yuliya. Sei un disastro perché non ti rendi conto di quanto effettivamente vali e di quanto sia importante ciò che pensi. Sei per pochi, forse per nessuno, ma io ti voglio. Ti voglio così tanto che mi sembra di impazzire, e stento ancora a crederci al fatto che ora sei con me, con me e con nessun altro.»
«Ma che cosa stai dicendo, Chan?» Avevo gli occhi lucidi e la bocca asciutta. Non riuscivo a comprendere come qualcuno potesse provare cose del genere nei miei confronti.
«Ti sto dicendo che ti amo, che sono pazzo di te, che sono un povero disperato. E ora tocca a te confessarmi i tuoi sentimenti. Dopo quasi due mesi, non credi che sia arrivata l'ora?»
Avevo la tachicardia e percepivo le vertigini. Lo sguardo di Chan era carico di desiderio, stava attendendo con trepidazione la mia risposta. Ma io non avevo una risposta...
«Io- io-» le parole non volevano uscire dalla bocca.
«Yuliya, parlami» disse lui portando una mano sulla mia guancia. Mi accarezzò piano, continuando ad aspettare, ma poi capì che non avrebbe ottenuto la risposta che voleva, perché delle lacrime cominciarono a bagnare la mia pelle. «Che cos'hai?»
Scossi il capo abbassando lo sguardo. Tirai su col naso e iniziai a torturarmi le pellicine dei pollici in segno di ansia. La mia mente si era rabbuiata.
Chan non mollò e tentò di alzare il mio sguardo, poggiando le dita sotto al mio mento, ma io di nuovo scossi il capo, non avendo il coraggio di guardarlo negli occhi. Allora lui sbuffò e si allontanò, con la coda dell'occhio lo vidi rivolgere l'attenzione fuori dal finestrino. Eravamo ancora nudi e vulnerabili, nessuno dei due parlò più per un bel po'.
Più tardi, ci rivestimmo in silenzio, e io sapevo di aver appena rovinato la splendida giornata, e forse anche il nostro forte legame. Qualcosa si era spezzato, potevo percepirlo dal modo in cui Chan ce la metteva tutta pur di non guardarmi e rivolgermi la parola. Mi accompagnò a casa, erano quasi le due di notte.
«Lo sai anche perché sei un disastro?» Mi aveva chiesto rompendo il silenzio tra di noi. Io ero sul punto di scendere, con la mano poggiata sulla maniglia dell'auto, ma la sua voce decisa mi aveva fatta voltare di nuovo nella sua direzione. Mi stava guardando in modo intenso, potevo scorgere una scintilla di risentimento nei suoi occhi, e una punta di delusione nella voce.
«Perché non so amare?» Azzardai la risposta chiaramente infastidita. Sapevo che stava per elencare nuovamente i miei difetti. Lui scosse il capo.
«No, perché sei egoista, e perché preferisci vivere nella solitudine. Ti lamenti della felicità altrui ma non fai nulla per esserlo a tua volta. Fingi di essere forte, eppure sei sul punto di crollare e romperti in mille pezzi. Ma continui a non cadere, Yuliya, e sai perché? Perché preferisci sacrificare i sentimenti degli altri, piuttosto che mettere a nudo i tuoi.»
Le sue parole mi erano entrate fin sotto la pelle, avevano sfiorato le mie ossa e ogni fibra del corpo. Le cellule erano impazzite al loro passaggio, e quando avevano raggiunto le pareti del mio cuore, aveva iniziato a nevicare. Nevicava sia dentro che fuori. Potevo scorgere i fiocchi di neve poggiarsi sul parabrezza, così come si stavano adagiando dolcemente sul mio cuore.
«Non ti voglio vedere mai più» gli dissi con decisione e poi scesi dalla macchina. Era finita.
STAI LEGGENDO
L'altra faccia della Luna
General Fiction[COMPLETA] ✔️ Yuliya è una studentessa di lettere moderne, vive a Napoli da sola e conduce un'esistenza piuttosto malinconica e solitaria. Ha pochi amici, tanta voglia di fuggire altrove e un passato burrascoso che non la lascia in pace. Un giorno i...