20. Chi non muore si rivede.

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Il mio letto si era improvvisamente trasformato in un groviglio disordinato di coperte.
Sentivo il suo braccio cingermi la vita e avvicinarmi inconsciamente a sé, mentre il suo respiro calmo mi riscaldava il collo dandomi i brividi.
Non riuscivo a ricordare come avevamo fatto ad arrivare sul letto, ma ero abbastanza sicura di sapere cos'avevamo fatto. Il mio reggiseno era appollaiato su un lato del letto, mentre i suoi calzini erano stati gettati sul comodino scuro.

Non riuscivo a vederlo in viso, ma sapevo per certo stesse dormendo con quell'espressione da angioletto che in realtà non gli appartiene.
Ma siccome “stare tranquilla” non era una frase compresa nel mio dizionario, decisi di iniziare la giornata al meglio.
Presi ad ondeggiare il bacino contro il suo, sentendo poco dopo le sue braccia possenti stringermi la vita.
Mugugnò qualcosa che non riuscii a comprendere, ma che interpretai come un invito a continuare e, dopo pochi minuti, mi ritrovai con la schiena stretta tra il materasso e il suo corpo.

«Ti sei divertita a stuzzicarmi già alle nove del mattino?» mormorò con voce roca, ammiccando un sorriso malizioso.
Aveva i capelli sistemati in modo perfettamente disordinato e portava addosso solamente un paio di boxer scuri.
Annuii semplicemente perdendomi tra quelle iridi scure che mi fissavano con insistenza, fin quando mi resi conto della pressione che esercitava sui miei fianchi.

Poggiò le labbra sul mio collo magro, iniziando a baciare e mordere la pelle che bruciava sotto il suo tocco.
Socchiusi gli occhi mormorando parole disconnesse, fin quando non riuscii più a percepire il suo soffio caldo sul mio collo.
Quando riaprii gli occhi, Noah aveva già raggiunto lo stipite della porta e ridacchiava soddisfatto uscendo dalla stanza.

Soffocai un'imprecazione tra i denti, raccogliendo frettolosamente il mio intimo sparso per la stanza e, una volta indossato, sistemai la camicia di Noah sulle spalle.
Sbadigliai scendendo gli infiniti scalini che portavano in cucina, così da accomodarmi su uno degli sgabelli.

«Allora, cosa ti preparo?» chiese riempiendo una macchinetta del caffè, ponendola sul ripiano grigiastro.

«Uova e bacon» mormorai distrattamente, troppo concentrata ad osservare ogni suo movimento con estrema attenzione.
Senza farselo ripetere più volte afferrò un uovo e due fette di bacon dal frigorifero, successivamente le adagiò nella padella e sistemò due fette di pane nel tostapane.

Solo in quel momento, con il buon profumo di caffè che mi riempiva le narici e il rumore del bacon croccante che mi dava uno strano senso di pace, riuscii a comprendere quanto mi fosse mancata la compagnia di qualcuno che non fossero Paige o Alyssa.

Avevo passato anni a credere che fosse necessario non affezionarsi a nessuno per continuare a vivere, dimenticando che il vero obiettivo della vita fosse l'amore.
Forse preferivo la solitudine perché non ero mai stata abituata ad amare, neanche da bambina. Pensavo che l'amore fosse fatto di carta, un po' come i copioni che Paige studiava per l'accademia di teatro.
Stentavo a credere che quel termine così semplice quanto pericoloso potesse essere un qualcosa di concreto, pensavo fosse un altro costrutto sociale o una di quelle stronzate che guardavo da bambina in televisione.
Lo pensavo davvero, rimanevo ancorata alla consapevolezza che non avrei mai trovato un amore come quello di Romeo e Giulietta o come quello di Elizabeth e Mr. Darcy.
Lo pensavo davvero prima di conoscere quel ragazzo riservato dai capelli disordinati, che quella mattina mi porgeva un piatto contenente la mia colazione preferita.

Si accomodò di fronte a me sorseggiando un po' di caffè da una tazza verdognola che aveva trovato in qualche cassetto della cucina.
«Hai qualche piano per oggi?».

«Devo incontrare Ryan» disse prima di prendere un sorso di quella bevanda calda.
Annuii semplicemente iniziando a giocherellare con la forchetta; avevo perso l'appetito e quel silenzio asfissiante non aiutava.
Una volta terminato il caffè, Noah si alzò, poggiò la tazza nel lavandino e si trascinò fino al piano superiore, dove si richiuse in bagno.
Tirai un sospiro e svuotai il piatto ancora pieno nel cestino, abbottonando la sua camicia sul petto.

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