Erano passate esattamente quattro settimane da quando avevo deciso di dare una svolta alla mia vita, lasciandomi alle spalle la negatività e orientando le energie verso orizzonti migliori. Non volevo cambiare radicalmente, ma soltanto migliorarmi, e continuare a crescere. Avevo iniziato ad andare in terapia; la mia psicologa mi aveva suggerito di proseguire con la scrittura, mettendo i miei pensieri nero su bianco, in modo tale da poter analizzare i miei dubbi e timori dall'esterno. Le avevo parlato di tutto. Per la prima volta nella mia vita, avevo iniziato a parlare e a sfogarmi senza più fermarmi, senza aver paura di essere giudicata oppure non compresa. Le sedute di terapia si erano rivelate molto utili, e giorno dopo giorno, cominciavo a sentirmi una persona migliore.
Purtroppo, il mio rapporto con lo studio non era altrettanto sano. Continuavo a riscontrare enormi difficoltà con alcune materie, e più precisamente con alcuni professori. La realtà accademica era più dura e impegnativa del previsto, e io ero arrivata alla conclusione che il mio percorso di studi era del tutto inadatto per me. Ormai era tardi, certo, ma avevo capito di aver fatto la scelta sbagliata, tuttavia mancava relativamente poco alla fine, e non mi restava altra opzione che arrivare fino in fondo. Non dovevo mollare.
Pensavo a tutti gli sforzi che i miei genitori avevano fatto per permettermi di studiare. Le rette non erano affatto una cosa da niente, e sinceramente continuare a dipendere da loro cominciava a pesarmi un po'. Volevo un lavoro, uno qualsiasi, in modo tale da non sentirmi in colpa per tutti i soldi che mio padre versava sulla carta ogni mese, ma mamma era stata abbastanza chiara; non dovevo lasciarmi distrarre da niente e concentrare tutte le mie energie solo sullo studio. Le avevo dato retta, ma anche se non avevo un lavoro con cui distrarmi, c'era comunque una marea di altre cose a farlo. Non era ancora semplice convivere con me stessa e con i miei costanti malumori, il processo di guarigione sarebbe stato lungo, e di certo avrei continuato a concedermi il piccolo lusso di ritagliarmi dei momenti durante le giornate da dedicare solo ed esclusivamente ai piaceri personali. A quelli non potevo rinunciare.
Ma nonostante tutto, il mio legame con i miei genitori si era solidificato. Non avevo mai più accennato nulla sulla Bielorussia, né su quel viaggio folle che avevo intrapreso da sola, eppure sembrava come se loro avessero finalmente capito. Anche senza parlarne, avevo finalmente la sensazione che fossero dalla mia parte. Le chiamate si erano fatte più frequenti, e piano piano avevo persino cominciato a parlare con mamma dei miei amici e delle mie giornate, ciò che di solito non facevo mai. Era un percorso lento e graduale, ma che sapevo mi avrebbe portata verso un rapporto più solido e affettuoso sia con lei che con papà.
«Devi vedere come sta crescendo la pancia! È solo alla quattordicesima settimana ma sembra molto più avanti.» La voce della donna dall'altra parte del telefono era squillante, ma io ormai ero abituata. O meglio, i miei timpani lo erano.
«Immagino» risposi pensando a mia sorella con il pancione enorme. «È da tanto che non mi manda le foto, dovrei scriverle più spesso.»
«Sì, dovresti. Non hai idea di quanto sente la tua mancanza, soprattutto ora che ha gli ormoni sballati.»
«Lo so, e anche lei mi manca, ma questa storia che devo essere sempre io a cercarla deve finire! La gravidanza è solo una scusa. Non sta nemmeno lavorando, quindi ha parecchio tempo.»
Sentii mia madre sospirare. «Siete così sciocche! Cerca comunque di esserci alla prossima ecografia. Sapremo il sesso.»
