Capitolo Venticinque

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Quando arrivai all'ospedale, pagando una cifra assurda al tassista, sentivo il battito del cuore accelerato rimbombarmi nelle orecchie. Ero spaventata, ma era un tipo di paura che mi sembrava di star sperimentando per la prima volta. Non avevo idea del perché Luna, la sorella di Chan, avesse chiamato proprio me. Doveva aveva preso il mio numero? Era stato proprio Chan a darglielo? Quindi stava relativamente bene? Forse non era molto grave, visto che probabilmente aveva chiesto lui stesso alla sorella di chiamarmi. Ma perché chiamare me? Non ci parlavamo da due settimane, o anche di più, era assurdo che volesse vedermi proprio ora, su un letto d'ospedale.

Richiamai il numero di Luna, dicendole che ero arrivata ma non sapevo come proseguire. L'ospedale era davvero grande, il pronto soccorso gremito di gente, ci si poteva perdere facilmente. Mi accostai al banco delle accettazioni, proprio dove Luna mi aveva detto di aspettarla, e cercai di rallentare il battito del cuore. Anche se credevo che Chan stesse bene, avevo comunque una tremenda ansia che qualcosa di brutto potesse essergli capitato.

Vidi venirmi incontro una ragazza molto alta, dal corpo magro, fasciato dai jeans attillati e un dolcevita nero. Non mi soffermai molto sulla sua figura, che avevo notato essere praticamente perfetta, con curve morbide ma al posto giusto, e la guardai, invece, direttamente negli occhi. Capii in quel momento che Chan non stava affatto bene.

«Yuliya?» Chiamò il mio nome proprio come aveva fatto circa un'ora fa al telefono.

«Sei Luna, giusto? Che sta succedendo?» Andai dritta al punto. Ormai la paura aveva invaso ogni fibra e cellula del mio corpo.

La ragazza incrociò le braccia al petto, avvicinandosi di più a me. Notai i suoi occhi azzurri chiarissimi, in perfetta sintonia con il naso piccolo e le labbra a cuore. Aveva uno sguardo triste e stanco, ma appariva comunque in una forma decisamente migliore della mia. I capelli biondi, leggermente scomposti, le scendevano in lunghe ciocche sulle spalle e sul petto.

«Mio fratello ha avuto un brutto incidente con la moto. Non so il perché sia partito così all'improvviso, senza dire niente a nessuno. Era diretto proprio qui, a Napoli. Credo che il motivo sia tu.»

«Io? Perché proprio io?» Chiesi confusa, ma poi scossi la testa. «Non ha importanza adesso, lui come sta?»

Luna sospirò. Notai che probabilmente era sulla trentina. «È stato sottoposto a un delicato intervento al cervello. Non ho capito molto, non sono un chirurgo, e faccio fatica a pronunciare certi paroloni medici, ma pare che abbia subito una craniotomia. Il neurochirurgo ha parlato di un ematoma subdurale.»

Fortunatamente avevo compreso la diagnosi e il tipo di intervento; Grey's Anatomy era la mia serie tv preferita. «Ora è cosciente?»

«Purtroppo le sue condizioni erano gravissime quando è arrivato al pronto soccorso» rispose Luna, con la voce leggermente incrinata a causa dell'emozione forte. «È entrato in sala operatoria solo dopo alcune ore, e già in coma.»

Era come se qualcuno mi avesse versato addosso un intero secchio di acqua ghiacciata. Stavo per dare di matto.

«L'ematoma si era espanso molto, ma l'intervento pare sia andato bene. Purtroppo, continua a rimanere in coma.» Continuò Luna rigirandosi compulsivamente le mani.

«Il neurochirurgo che cosa ha detto? Quando si sveglierà?»

«Non si può stabilire con certezza il suo risveglio. Succederà quando dovrà succedere.» Luna era scoppiata a piangere, e io rimanevo inchiodata al mio posto, come un massiccio pezzo di ghiaccio.

«È assurdo» dissi portando le mani sul viso. Tremavo tutta. «Posso vederlo?»

Luna annuii e mi accompagnò volentieri in terapia intensiva. Teoricamente non potevo entrarci, ma la specializzanda che si occupava del caso era una sua amica; perciò, le aveva fatto un enorme favore, anche se avevo a disposizione una manciata di minuti.

Il reparto era molto grande e aperto; ogni divisione aveva lo spazio necessario per attrezzature di vario tipo. Quando raggiunsi la porta a vetro scorrevole che mi separava dal letto di Chan, per un istante mi sembrò di non farcela. Avevo come la sensazione di rivivere quel momento già vissuto il giorno prima, quando cercavo di avvicinarmi al letto di Dimitri. Ma quello non era Dimitri.

Il corpo immobile di Chan era attorniato da macchine e apparecchiature necessarie per mantenere in equilibrio le sue funzioni vitali. Non sapevo dove guardare esattamente; c'erano tanti fili e tubicini, luci forti e infiniti numeri sui monitor. Chan era avvolto nelle lenzuola bianche, e anche tutto l'ambiente era bianco, anonimo. Quella visione mi metteva tanta tristezza.

