Capitolo Undici

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Scrissi una lettera sfacciata e per nulla amichevole. Non c'erano sentimenti d'affetto da parte mia, non dopo tutto quello che avevo passato. Continuavo a chiedermi se non fosse tutto uno scherzo, e anche dopo aver spedito la lettera, mi torturava il pensiero che fosse tutto frutto della mia fervida immaginazione. Non era inusuale per me viaggiare con la mente, convincermi dell'esistenza di qualcosa. Ma sentivo nel mio cuore che quella lettera arrivata dalla Bielorussia fosse reale, e che stava per cambiare radicalmente la mia vita.

Mi chiedevo che aspetto avesse mio fratello. Per buona parte della vita ero vissuta come una figlia unica, tra me e me, anche se sapevo della sua esistenza. E anche dopo l'adozione, dopo essermi affezionata a Daria, mi sembrava di vagare per il mondo con un pezzo mancante di me stessa. Invece eccomi qua, ad aspettare un fratello di sangue che, permettetemi di dirlo, consideravo persino morto. Avevo paura. Paura di rimanere delusa, paura che tutto ciò si rivelasse uno scherzo, paura di non piacergli, paura di affrontare un viaggio verso l'ignoto, paura di rivedere mio padre in fin di vita.

La mia casa ormai era l'Italia, eppure un pezzo di me era rimasto a Lida, in quella struttura imponente e chiassosa che era l'orfanotrofio, tra le distese verdi e gli strati infiniti di neve soffice, tra l'arrivo felice della primavera e dei bucaneve, tra le foreste oscure e i laghi freddi, tra le mura consumate del castello della città, tra le strade pulite del centro e quelle malandate della periferia, tra la gente ricca e quella povera, tra il sangue e le lacrime, tra le risate e le urla. Un pezzo di me era ancora lì.

Più ci provavo più mi rendevo conto che mai e poi mai avrei potuto dimenticare quel luogo e la sensazione di essere sola al mondo che avevo provato per anni.

Finalmente dopo giorni e giorni raccontai l'intera storia alla mia migliore amica, Silvia. Le avevo mandato una decina di audio vocali della durata di due/tre minuti, e la sua prima risposta fu un susseguirsi di puntini sospensivi. Era rimasta scioccata, probabilmente più di quanto lo fossi stata io, e aveva la sensazione che quella storia non promettesse nulla di buona. C'erano parecchi punti interrogativi, e conoscendo il suo carattere piuttosto analitico, me li aveva elencati tutti: come faceva a sapere dove mi trovavo? Davvero mi aveva cercata? Perché ci aveva messo vent'anni? Avevo davvero intenzione di partire? E come l'avrei spiegato ai miei genitori?

Ne riparlammo più tardi al telefono.

«È come se qualcuno cercasse di mandarmi in missione, e mi sento come se questo viaggio potesse cambiarmi e farmi comprendere finalmente determinate cose.» Le dissi camminando avanti e indietro per la stanza, pestando ogni singola mattonella senza far uscire il piede dalla linea.

«Lo sai che io sono un po' scettica su certe cose, e penso che ci siano troppi aspetti su cui soffermarsi e riflettere. Tu vuoi andare da sola in Bielorussia ad incontrare un tizio che non hai mai visto in vita tua? Solo perché ti ha detto di essere tuo fratello tu gli credi? È una cosa da pazzi affrontare questo viaggio. Non puoi fidarti.» Non aveva torti, eppure il mio cuore era già in quella direzione. Sentivo il mio corpo essere attratto da qualcosa di distante, qualcosa a cui non potevo rinunciare. «E di sicuro non puoi partire senza dirlo ai tuoi genitori. Yuliya, ti prego, non lo fare.»

Ero delusa dalle sue parole, e non perché aveva rovinato un momento di eccitazione per quella avventura, ma perché sapevo perfettamente che era nella ragione. Quel viaggio non poteva essere affrontato, non da sola, non in segreto.

«Che cosa suggerisci di fare?»

«Non ne ho idea. Forse ti conviene parlarne con i tuoi genitori, prima di tutto.»

«La prenderanno malissimo, già lo so.»

«Ma devi dirglielo lo stesso» insisté Silvia e io annuii concordando. Ci fu qualche istante di silenzio, ma poi sentii la mia amica sospirare debolmente dall'altro capo del telefono. «Ne hai parlato con Chan?»

Le avevo raccontato di Channarong già da un po', era contenta che avessi incontrato qualcuno, ma ovviamente rimaneva un po' scettica anche su quell'argomento. Mi ripeteva spesso di stare attenta e di non fidarmi subito delle persone, proprio perché sapeva che ci ero cascata ormai fin troppe volte. Le avevo parlato molto bene di questo ragazzo, effettivamente mi trovavo a mio agio con lui, mi piaceva passarci il tempo e averlo vicino. Tuttavia, la sua migliore amica rimaneva ancora un gran problema da risolvere.

«Ancora no» risposi titubante.

«Forse lui può consigliarti meglio, dopotutto ha vissuto più o meno la tua stessa situazione.»

«Ti aggiornerò su qualsiasi mia decisione. Grazie per la chiacchierata.» La salutai con un bacio rivolto allo schermo del cellulare e poi staccai la chiamata. Ora avevo più dubbi di prima, e tutti abbastanza logici. Continuavo a non sapere che diavolo fare.

Nel frattempo, avevo fatto il biglietto del treno per tornare in Calabria durante le vacanze. Le lezioni erano ufficialmente terminate e mancavano pochi giorni a Natale. Quell'anno, lo spirito natalizio non era lo stesso. Nonostante amavo alla follia le festività del periodo e l'aria magica che mi circondava durante l'intero mese di dicembre, non riuscivo a pensare a nient'altro che non fossero Kirill e Dimitri. Entrambi mi stavano aspettando in Bielorussia, e dopo la mia risposta alla prima lettera, non avevo ricevuto nient'altro. Piano piano cominciavo ad abbandonarmi all'idea che forse si era trattato davvero di uno scherzo, e il giorno prima di partire per la Calabria, quando ormai mancavano cinque giorni al Natale, ne ero certa.

Finché quel pomeriggio,mentre terminavo di sistemare la valigia, sentii il campanello di casa suonare.Domandandomi chi potesse essere andai ad aprire, trovandomi davanti la figuradi un giovane uomo, probabilmente sulla trentina. Mi era bastato guardarlonegli occhi per capire chi fosse, trattenni il fiato senza nemmenoaccorgermene, e sentii le gambe cedere.

L'altra faccia della LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora