34. I ricordi ||Paige.

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Paige's POV.

Non seppi mai spiegarlo a parole, ma amavo i ricordi. Quelli felici, però.
Per me, i ricordi rappresentavano una parte fondamentale in un rapporto, che fosse d'amicizia o qualcosa di più.
I ricordi erano come delle fotografie e la mente come le pareti: più ricordi costruivi, più i muri si riempivano di splendide foto.

Per esempio, ricordo ancora la mia prima esibizione teatrale. Interpretavo il ruolo di Cleopatra in una delle mie opere preferite e Antonio era uno dei miei più cari amici all'epoca.
Amavo ricordare la sensazione di inquietudine del dietro le quinte, quando ancora il sipario era calato e il teatro inziava a riempirsi.
Era bello sentire il brusio del pubblico e poi, tutto d'un tratto, l'applauso di inizio.
Il sipario si apriva, lo spettacolo inziava.
Iniziavo a respirare.

Un'altra cosa che amavo ricordare erano quei momenti di intimità che passavo con le persone a cui volevo bene: Faith, Molly, Jen e persino Felix.
Felix. Il suo nome mi risuonava nella mente continuamente, a qualsiasi ora del giorno.
Quando lui non era con me, mi occupavo di Damian e Aika, rispettivamente il figlio di Kayl, ossia il fratello di Felix, e la figlia di Jen, la sua ragazza.
Passavo un'infinità di tempo con quei bambini.
Il primo troppo buono, uno dei piccoli più dolci che io avessi mai conosciuto.
La seconda una piccola peste, ma che sapeva come farsi amare da tutti.
Felix amava quei bambini, li trattava come fossero figli suoi.
Io amavo i bambini. Aika e Damian erano anche figli miei, in un certo senso.

Altre cose che amavo ricordare, erano i momenti passati con lui.
Felix era tra le persone più belle e complesse che avessi mai conosciuto, ma tra noi c'era un'intesa mozzafiato.
La prima volta che ci vedemmo, per esempio, iniziammo un discorso sull'umanità. Uno parlava e l'altra finiva la frase. Era splendido.
Ricordo che proprio quel giorno, spiegai per la prima volta perché amassi così tanto i fiocchi di neve.

«L'umanità non riesce a comprendere cosa siamo e come siamo fatti. Siamo troppo "strani" o addirittura "complessi" per loro» fece spallucce, dondolando i piedi giù dal muretto su cui eravamo seduti.
Ci conoscemmo in una palestra da boxe, precisamente nella palestra di cui lui era il responsabile.
Quella stessa mattina, avevo un urgente bisogno di cambiare i guantoni, così mi rivolsi a lui e insolitamente iniziammo a parlare. Poi, una volta fuori di lì, continuammo a camminare senza una meta ben precisa.

«Esattamente» concordai, prima di sganciare la bomba.
«Mi sento come un fiocco di neve a volte, sai? Esternamente piaccio a tutti, d'altronde a chi non piacciono i fiocchi di neve? Eppure non riesco ad essere tenuta fra le mani per molto tempo».

«E così, dicono che sei strana» finì lui la mia frase e mi ritrovai a sorridere.

«Sì, proprio così» ammisi guardando il sole che iniziava a calare dietro gli alberi.

«Mi sento così da vent'anni».

«Io da diciotto, ma più o meno stiamo lì» ridacchiai provando a smorzare la tensione, ricevendo un accenno di sorriso in cambio.

«Non sanno che si perdono ad avere a che fare con gente come noi».

Sorrisi a quel ricordo, era stato uno dei momenti più belli della mia vita, uno di quelli che mi sarebbe rimasto impresso nel cuore per sempre.
Come quando mi invitò ad uscire e mi portò al Bioparco. Qualche giorno prima avevamo parlato di animali, in particolar modo di polpi e lupi, così mi portò a vederli.
E poi, proprio lì, in quello stupido parco che era diventato uno dei miei posti preferiti, lo baciai per la prima volta.
Perché io non credevo alla cazzata che il primo passo fosse riservato ai maschi e forse lui nemmeno, quindi per evitare malintesi presi io l'iniziativa.
Ma lui niente, rimase impassibile anche lì.
Quindi litigammo. Era scontato, chi è che non avrebbe litigato in una situazione del genere?

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