36. La storia di Lena.

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La mattina seguente, io e
Noah ci dirigemmo senza tanti giri di parole nella sala da pranzo che, però, in quel momento fungeva da bar.
Prendemmo due croissant al cioccolato e due caffè, ci sedemmo in uno degli innumerevoli tavoli ed iniziammo a mangiare in miracoloso silenzio.
Io e Noah eravamo tipi di poche parole, specialmente la mattina, così ci parve completamente normale quel silenzio totalmente privo di imbarazzo.
A rompere quella quiete, però, fu una famiglia.
I due bambini correvano contenti lungo i corridoi, mentre i genitori sceglievano ciò che di più opportuno avrebbero potuto mangiare i figli quella mattina di gennaio e io non riuscii a fare a meno di accennare un sorriso.

Non provavo invidia nei loro confronti, anzi ero davvero felice che qualcuno potesse vivere ciò che io non avevo mai potuto avere.
Volevo davvero che qualcuno mi avesse insegnato cosa significasse la parola "amore", che mi avesse insegnato ad amare per davvero.
Tirai un sospiro, poi i bambini si sedettero.
La madre sorrise dolcemente, aveva tutta l'aria di essere una di quelle mamme apprensive, poi accarezzò delicatamente la testa di uno dei due bambini.
Il padre, invece, spiegava tutte le attrazioni che avrebbero visitato quella mattina. I bambini strillavano felici e io non potevo fare a meno di sorridere con sguardo spento.

Noah mi accarezzò la mano, probabilmente notando i miei occhi fissi su quella famigliola felice, costringendomi a distrarmi.
«Andiamo a prepararci, ci aspetta una lunga giornata» mi sorrise comprensivo, stringendomi la mano.
Apprezzavo quel gesto, ero contenta non mi avesse chiesto nulla.
Quando arrivammo in camera, a turno facemmo la doccia e poi ci vestimmo.
Quella mattina, le nuvole scure occupavano il cielo presagendo un bel temporale nel pomeriggio. Non vedevo l'ora.

Salutammo Chantal, la receptionist, poi ci incamminammo senza una meta precisa lungo le stradine di Parigi.
Ogni angolo e ogni negozio della città era ricoperto di luci e decorazioni natalizie che creavano una splendida atmosfera.
Noah mi teneva stretta per la mano ed io mi trovai costretta a saltellare per tenere il suo passo veloce, quando ad un tratto vidi una bancarella che vendeva formaggi tipici francesi.
Amavo il Camembert e, per quanto potesse sembrare stupido o infantile, uno dei miei piccoli sogni era sempre stato quello di mangiarne un pezzo proprio a Parigi. Quindi, inutile dirlo, ma iniziai a strattonare Noah per convincerlo ad avvicinarci.

«Ma davvero ti piace questa roba? Puzza!» arricciò il naso, seguendomi con scarso entusiasmo. Ridacchiai, ma mi avvicinai comunque all'uomo che gestiva la bancarella.

«Bonjour!» esclamò con un sorrisone, toccandosi lo strano berretto che portava sul capo a mo' di saluto.
Era uno strano uomo cicciottello con due grandi baffi scuri e un grande naso aquilino. Era da riconoscere, però, che le sue guance rosse ed il suo largo sorriso lo facevano sembrare davvero simpatico.
«Siete qui in luna di miele?» amavo il suo accento, sembrava molto più marcato rispetto a quello di Chantal.

«Luna...di miele?» Noah strabuzzò gli occhi, quasi strozzandosi con la saliva.
Io risi di gusto, mentre quello strano signore corrugò la fronte.
«Siamo solo fidanzati» spiegò Noah accennando un sorriso.

«Oh, mon Dieu! Perdonatemi, ragazzi» si scusò evidentemente a disagio. Era così carino sentirlo mescolare francese e americano come niente fosse.

«Non si preoccupi...».

«Pierre» concluse, porgendomi la mano che strinsi senza pensarci neanche un attimo.

«Faith. Lui è Noah» indicai il ragazzo accanto a me che si limitò a salutarlo con la mano.
«Potrei avere un po' di Camembert?» chiesi improvvisamente irrequieta.
Avevo gli occhi sgranati e non riuscivo a stare ferma, così presi a saltellare sul posto. Ero emozionata, ma non seppi mai spiegarne il motivo.
Forse perché mi trovavo a Parigi, forse perché ero lì con lui o forse perché quello strano omaccione con i baffi mi stava porgendo una bustina con un po' di Camembert dentro.
Noah pagò, nonostante le mie lamentele Pierre non accettò i miei soldi: piuttosto finse di non vederli.

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