Il letto era posizionato praticamente al centro della camera, in modo tale che potesse essere accessibile sui quattro lati. Aveva le stesse sbarre rimovibili e le ruote che vedevo in televisione, mi sembrava di essere su un set di qualche film incentrato sulla medicina. Come spesso mi accadeva, osservavo la scena dall'esterno, non riuscendo a realizzarla completamente. La realtà mi faceva paura.

Al fianco del letto c'era un ventilatore meccanico, una macchina che aiutava Chan a respirare attraverso un tubo orotracheale. Altri tubicini si connettevano al suo corpo, collegate direttamente a delle pompe infusionali con lo scopo di somministrare liquidi, come i farmaci e alimenti.

L'intero scenario era duro da digerire. Avevo la nausea, battiti accelerati e tremore in tutto il corpo. Sentii la presenza di Luna al mio fianco, stava piangendo, e di colpo iniziai a singhiozzare anche io. La ragazza mi invitò ad entrare nella camera, dopo aver ottenuto il via libera dalla sua amica specializzanda, la quale controllava ansiosa che non arrivasse un suo superiore.

Mi feci forza ed entrai. A passi lenti e controllati raggiunsi il letto, sentendo dei suoni fastidiosi provenire dai macchinari. Su un monitor vicino erano visualizzati i parametri vitali di Chan, ma di quei numeri non capivo proprio nulla.

«Che hai combinato? Stupido che non sei altro.» Piansi forte al suo fianco, rimanendo stupita di poter far uscire tutte quelle lacrime per un ragazzo che conoscevo appena.

Ma poi realizzai che non era così, Chan non era solo un ragazzo che conoscevo appena, era molto, molto di più. Non ero stata in grado di rivelargli i miei sentimenti perché ero rimasta spaventata dal suo "ti amo" improvviso, ma ciò che provavo nei suoi confronti era addirittura superiore al banale "ti amo". Avevo sempre pensato che quelle due parole non riuscissero davvero a racchiudere il fiume in piena che erano i sentimenti, e per Chan provavo delle cose indescrivibili.

Guardai il suo viso tumefatto, irriconoscibile, i ricci nascosti sotto le garze che fasciavano la testa, il tubo spaventoso che usciva dalla bocca. Lo guardai e pensai che quello lì sdraiato, in coma, probabilmente appeso a un filo tra la vita e la morte, era esattamente colui che mi aveva fatto riscoprire la bellezza della vita. Ci avevo messo un po' a capirlo, forse non volevo nemmeno farlo, eppure ora sapevo che era sempre stato lui, fin dal primo istante. Quando aveva preso la mia mano per formare un accordo sulla tastiera della chitarra, fu proprio allora che le nostre vite si erano intrecciate, ingarbugliate, fino a fondersi l'una nell'altra. Le corde della sua anima si erano attorcigliate a quelle della mia.

Era incredibile come il detto "capisci l'importanza delle cose solo quando le hai perse" fosse talmente vero! E nonostante lo avessi sperimentato più e più volte, quel momento con Chan era del tutto diverso. Lo guardavo lottare tra la vita e la morte, e nel profondo del cuore speravo che riuscisse a salvarsi, che riuscisse a tornare da me, perché avevo un bisogno urgente di dirgli quelle due parole così stupide quanto importanti.

Mi avvicinai al suo orecchio, tenendo gli occhi chiusi e asciugando le guance bagnate dalle lacrime. «Hai detto che ognuno di noi è una luna, ha una parte nascosta, una faccia che non mostra a nessuno. Avevi ragioni, Chan. Hai sempre avuto ragione su di me, e ora saresti di sicuro fiero dei miei progetti per il futuro, della nuova versione di me stessa. Mi hai spinta controcorrente per insegnarmi a lottare, e sappi che ce l'ho fatta. Ho affrontato i miei fantasmi e sono sopravvissuta. Perciò vivi anche tu, Chan, vivi e torna da me. Ho bisogno di ringraziarti. Ho bisogno di te, perché ho finalmente scoperto l'altra faccia della luna, e quella parte sei tu.»

Le parole sussurrate erano cariche di tenerezza ma anche di tanto dolore. Continuavo a tenere gli occhi chiusi, le lacrime sgorgavano come un fiume in piena, rigando le guance e gocciolando da sotto il mento.

«Ormai è troppo tardi, Chan. Ti ho scoperto, e non voglio lasciarti andare per nessuna ragione al mondo. Sei nei guai.» Sorrisi contro il suo viso e gli lasciai un leggero bacio sulla guancia. Emanava un forte odore di medicinali, ma quel contatto mi aveva mandato mille scosse elettriche lungo il corpo. Capii di essere innamorata. 

L'altra faccia della LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora