Capitolo Dieci

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Come stai?

Mi dispiace averci messo tanto.

Riuscirai a raggiungermi?

Nostro padre sta morendo.

Le uniche cinque frasi che ero riuscita a tradurre senza il bisogno di consultare il traduttore. Mi facevano male gli occhi a causa dello sforzo, decifrare quella scrittura disordinata e confusionaria non era facile. Non riuscivo a respirare, sentivo qualcosa comprimere il petto, e una sensazione di paura mi avvolgeva pienamente. Non riuscivo a credere a ciò che stavo leggendo. Sembrava una giornata come tante altre, eppure quella lettera stava per cambiarmi la vita.

Aiutandomi con il traduttore, rilessi le parole in italiano almeno un migliaio di volte, ma non riuscivo a comprenderne il senso. A scrivermi era stato mio fratello, fratello di cui non conoscevo il volto, ma che sembrava avere un disperato bisogno di me. Infinite domande tormentavano la mia mente, e la notte non riuscii a dormire. Non appena chiudevo gli occhi, gli incubi venivano a farmi visita, ed erano più terribili che mai.

Il giorno seguente rilessi la lettera una dozzina di volte, e piansi in modo disperato. Ero terrorizzata da quelle parole. E il pensiero che mio padre, da qualche parte in Bielorussia, stava piano piano abbandonandosi tra le braccia della morte, mi faceva male al cuore. Mio fratello mi stava pregando di raggiungerlo a Lida, la città in cui ero cresciuta, e di stare accanto a nostro padre perché, a quanto ne avevo capito, e ciò mi pareva strano, lui aveva chiesto di me.

Perché diavolo mi sentivo così agitata per un uomo che ormai non potevo più considerare padre? Non era mai stato un padre per me, nemmeno quando fingeva di volermi bene durante quelle poche visite che faceva all'orfanotrofio. Allora non lo capivo, non comprendevo che era sbagliato, non riuscivo a distinguere il bene dal male. Ma ora ero cresciuta e maturata, ero diventata consapevole del mio passato e ciò di cui ero stata privata. Avevo finalmente compreso che non era la vita ad essere bastarda, non era stato il caso né il destino ad aver preso le redini della mia sofferenza e ad avermi condotta verso la follia, piuttosto la colpa del rifiuto umano che sembravo era tutta sua, di mio padre, di quel maledetto, dannato e alcolizzato Dimitri.

E quella firma alla fine della lettera: "Tuo fratello, Kirill". Da quando avevo un fratello? Sapevo di averne uno da qualche parte, ma non lo avevo mai conosciuto, non si era mai preso la briga di venirmi a trovare all'istituto; perciò, cosa diavolo volevano tutti e due da me? Perché adesso?

La lettera giaceva sul pavimento, così come anche io. Guardavo il soffitto, sopraffatta dal silenzio assordante e dal cuore dolorante. Non sapevo cosa fare. L'artefice di quel foglio era una persona che io neanche conoscevo, pretendeva davvero che io prendessi il primo volo per la Bielorussia senza esitare? In quel momento pensai ai miei genitori e a una loro possibile reazione se li avessi avvisati della mia improvvisa partenza verso il luogo dal quale avevano cercato di salvarmi.

"Nostro padre sta morendo", diceva la lettera. Ma io non avevo più otto anni. Non ero più ingenua e conoscevo tutta la verità. L'amore per quell'uomo era stato sostituito dall'odio non appena avevo compreso che la mia intera esistenza era retta sulla sofferenza che nessuno avrebbe cancellato, neanche i miei genitori adottivi, sofferenza che mi aveva procurato proprio lui. Fingevo di stare bene, fingevo ogni giorno, invece ero triste e infelice, un vuoto abitava il mio cuore, e la mia anima cominciava a svanire anno dopo anno. Un giorno sarebbe arrivato il momento in cui di me non sarebbe rimasto nient'altro che polvere.

Scrissi a Silvia, ma senza accennare alla lettera. Telefonai a mia madre, dicendole di aver studiato il giorno, ma era una palese bugia. Dovevo mantenere segrete quelle parole. Dovevo conviverci proprio come stavo convivendo con tutto il resto. Un'altra dose di dolore non aveva più alcun effetto su di me, cercavo di non pensarci, ma una strana voce profonda, una voce mai sentita prima, continuava a ripetermi le stesse parole: Nostro padre sta morendo.

L'altra faccia della LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora