Capitolo Ventinove

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Tutto era cambiato. In particolar modo, ero cambiata io. Se provavo a guardarmi indietro, a quando piangevo senza un motivo preciso, a quando mi chiudevo all'interno del mio armadio e mi mordevo le ginocchia per non urlare, mi rendevo conto di quanta strada avessi fatto, e di quanto far pace con il mio passato mi fosse servito. Non avevo mollato la presa, mi ero aggrappata sempre con più forza al filo che mi teneva sospesa in aria, e avevo scelto di vivere.

Troppe volte mi era capitato di sprofondare nel dolore, di pensare che la vita non avesse senso. E forse non lo aveva davvero. Fino a tre mesi prima, la mia vita davvero non aveva uno scopo. Ma ora tutto era cambiato. Ora tutto era diverso.

Tornare in Bielorussia, assaggiare i ricordi lontani e imparare ad accettarli, mi aveva fatta rinascere. E quella era ormai la terza volta, era la terza occasione che la vita mi stava offrendo, e finalmente, dopo un lungo inverno insensibile e distaccato, era sbocciata la primavera. Allo stesso modo, era sbocciata in me una nuova consapevolezza, quella di non lasciarmi più sopraffare dal dolore, perché avevo imparato che dopo la pioggia usciva sempre il sole. Avevo imparato anche che spesso lo stesso sole si sarebbe scontrato con le gocce di pioggia, e che andava bene comunque. Perché in quel caso sarebbe uscito un bellissimo arcobaleno. Dovevo solo non abbandonare la speranza, e godere appieno di ciò che la vita mi offriva giorno per giorno.

Ero diventata anche più consapevole dei miei rapporti personali. Avevo capito che salvaguardare l'amicizia, dedicare del tempo per stare con gli altri, era importante per la mia salute mentale. La solitudine continuava a piacermi, continuava a tentarmi, era giusto anche ritagliarsi del tempo solo per se stessi, ma allo stesso tempo non dovevo più chiudermi a riccio. Avevo splendidi amici, una splendida famiglia, che cosa pretendevo di più dalla vita? Tutto ciò che continuavo ingenuamente a chiedere sapevo che sarebbe arrivato col tempo. Attendere con pazienza, ecco un'altra cosa che avevo imparato.

Riprendere a scrivere, dopo mesi e mesi di caos nella mente, era stato come prendere degli antidepressivi. Le mie dita avevano ripreso a correre liberamente sulla tastiera del computer, a digitare in modo frenetico tutte quelle parole che sgorgavano dai pensieri, e ciò mi aveva fatta sentire libera. Libera di sognare di nuovo, di dar voce alla mia immaginazione e navigare lontano dalla realtà. Avevo riaperto il cassetto dei sogni, scoprendo tanti desideri che ormai non ricordavo più di avere. Avevo lasciato la serratura aperta, avevo liberato me stessa dai fantasmi proprio come avevo liberato anche i miei sogni, permettendo loro di raggiungere altezze inimmaginabili, di superare i limiti.

Ma era ovvio che alcune paure non mi avrebbero abbandonata subito. Non poteva esistere solo il bianco o il nero, dovevo adeguarmi anche al grigio, e a tutte le sfumature possibili. Alcune giornate erano più dure delle altre. Capitava di svegliarmi di malumore, di non volermi alzare dal letto, ma era importante imparare a convivere anche con quello. Era fondamentale ascoltare il proprio corpo e la propria mente, e fermarsi se questi ti chiedevano di farlo. Infondo andava bene anche così; rimanere a letto e spegnere il mondo. Era okay non essere okay. 

L'altra faccia della LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora