Capitolo Trentatre

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Più tardi, eravamo calmi e rilassati. Avevamo deciso di mettere da parte le asce da guerra e trovare una soluzione a quel rapporto tormentato. Ormai entrambi avevamo capito di amarci, e sembrava che niente potesse più metterci i bastoni fra le ruote.

Mi aveva portata nella sua cameretta, mostrandomi ogni pezzo del puzzle che era la sua vita. In quella stanza potevo percepire la sua vulnerabilità, potevo conoscere i dettagli della sua infanzia, potevo scorgere le pareti impregnate di sogni e speranze. Era il posto dove lui programmava la sua vita, dove si dedicava a sé stesso e dove componeva la sua musica. Sdraiata al suo fianco, su quel letto fin troppo piccolo per due persone, capii di appartenere finalmente al suo mondo, proprio come lui apparteneva al mio.

«Sono andata in Bielorussia» gli confessai dopo che la tempesta sopra di noi aveva lasciato spazio a un bellissimo arcobaleno. Guardavo il soffitto, e dopo la mia affermazione, con la coda dell'occhio, vidi Chan girarsi di scatto verso di me.

«Dici davvero?» Chiese per conferma e io annuii. «Hai visto tuo padre?»

Chiusi per un istante gli occhi, riportando la memoria a quel fatidico giorno. «Sai, fin da quando ero piccola, fantasticavo su di lui ogni notte. Lo immaginavo correre da me e riportarmi a casa. Volevo davvero rivederlo e ricostruire la nostra famiglia.» Chan mi ascoltava in silenzio, stringendo forte la mia mano. «Ancora non capivo la gravità delle sue azioni, seppur sapessi come erano andate le cose il giorno in cui morì la mamma. Forse mi rifiutavo di credere che lui sia stato capace di una cosa così terribile!»

«È comprensibile, Yuliya. Lui era tutto ciò che avevi.»

«Già, comunque sia, per fortuna ho aperto gli occhi. Lui era il male, capisci? E io non potevo continuare a sognare il male, dovevo estirparlo dai miei pensieri e andare avanti» dissi con il cuore in gola. Sapevo che Chan stava ancora aspettando la risposta alla sua domanda, così finalmente gli risposi. «Ho visto mio padre, perché era sempre stato il mio desiderio, ma non gli ho dato la soddisfazione di vedere me.»

«Che cosa significa esattamente?» Chiese Chan sollevandosi sui gomiti per guardarmi meglio. Io feci lo stesso.

«Stava dormendo quando sono arrivata. In casa c'era mio fratello, mi ha fatta entrare e abbiamo parlato molto, ma non ho avuto il coraggio di farmi vedere da Dimitri. Sembrava morto, Chan. L'idea di guardarlo negli occhi mi terrorizzava.»

«Rimpianti?»

«No», risposi d'impulso. «Ho fatto tutto ciò che era in mio potere e tutto ciò che il cuore chiedeva. Sono tornata nella mia città natale, ho rivisto i luoghi dove sono cresciuta, ho conosciuto mio fratello. E ho detto addio a Dimitri, magari non direttamente, ma il solo guardarlo da lontano mi aveva ridato la pace che cercavo da tempo.»

Gli angoli della bocca di Chan si sollevarono, potevo leggere nei suoi occhi che era fiero di me. «Sei incredibile, Yuliya.»

«Lo pensi davvero?» Chiesi con dolcezza, come se fossi una bambina. «L'ultima volta hai detto che sono egoista e che mi approfitto dei sentimenti altrui per non soffrire io stessa.»

Chan trattenne una risata. «Ci siamo feriti entrambi, ma non volevo che accadesse, credimi. Perderti è stata la cosa più stupida che avessi mai fatto.»

«Ma ora sono qui» gli dissi avvicinando il mio viso al suo, avevo un disperato bisogno di baciarlo. «Non andrò più via.»

«No, non lo farai, perché io non lo permetterò.»

Mi baciò con foga, poggiando le sue labbra morbide sulle mie con forza e desiderio. Portai subito le braccia attorno al suo collo, avvicinando i nostri corpi impazienti. Quel contatto mi era mancato talmente tanto che ora non riuscivo a respirare, e provavo una felicità tale da poter esplodere in mille pezzi. Le nostre bocche si cercavano e si trovavano con bramosia, sembrava un loop vizioso, un loop che mi provocava brividi ovunque, che mi offuscava la vista e faceva male al cuore. Ma era un dolore piacevole, un dolore che si avvicinava alla paura di perdere Chan e di non poter più riavere questo momento magico.

Per un attimo mi staccai da lui per guardarlo negli occhi, erano luminosi e accessi dal desiderio, mentre le labbra gonfie e arrossate ritrovarono di nuovo la strada verso le mie.

«Non riesco a fermarmi» confessò stringendomi una coscia.

«Allora non farlo» risposi volendo di più, molto di più. Chan fece risalire la mano sulle natiche, poi sulla schiena, sotto il maglioncino, e poi di nuovo sulle natiche. Un viaggio che volevo la sua mano non terminasse mai. Mi beai del suo tocco per niente delicato e arrivai al punto più alto dell'eccitazione.

«Non so cosa potrei farti se non mi fermo» mi sussurrò nell'orecchio, scendendo poi verso il collo e lasciando baci umidi lungo il percorso. Avevamo già fatto sesso, la sera in cui litigammo e rovinammo il nostro rapporto, ma questa volta era del tutto diverso. Adesso eravamo consapevoli di essere pazzi l'uno dell'altra, e volevamo più di quello che il sesso poteva offrirci. Volevamo legare le nostre anime, sprofondare in un piacere che nessun altro avrebbe potuto darci. Con quei gesti, carezze e baci ci stavamo confessando tutto il nostro amore.

Senza sapere né come né quando, mi ritrovai a cavalcioni su Chan. Continuavamo a baciarci con passione, mentre le sue mani vagavano frenetiche sul mio corpo ancora troppo coperto. «Non voglio farti male» gli dissi riferendomi alle sue gambe. Dopotutto, lui era ancora in riabilitazione.

«Mi farai più male se ti fermi» rispose sicuro di sé cominciando a sbottonare i miei jeans. Nel mentre, io mi sfilai il maglioncino dalla testa e restai solo con il reggiseno. «Hai idea di quanto sei bella, Yuliya?»

Anche se non amavo il mio corpo, i chili in eccesso, i rotolini sui fianchi, sapevo che Chan era sincero. Forse non ero perfetta, ma ero bella con le mie imperfezioni, e avevo trovato una persona che mi amava per quello che ero. Era uno dei doni che la vita mi stava offrendo, e al diavolo tutto, avevo accettato senza esitazione.

Avevo i brividi dappertutto. Ormai eravamo completamente nudi e vulnerabili, e ci guardavamo con sincerità e sentimento, beandoci di quel momento ricco di magia. La mia mente era appannata, aveva lasciato il timone al cuore, e tremavo per l'incredibile piacere che le mani di Chan mi provocavano. Le aveva fatte salire sui miei seni, stringendoli con dolcezza, e aveva ripreso a torturare il mio collo con la lingua. Ormai ero pronta a volare, ad aggrapparmi a lui e sfidare il cielo contromano.

Il finale di quel nuovo capitolo della mia vita lo avevo lasciato ben custodito nell'angolo più felice della mia mente. Era un momento tutto nostro, e doveva rimanere tale. 

L'altra faccia della LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora