Capitolo Nove

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Ero sempre stata quel tipo di persona che in compagnia quasi si eclissava nella solitudine. Diventavo la spettatrice di una vita che sembrava la mia ma che non mi apparteneva del tutto, osservavo scorrere il tempo che non riuscivo ad afferrare, sentivo di voler urlare ma la voce non usciva, e i gesti non sembravano essere compresi. Quasi pregavo che qualcuno mi guardasse negli occhi e capisse che ero assente e che stavo lottando contro me stessa per emergere dal buio, ma nessuno sembrava notarmi, nessuno sembrava far caso alla mia disperazione silenziosa, così mi lasciavo trasportare dalla sensazione di vuoto ormai fin troppo familiare, e dimenticavo di respirare.

La mia vita sociale veniva spesso segnata da eventi che si dispiegavano solo nella mia mente, e ciò accadeva principalmente quando mi sentivo a disagio ed ero circondata da persone che non conoscevo affatto o che erano impegnate in stili di vita completamente differenti dal mio. Avevo sempre difficoltà a comunicare con sconosciuti, ad aprirmi, a introdurre un argomento di discussione, a intervenire in dibattiti. Era come se avessi costantemente l'ansia addosso, ansia di sbagliare e di mostrarmi per quello che ero. Perché quello che ero non piaceva neanche a me.

Proprio quella sera, seduta al tavolo di una pizzeria tra Chan e il suo amico Simone, con di fronte altre due ragazze, sempre amiche di Chan, di nome Milena e Viola, mi sentivo come se stessi per svenire da un momento all'altro. Era la prima volta che Chan mi chiedeva di uscire con i suoi amici, gli stessi che avevo conosciuto durante quella famosa sera al bar del centro. Avevamo già ordinato le pizze, erano trascorsi circa venti o trenta minuti, e io non avevo ancora aperto bocca. Chan conversava allegramente, era di buon umore e vestito di tutto punto, riuscivo a percepire il suo stato di benessere, mentre io mi sentivo precipitare nel vuoto. Volevo solo che si accorgesse del fatto che mi sentivo a disagio, che avevo bisogno di una rassicurazione, anche piccola, di una carezza sulla mano, o qualsiasi altra cosa, ma lui continuava a parlare con i suoi amici, quasi dimenticandosi di avermi a fianco.

Volevo intervenire nel loro dibattito sulla ecosostenibilità, ma avevo paura di dire qualche stupidaggine, quindi continuavo a rimanere in silenzio, a guardarmi attorno, a sentirmi fuori posto.

Arrivarono le pizze poco tempo dopo. Il locale non era pieno, quindi non avevamo aspettato molto per le nostre ordinazioni. Io avevo preso una diavola, una delle mie pizze preferite, mentre Chan aveva optato per quella fritta, che aveva una forma simile al calzone ma era grande almeno il quadruplo. Mi chiese se volessi assaggiarla ma io rifiutai, mi sentivo a disagio nel farlo davanti i suoi amici.

Più tardi, dopo aver terminato il pasto, una delle ragazze - quella che si chiamava Viola - si alzò dal tavolo per uscire fuori e fumarsi una sigaretta. A quel punto ebbi il coraggio di alzarmi anche io, chiedendole se potessi venire pure io. Forse se fossi rimasta da sola con lei mi sarei sbloccata con più facilità, ma in quel momento ero ignara del fatto che l'effetto sarebbe stato completamente opposto.

Uscimmo fuori insieme; entrambe indossavamo pantaloni a vita alta e scarpe col tacco. Il suo top era più attillato e con scollatura più profonda, che rivelava un seno abbondantemente invidiabile. Al suo fianco mi sentivo terribilmente inferiore, anche perché era riccia come me, ma i suoi capelli erano nettamente più belli e curati. Osservandola meglio in viso, mentre era impegnata ad accendersi la sigaretta, notai un trucco impeccabile che incorniciava occhi grandi e scuri, un naso sottile e una bocca carnosa. Era decisamente una splendida ragazza, e per qualche strano motivo mi sentivo infastidita da lei.

«Quindi stai uscendo con Chan.» Non era una domanda ma un'affermazione, e mi sembrò persino leggermente minacciosa.

«Siamo soltanto amici» risposi in tono deciso, e Viola non si preoccupò di mostrarmi il suo disappunto.

«No, io non credo.»

«La cosa ti crea problemi?» Mi stupii io stessa della mia audacia.

La ragazza mora inspirò il fumo della sigaretta e lo ributtò fuori, mirando intenzionalmente la mia faccia. «Non sei il suo tipo.»

Non aveva risposto alla mia domanda, il che mi faceva intuire che la mia amicizia con Chan le creasse davvero problemi. Il perché ancora non lo sapevo. «Lo conosci così bene?»

«Siamo cresciuti insieme. Lo conosco meglio di chiunque altro.»

Le parole di Viola accesero un campanello d'allarme nella mia testa. Era ovvio che si sentisse minacciata da me, e sinceramente non mi andava proprio intraprendere qualunque tipo di rapporto con Chan se poi dovevo subirmi questo atteggiamento da parte di una delle sue amiche. Speravo che l'altra ragazza, Milena, seduta ancora dentro la pizzeria, fosse migliore di Viola.

«L'essere cresciuti insieme non ti dà il diritto di avere il pieno controllo sulla sua vita» le dissi con franchezza e potei notare una scintilla di rabbia nei suoi occhi scuri.

«Stai giocando col fuoco» mi avvertì in tono minaccioso.

«Il fuoco non mi spaventa.»

Si avvicinò di più al mio viso, serrando la mascella. «Lo vedremo.»

Inutile dire che quella serata si rivelò un fiasco totale, perché quando feci presente a Chan che la sua amica, Viola, non mi stava molto simpatica, lui non ci pensò due volte a difenderla a spada tratta, raccontando di quanto lei sia stata di supporto per lui nel corso degli anni. E in quel momento capii che non avrei potuto fare nulla per impedire a quella ragazza di intromettersi nel mio rapporto con Chan. Per fortuna, io e lui eravamo soltanto amici.


Ma il pensiero di quella stramba ragazza, di Chan o di chiunque altro non mi toccò più dal momento in cui il custode del mio palazzo mi consegnò una lettera arrivata proprio quella mattina. L'inchiostro sulla busta era leggermente sbavato ma le parole erano comprensibili; tuttavia, il mittente mi aveva lasciata disorientata. Con il cuore in gola, la mente confusa e le mani tremolanti, aprii quella busta, estraendo una lettera apparentemente lunga e scritta a mano. Non conoscevo la scrittura, neanche la comprendevo, ma sapevo che la lingua non era italiana. Qualcuno mi aveva mandato una lettera dalla Bielorussia.

L'altra faccia della LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora