4. Il vuoto.

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Tornai a casa subito dopo quel piccolo battibecco con Lucas.
Mi feci prendere talmente tanto dal momento, che dimenticai persino di salutare il ragazzo con cui avevo ballato.
Quando arrivai fuori dall'edificio, chiamai Cameron, che rispose con una velocità disarmante.

«È successo qualcosa?» scattò subito sull'attenti, chiaramente preoccupato.
Apprezzavo fosse così premuroso nei miei confronti.

«Ehi, no tranquillo. È tutto okay» dissi camminando lungo il marciapiede sottile che conduceva alla fermata dell'autobus più vicina.

«Devo venirti a prendere?» chiese istintivamente, quasi come se avesse paura che io potessi fare qualcosa di irreversibile da un momento all'altro.
Mi guardai attorno e sospirai, prima di mormorare un "sì" netto a Cameron, che non se lo fece ripetere due volte e chiuse immediatamente la chiamata.

Ad un tratto, iniziai a sentirmi vuota, come se avessi usato tutte le mie emozioni per parlare con lui, come se mi avesse prosciugato l'anima.
Sentii il mio sguardo spegnersi ed il battito cardiaco rallentare così tanto in fretta da provocarmi un capogiro che mi costrinse a sedermi sul marciapiede.
Presi a fissare il vuoto e, nonostante in strada ci fosse un silenzio tombale, la mia mente faceva una confusione assordante.
Il rumore che creavano i miei pensieri era così forte che non notai nemmeno Cameron parcheggiarsi lì davanti a me.
Se non fosse stato per il suono del suo clacson, probabilmente sarei rimasta in quella trance silenziosamente distruttiva per un paio di ore.

Quando entrai in macchina, non lo degnai neanche di uno sguardo.
Non ci riuscivo, non avrei potuto guardarlo o sarei scoppiata a piangere all'istante.
Non c'era un motivo preciso in realtà, ma il mio umore era cambiato radicalmente.
Volevo solo tornare a casa a guardare il soffitto dal mio comodo letto e crogiolarmi in quello che io chiamavo "incubo da sveglia", anche comunemente chiamato "pensare".
Nonostante ciò, sapevo di dover dire qualcosa a Cameron, perciò sussurrai un semplice «grazie, Cam» mentre allacciavo la cintura.
Tolsi le scarpe ed avvicinai le gambe al petto stringendole con le braccia per quanto possibile, dato il voluminoso vestito che indossavo, ricominciando a respirare.

«É successo qualcosa? Lucas ti ha fatto qualcosa, piccola?» chiese Cameron cautamente, come se temesse ti farmi del male.
Aveva dosato le parole così bene, che per un attimo percepii un velo di lacrime farsi strada nei miei occhi.

«No, è tutto okay Cam. Grazie per essere arrivato così in fretta» mormorai lentamente, poggiando la testa contro il finestrino.

Probabilmente a Cameron la mia risposta non bastava, sapeva ci fosse qualcosa sotto, così riprese a parlare.
«Allora... com'è andata la serata? Hai conosciuto qualcuno di interessante?» chiese senza malizia, comprendendo il mio scarso benestare.
Annuii semplicemente, raccogliendo col palmo della mano una lacrima incontrollata.

«Hai...hai mangiato?» chiese sussurrando, temendo di provocare una mia reazione negativa.
Generalmente quella domanda mi avrebbe fatta sussultare o, peggio ancora, mi avrebbe fatta innervosire, ma quella sera non fu così.
Mi limitai ad annuire, lasciando che il rumore delle ruote sull'asfalto colmasse quel silenzio che si era creato tra noi.
Non era un silenzio imbarazzante nel quale nessuno sapeva cosa dire, era uno di quelli necessari in cui entrambi eravamo persi tra i pensieri che si celavano nelle nostre menti.

Continuammo il viaggio in silenzio: io tenevo la testa contro il finestrino e le gambe rannicchiate al petto, mentre Cameron guardava dritto davanti a sé, senza mai distrarsi.
Quando arrivammo nel vialetto di casa, lo salutai e lo ringraziai nuovamente prima di rimettere le scarpe e percorrere il tragitto che mi divideva dalla porta d'ingresso.
Una volta dentro, mi richiusi la porta alle spalle e mi accasciai contro il muro.

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