«Sto aspettando che escano le date degli esami per marzo, ma appena so qualcosa ti avviso. Spero di esserci» risposi sinceramente e poi terminai la chiamata, promettendo a mia madre di richiamarla in serata per altre due chiacchiere.
Misi il telefono da parte e ripresi la chitarra in mano. Prima che mamma mi chiamasse, stavo provando a suonare la canzone di Chan. Ormai ero arrivata alla fine dello spartito, ma c'erano alcuni punti che non riuscivo a suonare in modo chiaro, perciò mi serviva più pratica.
Non vedevo Chan dalle vacanze natalizie. O meglio, non parlavo con lui da allora, nemmeno dopo essere stata in ospedale a tenergli la mano, e non sapevo se Luna gli avesse detto qualcosa in proposito. Cercavo di non fissarmi troppo sull'argomento, ormai avevo deciso che l'avrei cercato non appena fossi rientrata in Calabria, ma ciò significava aspettare ancora un po'. Lo pensavo costantemente, giorno e notte, e quella canzone che aveva scritto risuonava nella mia testa a rotazione. Più i giorni passavano, più mi mancava e più mi rendevo conto di amarlo alla follia. Se solo non avessi mandato tutto a rotoli il mese prima!
Ma era inutile rimuginarci e torturarsi. La psicologa mi aveva consigliato di non rimpiangere niente, di guardare sempre il lato positivo e tirare avanti. È proprio ciò che avevo deciso di fare.
Frequentai le lezioni regolarmente, appassionandomi ad alcuni corsi che avevo scelto io stessa. Stavo giusto preparando l'esame di storia dello spettacolo musicale; il professore mi aveva già conquistata alla prima lezione online, quando iniziò a suonare il pianoforte di punto in bianco. Poi c'era il corso di linguistica generale che si era rivelato più interessante del previsto, e mi stupivo di essere tra i pochi studenti della mia classe a comprendere gli esercizi di fonetica e morfologia. Era una di quelle materie tecniche che mandava fuori di testa chiunque; per un po' aveva mandato fuori di testa anche me. Ma durante il periodo della mia rinascita personale, essendo io diventata più ottimista, avevo dato il massimo per comprendere il meccanismo di quegli esercizi linguistici, di conseguenza potevo vantarmi di essere piuttosto brava.
Eppure, alcuni incubi continuavano a persistere, come la storia moderna e il latino.
Non ero esattamente io ad avere un problema in particolare con queste due materie, ma l'intera università. E ancor più problematici erano i due professori che gestivano i corsi. Era incredibile osservarli crogiolarsi nella soddisfazione di vedere gli alunni fallire, di sbagliare una risposta, e andare nel pallone durante un esame orale. Quel tipo di atteggiamento era di sicuro il motivo principale per cui spesso mi convincevo di mollare tutto, di tornare in Calabria e diventare una semplice barista o commessa. Ma allo stesso tempo sapevo di non vivere in un mondo giusto, e sapevo di non poter cambiare le cose, perché l'odio e la cattiveria avrebbe sempre continuato a passeggiare tra noi comuni mortali, rendendoci la scalata verso il successo più ripida che mai.
L'unica cosa che potevo fare era quella di tenere aperto il cassetto dei sogni. Volevo diventare una scrittrice, forse anche un'insegnante, oppure gestire un'editoria tutta mia. Avevo tante idee in testa, ma la pura di fallire era sempre presente. Tuttavia, proprio come recitava una canzone che stavo ascoltando in quel momento, ossia Hall of Fame, non avrei mai saputo come sarebbero andate le cose se non ci avessi provato. Quindi, ci avrei provato.
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L'altra faccia della Luna
Ficción General[COMPLETA] ✔️ Yuliya è una studentessa di lettere moderne, vive a Napoli da sola e conduce un'esistenza piuttosto malinconica e solitaria. Ha pochi amici, tanta voglia di fuggire altrove e un passato burrascoso che non la lascia in pace. Un giorno i...